Riceviamo e pubblichiamo.
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Quest’anno inizia la rievocazione del 70° anniversario della Resistenza, in un momento molto difficile per il nostro Paese. Sono convinto che le speranze, le idee ed il sacrificio che furono il fondamento della resurrezione della Patria non solo vanno ricordate, ma vanno rivissute per uscire dalla palude in cui siamo caduti. Allora facciamo insieme un percorso, spirituale e culturale, come facero allora i militanti comunisti, democristiani, socialisti, laici del partito d'azione, liberali e repubblicani, assieme a tanti altri semplici cittadini, sacerdoti, religiosi, che senza prendere le armi, sono stati senza alcun dubbio parte attiva della Resistenza. Allora, come scrisse in una sua poesia ai partigiani cristiani, associazione a suo tempo fondata da Enrico Mattei, Padre David Maria Turoldo: “Riprendiamoci amici il nostro nome di battaglia e rivestiamoci con le armi della luce”.
Dobbiamo ricordare insieme, oggi, cari vecchi partigiani, donne e uomini, giovani e non giovani, sensibili e partecipi al valore della libertà e della democrazia riconquistata in quel lontano 1944, che questo 25 aprile rappresenta un punto di arrivo ed insieme un punto di partenza. Di arrivo, perché conclude quella dolorosa vicenda, iniziata all’indomani della fine della prima guerra mondiale, che avrebbe lasciato un Paese profondamente cambiato e inserito in un contesto globale radicalmente nuovo. Di partenza, perché nel momento stesso in cui quella dolorosa parentesi si chiudeva, subito se ne apriva un’altra, quella della ricostruzione, civile e istituzionale innanzitutto, d’Italia. A ricostruire il Paese furono le stesse forze politiche che erano state forgiate dalla comune esperienza della Resistenza ed esaltate dalla Liberazione e lo fecero a partire dalla sua Carta fondamentale: la scrittura della Costituzione della Repubblica vide infatti realizzarsi, in un unicum storico di straordinaria importanza, una collaborazione storica tra due blocchi che, seppur profondamente divisi, seppero unire le loro migliori energie ed intelligenze intorno a una comune idea non solo di Stato, di società e di cittadino, ma anche e soprattutto di uomo. Fu quello, il passaggio fondamentale che decise il destino di un Paese che era passato dalla debolezza del regime liberale all’esperienza del Ventennio e si era, infine, ritrovato in macerie. Ricostruire significò allora per prima cosa scegliere: scegliere di abbandonare la monarchia, di deporre le armi, di preferire la via della pacificazione a quella della vendetta. Ma anche ripulire il terreno dalle macerie e decidere insieme che Paese sarebbe stato l’Italia da quel momento in poi, in quale modello di uomo e di società insieme ci saremmo specchiati, per realizzare quale cittadinanza avremmo dovuto impegnare tutte le nostre energie da quel momento in poi.
In quel momento gli italiani, provocati nella coscienza dall’esperienza del Ventennio, dalla barbarie di una guerra ingiusta in cui ad essere annichiliti furono, prima che i popoli, il concetto stesso di uomo e la dignità delle persone, seppero tornare ad essere esempio di dignità dandosi una Costituzione che metteva con forza la persona umana al centro di qualsiasi teorizzazione civile, sociale, statuale, politica.
Ciò che la guerra e i suoi protagonisti avevano distrutto – il concetto di uomo – noi in quel momento ricostruivamo con caparbia determinazione. E lo facemmo a partire dalla Carta fondativa dello Stato.
Con uno straordinario coraggio, i componenti delle forze politiche che avevano liberato il Paese, coloro i quali si erano ritrovati a combattere in prima linea, in tutte le sedi, dalla clandestinità in patria e dall’esilio, per la liberazione d’Italia, sancivano che da quel momento in poi la sovranità sarebbe spettata alla persona.
La ricchezza e l’attualità della nostra Costituzione risiedono infatti nella sua caratteristica principale, di essere cioè Costituzione vivente, che non si esaurisce nell’affermazione di vuote formule o astratti postulati, ma traccia una rotta da seguire, indica a che cosa deve essere rivolto il lavoro di ogni cittadino, di ogni associazione di cittadini, di ogni amministrazione e istituzione dello Stato: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Una Costituzione viva, per lo spirito ricostruttivo che l’anima, per la centralità della persona. Sono questi i fili conduttori, a quasi settant’anni da quel giorno, della nostra esperienza di cittadini e di Italiani oggi; gli elementi che rappresentano un ponte tra oggi e quel 25 aprile. Gli eventi degli ultimi, difficilissimi mesi ci dicono che siamo arrivati al termine di un modo di intendere lo Stato e il rapporto tra cittadini e istituzioni. Il senso del nostro 25 aprile è quindi, oggi come allora, nello spirito della ricostruzione di un Paese che riporti la persona umana al centro di ogni discorso, di ogni scelta, di ogni comportamento, di ogni regola del nostro essere società e Stato. Lo strumento ce l’abbiamo: va difeso, riformato e celebrato. Le parole e lo spirito dei Costituenti devono animarci oggi nello sforzo di ricostruire un Paese che appare esausto, senza speranza, rassegnato al peggio. Ma che proprio per questo deve recuperare la centralità del lavoro proclamata dalla Costituzione: un lavoro in grado di esprimere le potenzialità della persona e capace di essere ancora una volta luogo dell’inclusione e dell’ordine sociale. Ricostruzione e Costituzione per ripristinare la centralità dei cittadino rispetto allo Stato, della persona rispetto alla politica e, soprattutto, all’economia e alla finanza. Ecco è il momento giusto per continuare e per consolidare un percorso cominciato settant’anni fa.
(Luigi Bottazzi, presidente del Circolo di cultura “Giuseppe Toniolo", Reggio Emilia)
Concordo su tutto quanto affermato dal presidente Bottazzi circa il contributo dato dai partigiani alla riconquista della libertà del nostro paese anche se in occasione delle commerazioni del 25 Aprile, quasi sempre, viene omesso il contributo dato da moltissimi soldati italiani che si aggregarono all’esercito alleato. Desidero quindi essere io a ricordarli e a ringraziarli per ciò che hanno fatto nel riconquistare l’Italia a partire da Napoli, dove anche mio padre Brenno dopo l’otto settembre, proveniente dalla Sardegna, si aggregò. Avrei voluto saperne molto di più di quel periodo ma mio papà cercava sempre di evitare di parlarne salvo, dopo mie insistenze, elencarmi nomi di località come: Montecassino, Campiglia Marittima, Cecina, Livorno e per ultimo Castiglione dei Pepoli, senza però entrare nel merito delle battaglie teatro dei luoghi suddetti e senza raccontarmi dei rischi e delle sue paure patite. Sono convinto che questo atteggiamento fosse per non spaventarmi e cercasse, in ogni modo, di cancellare quei momenti dalla sua mente di uomo che odiava, in assoluto, la guerra e la violenza. Grazie a Dio, erano le 18 c.a. del 28 aprile 1945, vestito con abiti militari americani, dopo tre lunghi ed interminabili anni lo riabbracciai con infinita gioia e commozione che mi prende anche mentre scrivo questa mail. Grazie.
(Sergio Tagliati, Reggio Emilia, 1 Maggio 2014)