Un'estate alla riscoperta delle antichissime, artistiche e sacre maestà montanare dell'Alta Val d'Enza. Purtroppo molte sono state rubate nei decenni passati da ladri senza scrupoli e non più ritrovate. Erano presenti in tutti i borghi delle terre alte ed anche nelle strade che conducevano da un paese all'altro, specialmente negli incroci per indicare la giusta direzione da prendere e magari fermarsi un attimo in preghiera o a riflettere sul da farsi. Erano gli scalpellini apuani che si portavano fin quassù per realizzare queste vere opere d'arte che abbellivano case, stalle, edifici religiosi o civili, insomma l'intera comunità rurale del piccolo mondo antico.
Fino all'inizio del secolo XVIII il contributo di Carrara alla storia dell'arte fu importantissimo ma indiretto: dalla valle del Carrione, cioè, partivano soprattutto blocchi di marmo e maestranze in grado di lavorarli. Unica eccezione, in questo quadro, le maestà, e cioè i piccoli rilievi devozionali che cominciano a punteggiare di bianco i borghi della Lunigiana e delle valli dei cavalieri, al di sotto del passo del Lagastrello dalla fine del secolo XVI in poi, in significativa coincidenza col radicarsi fra i laici delle pratiche devozionali promosse dalla Riforma cattolica. Attraverso i valichi appenninici le maestà si diffusero presto nelle vallate che oggi definiamo emiliane ma un tempo di pertinenza dei marchesi di Toscana (per intenderci la famiglia della gran contessa Matilde di Canossa), ove erano esibite come oggetti "esotici", mentre i lapicidi pietrasantini cominciarono per tempo a produrre marginette sul modello di quelle carraresi.
Le maestà non nascono dal nulla: già nel secolo XV si collocavano sulle terre alte rilievi devozionali in marmo recanti la data ed il nome del committente ma soltanto con la fine del secolo XVI il fenomeno assunse dimensioni imponenti e gli esemplari marmorei presero il sopravvento su quelli dipinti.
L'interesse per le maestà assomiglia ad un fiume carsico: scompare, riaffiora, scompare di nuovo... All'inizio degli anni Ottanta si datano le prime ricerche sull'argomento, fino ad allora affrontato soltanto con l'ottica dell'etnologia, da parte degli storici dell'arte e si avviano le prime catalogazioni a tappeto, a cominciare dal bel libriccino Le maestà montanare delle Valli dei cavalieri del parroco (di allora) di Vairo di Palanzano, il rimpianto don Lucio Masoli (che ricordava come nei decenni scorsi sul solo territorio di Vairo, Nirone e Valcieca si potessero contare centinaia di maestà dal valore artistico ed anche in soldini di non poco conto).Purtroppo oggi l'interesse degli studiosi è inesorabilmente calato ma potrebbe ridestarsi se gli enti locali proponessero e si facessero parte attiva di una iniziativa di salvaguardia e di valorizzazione insieme di quello che rimane di questi antichi storici ed artistici manufatti di marmo, che meritano di non essere dimenticati perchè facenti parte della nostra storia di piccole ma importanti comunità rurali dell'Appennino tosco-emiliano. Questo è l'auspicio di tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio delle terre alte. Una "miniera" di cultura che si trova all'aria aperta, su un importante territorio da riscoprire come quello dei comuni di Ramiseto, Palanzano, Monchio delle Corti e Comano. Maestà da proteggere e conservare per il ricordo dei tempi andati. La nostra memoria storico-culturale che non può andare persa.
Le maestà sono una importante manifestazione culturale e tradizionale, questo articolo le riporta all’attenzione di tutti.
Esistono studi, pubblicazioni specifiche e censimenti in Garfagnana e nel parmense su questo argomento, che è una realtà appenninica, non solo delle nostre valli emiliane. Nel ramisetano ne sono state censite solo una parte, pochi anni fa è stato realizzato un opuscolo che riguarda l’area della val Liocca… ormai introvabile. Negli anni le maestà sono state sottratte da ignoti o spostate, talvolta dalle stesse famiglie che le avevano collocate nei loro pilastrini lungo le strade sterrate… Questo perchè gli abitanti dei nostri paesi preferiscono a volte tenerle in casa e sostituirle con immagini meno preziose piuttosto che trovare vuoto il tabernacolo, come è successo a volte anche a me…
(Rachele Grassi)