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Una regione che frana

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Frana mappa

Una regione che frana. Stiamo parlando proprio dell'Emilia che negli ultimi anni sta franando in maniera drammatica, specialmente sulle terre alte. La Regione Emilia-Romagna ha pubblicato nei giorni scorsi i rapporti sulle frane del 2013 e sulle frane dell’inizio del 2014 che dimostrano come a causa di terremoti e precipitazioni più abbondanti e intense, l’Appennino si sta muovendo come non mai. Nel corso degli anni ’60 si registravano in Emilia fra 200 e 500 movimenti franosi nei periodi di maggiori piogge, cioè a primavera e in autunno. Negli anni ’70 e fino ai ’90 il numero era calato fra 100 e 200 eventi a stagione. Dal 2005 se ne sono registrati di nuovo fra 200 e 500, ma mai tanti quanti nel 2013 e nella prima parte del 2014. Fra marzo e aprile 2013 le frane segnalate hanno superato il numero di mille. Fra dicembre 2013 e marzo di quest’anno se ne sono registrate ancora fra 500 e mille.

I due momenti peggiori sono stati marzo-aprile 2013 e dicembre 2013-marzo 2014. Nel panorama regionale Parma emerge come area con il massimo numero di frane, alcune delle quali fra le più estese e pericolose. L’Appennino parmense, assieme a quello piacentino, non solo è il più alto, ma anche quello dove cade più neve. Nell’ultimo inverno la parte della val Taro e val Ceno (Parma) è stata pure fra quelle più interessate ad eventi che i meteorologi definiscono “anomali”: precipitazioni superiori alle medie storiche.
Quest’ultimo inverno, le frane hanno obbligato ad evacuare oltre 30 edifici e più di 50 persone e hanno danneggiato più di 300 strade comunali e 70 provinciali. Nella primavera dell’anno scorso, in tutta l’Emilia-Romagna, le frane hanno causato la distruzione di 33 abitazioni con 130 persone evacuate,36 attività produttive, 2 tratti di strada statale, 15 di provinciali, 21 strade comunali e più di altre 800 strade comunali e provinciali sono state seriamente danneggiate. Nel parmense ci sono ben 30 comuni con frane segnalate fra marzo e aprile 2013, dei quali tre con oltre 30 movimenti franosi diversi, a Neviano, Tizzano e Corniglio. Nel bolognese i comuni colpiti da frane nel 2013 sono 25, nel piacentino 22, altrettanti nel modenese, 20 nel reggiano, 19 nel riminese, 16 in provincia di Forlì-Cesena, tre in provincia di Ravenna.Il periodo da dicembre a marzo scorso è andato appena meglio, ma Parma resta comunque il territorio più danneggiato. I comuni coinvolti a Parma sono stati 28, a Piacenza sempre 22, a Reggio 17, a Modena 18, nel bolognese 28, a Ravenna 22, a Rimini 17, a Forlì-Cesena sempre tre. Nel parmense sono sei dei dieci Comuni con oltre 20 frane.

Nel rapporto regionale si trova, approfondita, la descrizione delle principali frane che interessano la nostra regione: SP 84 Miratoio, Pennabilli (RN); Sassi Neri, Farini (PC); Monte Penna, Villa Minozzo (RE); Torre Chiastre, Berceto/Calestano (PR); Muriccie, Castiglione dei Pepoli (BO); Micone, Fornovo di Taro (PR); Pietta, Tizzano Val Parma (PR); Cisone, Tizzano Val Parma (PR); Quercioli, Carpineti (RE); Montevecchio, Cesena (FC); Boceto, Borgo Val di Taro (PR); Ronco Puzzola, Grizzana Morandi (BO); Montecchi - Silla, Gaggio Montano (BO); San Leo (RN); Poggio Zampiroli, Brisighella (RA); Losso, Ottone (PC); SP 25 Valbura, Premilcuore (FC).

4 COMMENTS

  1. Scusate, mi fate capire, l’elenco è un bollettino di guerra o di lavori da effettuare a breve? Ricordo anche la frana del Piagneto di Collagna in provincia di Reggio Emilia, lungo la S.S. 63, e il definitivo ripristino, che non è compreso nell’elenco sopramenzionato. Ringrazio anche dell’eventuale finalmente miglioramento della strada statale 63 da Castelnovo ne’ Monti verso la montagna.

    (Paolo Ferretti)

    • Firma - PaoloFerretti
  2. Cari amministratori e politici, riuscite a capire il perché nel nostro Appennino avete voluto fare abbandonare i territori dalla presenza umana. Nessuno si è preoccupato di guardare e imparare come hanno fatto in Trentino o zone limitrofe. Forse sarebbe bene imparare per il futuro.

    (Un montanaro di razza)

    • Firma - f.g.
  3. Che il territorio montano sia stato trascurato è vero, ma ciò è avvenuto su diversi fronti contemporaneamente: da quello della progressiva scarsità di fondi da parte delle finanze pubbliche a quello dell’assenza di presidio agricolo da parte dei suoi abitanti, perché l’economia ha reso impraticabile l’attività agricola, se non quella raggruppata in grosse aziende. Si è persa nel tempo quella necessaria cura di regimazione delle acque superficiali che sta alla base di un più sicuro assetto idrogeologico a causa del progressivo abbandono del territorio, avvenuto per inseguire quei modelli economici e di vita che portavano “tutto” nei luoghi di produzione, di quel tipo di produzione che l’economia ha preferito retributiva e di cui ci ha pure convinti, fino a quando oggi ci si accorge che gli interventi necessari per affrontare i dissesti al punto in cui siamo arrivati sono troppo ingenti, ma questo solo nel momento in cui questi interessano la grande viabilità e gli abitati. Non si è voluto preoccuparsi del grande disastro diffuso che si stava generando nell’Appennino, come del resto in tutta la penisola. E’ dagli anni ’70 che si sentono lanciare allarmi in questo senso e per decenni si è intervenuti solo sintomaticamente ad arginare episodicamente i fenomeni. Tutto perché interessavano solo quegli assi viari che servivano a raggiungere quei luoghi di produzione concentrati, che oggi però rivelano tutta la loro fragilità con la crisi di occupazione che emersa nell’ultimo quinquennio. La frane non le produce la pubblica amministrazione, ma sono il risultato dell’abbandono dei territori che i modelli di vita che abbiamo inseguito per decenni hanno determinato. Redistribuire le presenza dell’uomo nel territorio sarebbe magnifico, ma la famigerata economia non lo consente, almeno quella a cui siamo stati abituati e che ci ha fatto cadere in una illusoria trappola. L’uomo che sta in fabbrica, in negozio o che risiede nella sua casa in città, non ha conoscenza e memoria di ciò che ha lasciato nel terreno al di fuori, l’agricoltore invece quando rientra a casa si ricorda benissimo cosa ha lasciato fuori e di lì a breve sa di dovere intervenire. Le frane sono un prodotto del nostro sistema così come la mancanza di fondi per affrontarle, dato che non sono “produttive e concorrenziali”, e così come lo sono le più intense precipitazioni meteoriche frutto dell’inquinamento: abbiamo riempito alcuni bicchieri, ma forse ne abbiamo lasciati vuoti altri. Riflettiamoci.

    (Pensiamoci)

    • Firma - pensiamoci