Guidetti Ricciardo
Anche su questo autore abbiamo pochissime informazioni. Per il prof. Giovanelli visse a cavallo tra il 1800 e il 1900. È comunque attivo fino al 1930 circa, visti gli argomenti che ha trattato e alcune allusioni fatte da Orazio Campani quando l’ho intervistato.
Gli argomenti di Ricciardo sono più vari rispetto a quelli degli altri satirai, ma si tratta comunque di persone o fatti presi dalla vita quotidiana, quasi sempre persone poco perspicaci.
La lingua usata è un italiano abbastanza valido, che tuttavia trasuda dialetto in continuazione sia nei termini che nei concetti. Ricciardo è consapevole del proprio valore e lo sottolinea spesso, quasi lanciando una continua sfida a chi cerca di imitarlo. In altre parole chi non la pensa come lui viene considerato un perfetto tonto:
La Pietra di Bismantova
forse non è abbastanza
a far da contrappeso
alla tua grande ignoranza!
Il concetto che i rimatori improvvisati (o antagonisti) non abbiano qualità ritorna spesso, non solo in Ricciardo. Lo conferma una quartina che, per lo stile e la lingua, potrebbe essere attribuita al nostro autore:
“... Conosco ora un poeta
che abita a Ciano d’Enza:
Grande fa di cognome,
ma stretto è di sapienza”
(Citata da Orazio Campani) (6)
E all’inizio dell’ottocento circolava un epigramma caustico verso questi presunti poeti:
E che tu sia poeta nol contrasto:
solo ti manca la cavezza e il basto. (7)
Di Ricciardo ci sono rimasti diversi componimenti molto prolissi. Me è sopravvissuta una satira in dialetto, che ricorda una specie di certàmen tra il nostro autore e un poeta di Vedriano (c’è chi pensa fosse un certo Del Rio, ma senza certezze) che Ricciardo ridicolizza perché non lo ritiene all’altezza del compito.
Nella borgata Corte di Vedriano c’è stata una lite. Il poeta locale vuole dire la sua sul fatto scrivendo dei versi su una specie di manifesto che espone nel sagrato. Quel foglio viene definito Impanata (8).
Pròpia adès a Vederiân
l’é dâ föra un barbagiân
ch’al völ fâr d’ la puešìa
ma a n’ sa gnân cúša la sia.
Šù da Cûrt, l’ûtme d’ Carnvâl,
a ‘l s’é mìs a dîrne mâl,
cûn d’i argumênt sênsa sustânsa:
l’é un scritûr piên d’ignurânsa!
L’ha ciapâ sú un’impanâda
e ‘l n’ha fat un’impiastrâda
atàch al mûr dal segrâ
pr’êsre un cujûn matriculâ.
Cùša l’àbia pu’ vrû dîr
ansûn a l’ha pudû capîr
perché ‘l gh’ha ‘na caligrafìa
che ansûn a gh’ farà la spia.
A ’n capìs da un’O a un’Àca,
da ‘na pégra o da ‘na vàca,
l’é pròpia ûn ad chi merlòt
ch’a ‘n cgnùs gnân dal dì a la nòt.
Prêga Crìst ch’a t’ tìgna a diêta.
làsa stâr d’ fâr al puêta,
ch’l’é un mestêr ch’l’é fat per chî
ch’a gh’ha d’ l’inšìgn sùta ai cavî,
ch’gh’ha talênt e fantašìa,
ch’a cgnùs un pô la puešìa,
mìa cme te, cun júst la scôrsa,
e t’a ‘n n’in sê d’ansùna sôrta!
NOTE
(6) Pare che il poeta chiamato in causa fosse un certo Grandi, che abitava a Ciano o da quelle parti. Esiste un frammento di satira relativo alla Cassa Agraria, una specie di cooperativa con sede in Ciano, sorta sotto il fascismo e chiusa alla fine della seconda guerra. Si trattava di un emporio in cui gli agricoltori trovavano tutto ciò di cui potevano avere bisogno. La paternità della satira suddetta viene da alcuni attribuita a Ricciardo e da altri a questo Grandi.
(7) Il distico è riportato su La montagna tra il Secchia e l’Enza, Arnaldo Forni ed., 1976, a pag. 54, in un articolo da firma di F. Gualerzi.
(8) Si chiamavano Impanâda i fogli di carta usati al posto dei vetri dalle famiglie povere. Erano larghi fogli di carta consistente, una specie del nostro bristol, usata per i grossi registri dei Comuni e dei notai. Questa satira è riportata su La véta muntanāra, ma non completa. Ho proposto la versione ricostruita dopo l’intervista ad Orazio Campani e ad altri, con la pronuncia di Vedriano-Castellaro.
E tu invece sei Savino, dal latino, saggio. Farci conoscere tanti personaggi che rimarrebbero sconosciuti ai più, è un atto d’amore verso la nostra cultura e il nostro territorio. Vorrei che anche i giovani approfittassero per leggere le cose che pubblichi.
(Ilde Rosati)