Home Cronaca “Anche per i cattolici il 1° maggio ha un grande significato”

“Anche per i cattolici il 1° maggio ha un grande significato”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Un amico di sinistra, forse più per provocarmi, che crederci sul serio, mi ha detto: ma tu domani festeggi il primo maggio  Cosa potevo risponderci se non questo: che la giornata del primo maggio, quest’anno, capita nella vicinanza della Pasqua, appena celebrata. C'è quindi una ragione in più per celebrarla insieme a credenti e non credenti, tutti uomini di buona volontà tesi al diritto al lavoro, alla giustizia sociale, che fanno parte del bene comune, come ci hanno insegnato e ci insegnano anche i “solenni" testi della Dsc-Dottrina sociale della Chiesa. Si tinge perciò di speranza, già alla luce di quell’evento di grazia. Resta una giornata di lotta, non contro, ma pro, tutti insieme, sempre necessaria, per la tragedia crescente di questa crisi. È quel lottare per il lavoro, che ci ha indicato papa Francesco nella sua visita in autunno in Sardegna: Signore Gesù, a te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi!

Le veglie di preghiera e le Sante Messe che si celebrano da tante parti (diocesi, parrocchie, movimenti... penso alle Acli!) assumono perciò, oggi, un significato particolare.

Si fa invocazione, ma anche impegno. Per tutti. Nessuno, oggi, in questo momento, può tirarsi indietro. Nessuno può scaricare la croce sulle spalle dell’altro, ma come Cirenei della speranza, chiediamo a tutti, come vescovi della pastorale sociale, una particolare, come si dice spesso, empatia, davanti ai tantissimi drammi sociali. Empatia è allora il condividere, lo star vicino, nella capacità di aiutarci tra di noi, per dimenticare un po’ l’egoismo e sentire nel cuore il “Noi”, come popolo che vuole andare avanti. Sono sempre le parole di papa Francesco che ci danno il tono, il coraggio, la forza in questa delicata situazione storica che viviamo.

Questo ci viene ricordato, con chiarezza, da una nota del 21 aprile scorso “Nella precarietà, la speranza" della Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro della Cei, come messaggio dedicato ai lavoratori per la festa del primo maggio. Ci rendiamo sempre più conto che senza lavoro nessun giovane e nessun padre di famiglia ha dignità né sicurezza. Senza il lavoro non c’è umanesimo. È un costruire sulla sabbia la nostra civiltà. Perché non rispetta la persona. Vittime come siamo di un’economia che ci vuole rubare la speranza, per i sistemi ingiusti che crea, perché spesso il denaro governa invece di servire! È una sudditanza agli idoli. Quegli idoli che abbiamo rifiutato solennemente di servire nella notte santa della Veglia pasquale. Rifiutando satana e abbracciando invece Cristo, ci siamo impegnati a dire di no alla nuova idolatria del denaro che esclude e non include.

La riflessione acutissima della Evangelii gaudium al numero 53 così descrive l’attuale situazione di aperta ingiustizia, diffusiva. Va ben oltre le tradizionali analisi di natura marxista, che spesso in passato venivano utilizzate. Infatti non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiutati, “avanzi!”.

Crediamo che il rileggere queste pagine, così tremendamente attuali, nell’ambito di questa consueta giornata per il lavoro che il primo maggio sempre evoca con commozione nel nostro cuore di cristiani e cittadini, ci faccia molto bene. Ci sentiamo interpretati, capiti, aiutati da questo concretissimo Magistero papale. Lottiamo con più forza per il lavoro, imparando a conoscere i meccanismi di esclusione che vengono attuati, spesso con spietata durezza.

Che fare, allora, come comunità cristiana? Come reagire? Come sperimentare la Pasqua del Signore risorto in questo drammatico contesto? Alcune commissioni episcopali (per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; per il laicato; per la famiglia e la vita) hanno scelto di riflettere su tutto questo, in uno specifico convegno che si terrà a Salerno nei giorni 24-26 ottobre 2014, con un titolo di grande efficacia: Nella precarietà, la speranza!

Come icona biblica per questo cammino, la nota della Cei, che abbiamo ripreso per esigenze di spazio solo in alcuni punti, ci suggerisce il brano di Lc 5,1-11. È  la cosiddetta  pesca miracolosa. Un Gesù che incontra Pietro ed esperimenta il dramma delle reti vuote. Lo possiamo leggere così, suddividendolo in tre messaggi, per un’attualizzazione di grande speranza per tutti noi. È Gesù stesso che ci insegna un metodo per come riempire quelle reti vuote: formazione, coraggio e solidarietà reciproca.

Ma per insegnare (ad es. formazione professionale a tutti i livelli, apprendistato), lanciare il cuore nella lotta quotidiana, intraprendere nei mestieri e nella solidarietà, occorre tempo. Il Papa, anche qui, è tagliente: L’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività, riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi (EG n. 204)Certo, occorre tempo. Spesso tanto tempo. Ma il tempo è sempre superiore allo spazio, poiché dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che possedere spazi, privilegiando azioni che generano nuovi dinamismi nella società, coinvolgendo persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Saremo così in grado di costruire un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale (EG nn. 223 e 192).

Ecco le ragioni per le quali anche un cattolico, talvolta non di sinistra, può festeggiare a testa alta il primo maggio, festa di tutti i lavoratori, e non solo quelli di un determinato “colore" politico.

(Luigi Bottazzi)

 

2 COMMENTS

  1. Ma che c’entra la politica con la religione e la festa del 1° Maggio? Credo che tutti oggi dobbiamo festeggiare, pur amareggiati, e pregare contro la disoccupazione giovanile, per i lavoratori precari, per coloro che il lavoro non lo trovano. È quel lottare per il lavoro che tante persone hanno perso la vita, i nostri padri, nonni hanno lottato per darci una dignità, perchè lavoro per una persona è dignità; quella che oggi ci hanno tolto. Io sono, sarò e resterò sempre di sinistra, ma oggi proprio in memoria dei nostri caduti per la libertà sono andata in chiesa, cosa che faccio raramente, ne sono felice ed ho pregato proprio per i nostri figli ed il loro futuro. Amico di Luigi, non occorre essere di sinistra per festeggiare, occorre credere nel futuro e pregare, sperare che sia migliore per tutti.

    (F.L.)

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