C’è un posto nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano che si chiama Apella. E’ un antico borgo ristrutturato, con ora dieci abitanti, nel comune di Licciana Nardi, in provincia di Massa Carrara, terra di Lunigiana. E noi dell’IIS, Istituto di Istruzione Superiore di Castelnovo ne’ Monti, ci portiamo le classi per fare l’esperienza che il Parco propone alle scolaresche in questo periodo, Autunno d’Appennino.
Siamo partiti con la classe 2C dell’Alberghiero di giovedì mattina e siamo rientrati sabato nel pomeriggio. Il tempo quasi estivo ci ha cullati su per il passo verso la Toscana, mentre i ragazzi cantavano a squarciagola. Mario si è presentato con un contenitore da fornaio serio (suo papà fa il pasticcere) con una trentina di brioches appena sfornate alla crema. Dice le ho portate per tutti, per fare merenda.
Man mano che saliamo ci lasciamo alle spalle il contesto da cui veniamo, e ci immergiamo carichi di sorrisi nella vita, la scuola ce la portiamo dietro, ma in un altro modo, un’altra scuola, qui fuori. Chi chiacchiera da subito, chi decide di togliersi le cuffie per stare con gli altri. Ci si mescola e si arriva in una piazzetta di un paesino che si chiama Tavernelle. Lì ci accoglie un signore affabile, ci dice lui dove parcheggiare. Scopriamo solo dopo un bel po’ di chiacchiere che è il sindaco di Licciana Nardi. Ci si crogiola al sole nel terrazzo di un bar di gestori gentili e rilassati. Fuori ci passiamo la staffetta con la classe che ci ha preceduto, la 1°T dell’IIS turistico, e i loro prof. Armani e Zanichelli, prenderanno per scendere lo stesso pullman con cui ci ha portati Antonio, l’autista dell’Istituto. Quelli del turistico sono tutti morbidi, stesi a prendere un caldo ottobre generoso e avvolgente, e ci dicono è stato bellissimo. Mangiamo le paste di Mario inzuccherandoci i baffi, chi più chi meno. Salutiamo gli altri che ritornano, ora Apella tocca a noi.
Lì inizia un tempo senza tempo, senza Internet, senza telefono. Senza Whatsapp fa strano, ma fa poi anche bello. Solo noi e le nostre canzoni, in mezzo a quei monti dorati d’autunno e rosso caldo d’Appennino.
Per salire ad Apella ci deve portare una ragazza giovanissima che fa la pulminista, noi le valige e i sorrisi. Ci accompagnano Natascia e Fabrizio che sanno già tutto il bello che starà per succederci.
Arriviamo in un paesino senza nessuno, case di sasso e bellezza. Ci dicono che lì erano nati due tizi Biagio e Anacarsi Nardi (ma che nome era?) che sono morti per liberare l’Italia all’epoca dei Borbone, che non ne volevano sapere di mollare. Erano amici dei più famosi fratelli Bandiera e di un certo Ciro Menotti, insieme hanno fatto una grande confusione perché credevano in una cosa che si chiama patria, che noi abbiamo trovata già pronta, ma loro per niente. Barbara è la regista del racconto su cui inciampiamo tra date e vicende. Ci arriva però bella dritta la sua passione e la sua scelta di venire lì ad abitare, lei con la laurea in ingegneria, lascia Milano e gli aperitivi e viene lì a gestire un agriturismo, Montagna Verde. Fa il miele, ha un ristorante dove si mangiano delle cose di castagna che ci suscitano gioia tanto sono buone, e ospita turisti che passano anche in bici, perché la sua struttura è anche un bike hotel dove i ciclisti possono riparare bici e asciugare i vestiti. E in giro non c’è nessuno, solo là in fondo tre cime diverse, dietro alle altre montagne, più a punta dei monti tondi. Sono le Apuane.
