Æquat omnes cinis
La morte rende tutti uguali (Seneca).
Qui c’è il pericolo di tenerla troppo per le lunghe. Il tema è stato trattato da quasi tutti i filosofi, dall’antichità fino ad oggi, e anche da Totò. C’è chi dice che la morte è l’unica cosa giusta perché non guarda in faccia nessuno. Æquo pulsat pede [Orazio, Odi I,4,13]: La morte colpisce con ritmo uguale. Quel pede non si riferisce all’arto ma alla misura (ritmo) della musica e della poesia latina. E il Tasso:
Miete i vili e i potenti, e i più sublimi,
e i più superbi capi adegua agli imi [Ger. Liberata, IX, 67].
E quando una morte ci sembra ingiustificata e ingiusta ecco il nepente che dovrebbe lenire il dolore: Muor giovane colui che al cielo è caro [Menandro, Commedie]. Noi siamo come dei frutti che vengono colti appena maturi. Di più?
Morte fura (ruba)
prima i migliori , e lascia stare i rei [Petrarca].
E, visto che abbiamo tirato in ballo Totò, vediamo cosa dice: A’ morte o’ saj ched è? È ‘na livella che dispone tutti gli uomini sullo stesso piano.
Nel 1700 le parrucche terminavano con una coda consistente. Quando scoppiò la rivoluzione francese continuarono a portarla i reazionari e i monarchici. L’espressione evidenzia un attaccamento irrazionale alle cose del passato.