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“Qualcosa che noi chiameremo felicità”: il resoconto di un viaggio in Ungheria di Gabriele Agostinelli

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Gli studenti del convitto di Correggio e dell'IIS di Castelnovo Monti

Gli studenti dell’IIS Castelnovo ne’ Monti e gli studenti del Convitto Nazionale Statale “R. Corso” di Correggio hanno partecipato al Meeting indetto dal progetto europeo Comenius – History in our kitchen, che si è tenuto in Ungheria dal 19 al 23 Marzo. L’intero progetto era coordinato dai professori Ameya Canovi e Claudio Ligabue, gli studenti sono stati scelti secondo criteri meritocratici. I ragazzi (Gabriele Agostinelli, Maickel Abbati, Chiara Paglia, Salsabil Beji, Fabiana Evarini, Brigitta Bigliardi, Mara Conte, Gerardina Cozzolino, Filippo Fiorini, Timoteo Casalgrandi, Emanuele Ghizzoni, Simone Faietti), accompagnati dai professori (Claudio Ligabue, Giuliano Spaggiari, Graziano Santo Sabato), hanno trascorso due giorni a Budapest e si sono poi recati a Pusztamérges, luogo in cui già alloggiavano due studenti del convitto di Correggio (Eleonora Pagliuca e Matteo Daloio). Qui gli studenti dell’IIS Castelnovo ne’ Monti hanno presentato ricette e prodotti tipici: i Cappelletti, il Parmigiano Reggiano, e il Lambrusco, alimenti caratteristici delle nostre zone, confrontandosi con nazioni quali Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Romania, Spagna, Turchia e Inghilterra.

Ma oltre a tutto questo, hanno vissuto.

Ecco il resoconto di Gabriele Agostinelli.

Qualcosa che noi chiameremo felicità

Le valige pronte con dentro le nostre cose, i nostri vestiti, i nostri pezzi d’Italia.

Con dentro le nostre storie, i nostri sogni migliori.

I chilometri sull’asfalto, i chilometri fra le nuvole.

Le persone che siamo, le persone che saremo.

Ungheria 2014, progetto Comenius. Budapest. Questa città qua con le luci nei ponti ad illuminare le notti, ad illuminare le nostre facce.

Alloggiamo qui due giorni, in un appartamento con le tende bianche e un televisore enorme. I primi ad entrare siamo io e Abba, il tipo della reception ci spiega due cose in inglese, e per quello che capisco sorrido. Poi qui è tutto bello. Così appena il tipo della reception esce dall’appartamento Abba ed io ci guardiamo e gridiamo: “MA CHE FIGATA!”

Doccia veloce, intanto arrivano anche quelli di Correggio.

C’è Simo che è alto alto, c’è Manu con il pizzetto, c’è Timo con i capelli davanti agli occhi, e poi c’è Fillo con i sorrisi in faccia.

Prima sera in Ungheria, mangiamo qualcosa di tipico, gulash e birra. Il tipo del ristorante ci dice che gli piace l’Italia e che è un ducatista, io credo che abbia sbagliato parola e gli chiedo cos’è un ducatista, lui dice che un ducatista è uno a cui piace la ducati. Il resto del tempo lo passiamo a raccontarci cose, a dirci chi siamo, chi crediamo di essere, a ridere di noi stessi anche se non ci conosceremo davvero mai.

Così io e Fillo si decide di farci un sacco di foto con le ragazze più belle che incontreremo per le strade. E guarda un po’, quando si torna a casa, nel nostro appartamento bellissimo, si scopre che le studentesse spagnole, quelle che parteciperanno al progetto proprio come noi, alloggeranno lì. E loro sono decisamente più belle dell’appartamento, penso.

La mattina dopo ci tocca aspettare Chiara, Brigitta e Salsa perché sono in ritardo e se non ci si è tutti non si va da nessuna parte, e il Liga e Spaggio sono un po’ impazienti. Ma fa niente, io lo so che fa niente.

Andiamo a vedere il mondo, a vedere i monumenti più belli, a mangiare dolci tradizionali della nostra non-tradizione. A scattare foto a colori.

Per pranzo chicken with paprika. Pomeriggio compre. Serata libera. Decidiamo di cucinare in casa, tipo pasta al tonno, o qualcosa al flambé. Qui quelli che sanno cucinare siamo io e Fillo, e allora ci si fa bella figura, e poi si sa che il flambé, il cibo in fiamme, fa sempre figo.