Si scarpina su e giù dal ristorante a dove si dorme. Distano un kilometro le due strutture, si chiama turismo diffuso, per andare da un posto all’altro quando c’è buio si usano le torce. C’è un bio parco pieno di animali allevati secondo criteri precisi. Ci hanno spiegato che vivere lì non è semplice, le piante di castagno si ammalano, quest’anno le olive sono state attaccate da una mosca fetente, e l’hanno chiamata agricoltura eroica, perché non sai mai se raccogli e se l’annata va bene.
Siccome la 2C è dell’Alberghiero, si è parlato molto di cucina, di km zero, di prodotti del territorio, di investire in strutture e attività ricettive in Appennino. In quei giorni lì abbiamo mangiato delle cose che ci assomigliano ma anche diverse, in Lunigiana fanno dei pezzettini di gnocco fritto salato e spugnoso che chiamano “sgabei”, cuociono i testaroli in speciali stampi che chiamano testi, condiscono tutto con l’olio di oliva. La cosa più particolare che ci hanno fatto assaggiare è la pattona, una focaccina fatta con la farina di castagne e cotta tra una foglia di castagno, servita con miele e ricotta di pecora. Poi hanno una salsiccia piatta e rotonda, il chiodo, che mangiano con una specie di tigelle. I ragazzi hanno seguito una lezione pratica di cucina, hanno impastato all’aperto degli gnocchi con la farina di castagne sotto gli occhi di un sole che scendeva dietro ai monti che guardavano e ridevano insieme a tutti noi. Più di trenta mani intorno a quel pastone. Luca, il giovanissimo cuoco della famiglia Maffei che gestisce l’agriturismo, con pazienza è riuscito a trasformare in gnocchi, che poi abbiamo mangiato la sera, quell’ammasso improbabile a forma di missile.
Poi ci hanno raccontato dell’olio, del vino e di come si fa la farina. Di Accademia di Alta Cucina, di passione per il proprio lavoro, di cura del cibo buono e bello da vedere. Abbiamo arrostito le castagne che avevamo raccolto il mattino, e Cristian ha regalato un cestino di caldarroste a tutti i clienti, quelli che erano lì quella sera a cenare nel ristorante. Poi c’erano due signori che amano le stelle, (gli astrofili), che dopo cena ci hanno messo a naso per aria a guadare nel buio pesto, e Francesco ha raccontato pezzi di cielo, e miti bellissimi, e costellazioni di nomi strani, dando forma a macchie che attimi prima erano senza senso. C’erano stelle cadenti di ottobre, tanti desideri per tutti i mesi a venire.
Due giorni e mezzo sono volati via così, ascoltando il posto, imparando e vivendo insieme. Al ritorno ci siamo fermati a mangiare il pranzo al sacco lì dal passo di Lagastrello, lungo il lago Paduli. I colori e il tepore di questo ottobre buono ci hanno accolti e accompagnati fino a casa, e dentro agli occhi ce li abbiamo ancora quando ci guardiamo, adesso e dopo, a scuola.
Questa cosa qui che abbiamo vissuto non si riesce a raccontare proprio tutta. Il rumore delle risate e le facce assonnate, le righe nere di carbone delle caldarroste sulla faccia, gli scherzi e gli abbracci, le canzoni un po’ sguaiate cantate apposta per fare un po’ stupire il prof. di religione Gatti, i rap improvvisati del prof. Bolzoni e i proffacciamociunselfie, gli abbracci stanchi per non aver voluto dormire molto, perché andare a letto voleva dire lasciare lì tutto il bello e il tanto, e anche pieni di sonno si voleva stare ancora insieme, con le facce piantate verso le stelle, tanto non faceva freddo.
Questa cosa qui, è una scuola fuori dalla scuola, che ci piace da vivere, noi ci crediamo e lo facciamo con quella passione e la volontà di attaccarcela gli uni agli altri.
Questa è la scuola buona, quella che poi ci fa sorridere quando torniamo in classe e ci rivediamo, con addosso ancora quelle correnti di emozioni e affetto, con tutto ancora negli occhi e nel cuore. Questa scuola qui, vissuta così, insegna cose non scritte, che restano lì.