Le tre Associazioni ambientaliste dicono di avanzare anche delle proposte, ma a noi sembrano piuttosto delle istanze “secche” e abbastanza perentorie.
Sui piani di controllo, ad esempio, chiedono che venga proibito di abbattere cuccioli, femmine gravide o in lattazione, e che vengano definiti mesi di “quiete venatoria” onde evitare agli animali inutili stress, ma una vera proposta dovrebbe andare oltre e dirci pure in che modo regimare quelle specie selvatiche la cui espansione sta da tempo provocando complicanze e danni alle attività agricole.
Anche perché, se non si trova una risposta soddisfacente a tale problema - contenimento della sovra popolazione di talune specie e risarcimento danni - diventa poi irrealistico e contraddittorio auspicare un ritorno alla coltivazione dei nostri terreni e un recupero degli incolti, come oggi in molti vanno sostenendo anche come strumento di difesa idrogeologica.
Più in generale, noi riteniamo anche che l’esercizio venatorio faccia parte delle nostre tradizioni, e i costumi di un Paese vadano quanto più possibile mantenuti perché aiutano a conservarne l’identità, pur se nella fattispecie va sempre ricordato che la fauna selvatica è patrimonio dell’intera comunità e non di singole categorie di cittadini (un tempo la si definiva patrimonio indisponibile dello Stato).
In base a detto principio sembra anche a noi che in questo campo debba essere la Provincia il vero punto di riferimento, e il principale interlocutore, perché l’ATC rappresenta una parte soltanto della comunità dei cittadini, e crediamo pertanto che la Provincia non possa sottrarsi a tale suo ruolo.
Buongiorno, ciò che mi spiace per l’ennesima volta constatare è che nessuno mai tenga in considerazione i danni arrecati dalla fauna selvatica (e in particolar modo mi riferisco ad ungulati) ai privati. Io non sono agricoltore, ma ho un piccolo frutteto che abbiamo realizzato con spesa e lavoro, che mi è stato quasi distrutto dai cervi. Ho un piccolo vigneto, che i caprioli utilizzano come banco frutta gratuito… Il frutteto lo abbiamo protetto con recinzione elettrica, a nostre spese, il vigneto no, in quanto il costo da sostenere sarebbe troppo elevato. Perchè non si riconosce mai nulla ai privati? Magari anche solo gli strumenti di protezione. Ma se ci si rivolge ad Atc o alla Provincia la risposta è sempre la stessa, non essendo lei agricoltore, non è prevista alcuna forma di risarcimento o aiuto. Non ritengo che questo tipo di gestione sia corretta. In altri stati europei si adottano politiche in questo ambito, dalle quali, forse, potremmo trarre qualche insegnamento.
(Davide, Carpineti)
Se – come da più parti viene caldeggiato per una pluralità di ragioni – si vuole promuovere e incoraggiare il recupero degli incolti o il dare una qualche continuità alla lavorazione di terreni destinati a diventare tali, occorre aver presente che oggigiorno molti proprietari di detti appezzamenti non si configurano come azienda agricola e il loro numero è destinato verosimilmente a crescere, dal momento che l’esodo dalla terra pare non arrestarsi (salvo una qualche eccezione e a meno di assistere ad inversioni di tendenza). Si tratta per lo più di famigliari o eredi degli agricoltori di un tempo, i quali si trovano ad esercitare altre attività ma che potrebbero essere comunque interessati, o già vi stanno provvedendo, a non lasciare in abbandono i propri campi e boschi, talvolta anche per dare una mano ai bilanci di casa. Tra loro c’è chi può dedicarvisi in via diretta, per il tempo di cui dispone al di fuori del lavoro principale, mentre altri devono semmai affidarsi a terzi – per mancanza di tempo, attrezzatura, attitudine, ecc… – aspetto questo che si presterebbe ad ulteriori considerazioni, ma non è questa la sede per farlo. In ogni caso tutto questo insieme di “privati” può dare un discreto contributo ad arginare in qualche misura la dismissione dei terreni e coltivi, specie se iniziative del genere avessero a moltiplicarsi, e andrebbe pertanto trovato il modo di non escluderli a priori da eventuali aiuti economici, ivi compresi quelli per danni da fauna selvatica, pur dando naturale precedenza alle aziende agricole, e potrebbero pure vagliarsi altre forme di supporto tecnico-burocratico che funzionassero da incentivo (e forse, come dice il primo commento, vi sono già esempi ed esperienze in tal senso cui poter attingere).
(P.B., 21 giugno 2014)