Sic ego nec sine te nec tecum vivere possum
Così non riesco a vivere né con te né senza di te
( Ovidio)
Ci sono storie che sembra di non riuscire mai a chiudere. Relazioni pur insoddisfacenti, distruttive, diventano sterili nel tempo, e tuttavia tengono agganciati. Non servono i buoni propositi, le decisioni, i consigli e pareri esperti degli amici. Come una forma simbiotica di sopravvivenza, tali legami si protraggono all’infinito. Entrambi i partner sono insoddisfatti, aspettano frustrati che qualcosa cambi, migliori, si risolva.
Intrappolati in una danza sempre uguale, i due danzatori ricordano il mito di Sisifo, costretti a portarsi appresso il fardello di tale unione, sorretta da sforzo immane, per poi ritrovarsi a rotolare insieme al peso del masso del fallimento della relazione stessa.
In realtà l’altro piano piano scompare e resta soltanto la danza. Lo sforzo di arrivare a una ipotetica “soluzione” diventa obiettivo primario della vita di tutti e due i partner. Nella loro unione si instaura un braccio di ferro invisibile, dove ognuno si cristallizza, irrigidendosi in posizioni antitetiche.
Vincere contro l’altro diventa lo scopo della relazione. Spesso uno dei due dice “cambia” e l’altro dice “no”. Più che una relazione affettiva è una guerra degli opposti, e ciascuno vuole predominare.
Si segue uno schema prefissato, idealizzato, di come l’altro, o la relazione, dovrebbe essere. E si vive come frustrante ogni situazione in cui ci si allontana da tale copione deciso a priori. “Devi darmi di più” è una richiesta classica che determina in uno dei due, o in entrambi, infelicità.
Quel che succede in realtà è che l’altro spesso non viene visto per come è, per quello che fa, ma tutto ciò che avviene all’interno del rapporto è letto in chiave deficitaria. “Non sei abbastanza…presente, affettuoso, amorevole, attento” ecc, ecc. E la litania procede infinitamente in un inventario di mancanze.
Uno dei due si sente sempre “sbagliato” e inizia a cercare di fare meglio, di correggersi. E si accorge di non riuscire a soddisfare l’esigenza incalzante del compagno che spesso alza il tiro.
La caratteristica principale di tale relazione è che pur non contenti, si resta. Anche se i tentativi fallimentari portano a una rottura, frequentemente ci si riavvicina sperando che “questa volta sarà diverso…”
Ciò che porta ad attuare lo stesso copione nel frattempo è rimasto immutato e pertanto restano uguali le dinamiche.
Solo se si smette di chiedere all’altro e ci si analizza nel profondo del perché si dipende sempre da cosa farà e come sarà lui/lei, si potrà comprendere che ciò che si avverte come mancante non dipende dall’esterno, ma da una condizione interiore.
Essere incapaci di individuare la radice dei propri bisogni porta a cercare di risolverli con "oggetti" (in questo caso la persona amata) compensatori esterni.
Da parte sua l’altro deve dimostrare attraverso il non “mollare” di valere e di avere una sua autonomia. E resta ugualmente intrappolato e invischiato nella danza.
Entrambe le figure necessitano di tornare a se stesse e mettersi in ascolto delle proprie ferite, con la consapevolezza che l’altro da fuori potrà solo alleviare, ma mai guarire, un profondo senso di disagio che nasce dal non avere avuto un oggetto d’amore primario rassicurante e accudente.
Imparare a prender cura di se stessi è possibile. Solo così si potranno lasciar andare relazioni malsane, presenti a ricordare un nucleo affettivo irrisolto e da analizzare.