Ci vestiamo bene e si esce in queste strade che non conosciamo affatto, sembriamo degli esploratori con le cartine in mano e ogni tanto chiediamo informazioni a qualcuno che parla poco e male l’inglese. Però poi arriviamo in un pub che hanno costruito sulle rovine ebraiche dopo la guerra. C’è gente e c’è musica e ci sono i dipinti sulle pareti ed è immenso. Conosciamo quattro ragazze tedesche che vivono a Budapest e si parla un po’ delle solite cose con cui parli con le persone che non conosci e che sai che non rivedrai mai, guardandole negli occhi, sulle labbra, e sfiorare la loro pelle e sentire il loro profumo.

Però si fa tardi ed è ora di tornare in appartamento e si decide di prendere una scorciatoia e ci si perde, come è logico che sia ci si perde. Poi qualcuno ci offre del fumo e della coca, noi ci guardiamo male e diciamo di no, e per fortuna si ritrova la strada verso casa.

Il mattino dopo si parte per Pusztamérges, con le strade asfaltate male e le cuffie nelle orecchie. Quando arriviamo vediamo strane case, tipo baracche disabitate. L’unica cosa bella sembra essere la scuola, dove alloggeremo, anche se di fronte c’è proprio un cimitero, di quelli dove stanno i morti senza lumini. Qualcuno pensa che sfiga, pure io penso che sfiga. Però poi si entra in questa scuola immensa e  ci accolgono con i sorrisi e ci portano nelle nostre stanze, che non sono come quelle di Budapest, ma che vanno bene lo stesso.

Intanto qui la gente continua ad arrivare dalla Grecia, dalla Romania e dal resto del mondo.

Giorno dopo presentazione, qui a parlare di Cappelletti, Lambrusco e Parmigiano Reggiano. A parlare di noi.

Ci ripassiamo i nostri discorsi internazionali, ascoltiamo quelli degli altri. È il nostro turno. Respiro profondo, sorrisone, powerpoint, un paio di parole per rompere il ghiaccio, un paio di risate, e vai che si parte. Ma è tutto ok, tutto ok davvero. E poi io e Abba siamo i più eleganti di tutti. Applausi, soddisfazione, qualcosa che noi chiameremo felicità.

Pomeriggio gara di cucina, noi italiani siamo l’unica nazione con due scuole diverse, così io, Abba e Brigitta rappresentiamo Castelnuovo, Fillo, Mara e Dina Correggio.

Ci fanno preparare gulash e crèpes. Poco male. Noi finiamo prima e allora io e Fillo aiutiamo le spagnole  che le vediamo un po’ in crisi.

Ma i loro sorrisi sono così carini, e gli occhi, la pelle e io che dico ad Olaya che vorrei sposarla, ma sposarla davvero, e lei che mi prende le mani e mi da un bacio sulla guancia, di quelli piccoli piccoli come li danno solo i bambini.

La gara è finita, il verdetto dice: quinto posto non me lo ricordo, quarto Castelnovo, terzo Grecia, secondo Correggio… primo… primo Spagna.

Allora mioddio penso, mioddio!

Alla sera però c’è il “Gastro Quiz” e nella nostra squadra ci sono Santos e Spaggio e non c’è storia per nessuno, e lì vinciamo noi e basta.

Gli altri giorni passano veloci e l’unica cosa che so è che sono felice, ma felice sul serio.

E ogni tanto guardo Olaya e le dico che è la più bella del mondo e una sera con le stelle a colorare il cielo ci baciamo come nei film romantici, senza canzoni sotto, ma con il suono dei nostri respiri.

Così poi andiamo alla cantina del vino, al museo della paprika e del salame, in un parco medioevale, e il tempo passa e più passa e più mi sento bene. A qualcuno manca l’Italia, a me non lo so.

Ultima sera. Facciamo una festa e le rumene ballano proprio bene e gli altri ballano poco, ma noi italiani balliamo più di tutti perché ci sappiamo divertire, a modo nostro.

Notte serena e fresca, notte di sorrisi e nostalgia, a vivere e ridere e pensare che è l’ultimo giorno di questa storia bellissima che si chiama “Comenius, History in our Kitchen” e che la scuola ci ha regalato perché un po’ ce lo meritiamo.

Qui a conoscere gente che non siamo noi, ma che non siamo poi così diversi.

Qui ad innamorarci abbastanza delle ragazze con gli occhi chiari e i capelli scuri. E la pelle, e le storie scritte su quella pelle, il profumo di quella pelle. Dolce pelle, le nostre ultime parole, il nostro ultimo saluto, i nostri ultimi addii. Il sapore sulle tue labbra.

Il nostro ultimo goodbye, ed io che ti sussurro Thank you, thank you, thank you, e tu che mi chiedi Why?, ed io che ti rispondo ‘Cause I’m falling in love.

Con gli occhi chiusi e i baci sulle palpebre e l’aereo che non ci aspetta e questo specie d’amore come i ponti delle città che illuminano il mondo e anche i nostri sorrisi felici da fare schifo.

Thank you, and goodbye for now.

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Abba e Ago