Parlare di alcol in una nazione che vanta primati d’eccellenza nel settore vinicolo, con una tradizione pluri-millenaria, che riguarda ogni regione e ogni provincia del Bel Paese, è molto - molto difficile e molto ostacolato.
Parlarne in Montagna - da montanara - è ancora più difficile. Porre delle domande - nei migliori dei casi – infastidisce e provoca reazioni, non sempre contenute. Perché?
Per parlare di alcol, dobbiamo affrontare il discorso da almeno quattro prospettive: medica – sociale – educativa – politica. Da un punto di vista medico-sanitario l’alcol è una sostanza psicotropa e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) classifica l’alcol tra le droghe; è una droga giuridicamente legale ma è una sostanza molto tossica per la cellula epatica, più di molte droghe illegali, ed è causa di una dipendenza il cui grado è superiore rispetto alle droghe più conosciute. Come tutte le droghe, anche l'alcol ha un potere psicoattivo (è in grado cioè di modificare il funzionamento del cervello). La sua assunzione protratta nel tempo induce assuefazione (per ottenere lo stesso effetto bisogna aumentare la dose). Può nel tempo instaurarsi un legame specifico che condiziona negativamente lo stile di vita della persona che ne fa uso, mettendone a rischio la salute fisica, psichica, familiare e sociale.
Secondo l'Oms in Europa si ha il più elevato consumo alcolico al mondo. Il consumo per abitante è il doppio rispetto alla media mondiale. L'alcol è il terzo fattore di rischio per i decessi e per le invalidità in Europa e il principale fattore di rischio per la salute dei giovani.
Cos’è una sostanza psicotropa?
È detta sostanza stupefacente, psicoattiva o psicotropa (nel linguaggio comune, droga):
- una sostanza chimica farmacologicamente attiva;
- dotata di azione psicotropa, ovvero capace di alterare l'attività mentale;
- in grado di indurre, in diverso grado, fenomeni di dipendenza, tolleranza e assuefazione.
Anche se le diverse sostanze hanno in genere effetti complessi, l'azione psicotropa può essere classificata come:
- psicolettica: depressoria dell'attività mentale (es. oppioidi, barbiturici, etanolo);
- psicoanalettica: eccitatoria dell'attività mentale (es. anfetamine, caffeina, cocaina);
- psicodislettica: capace di alterare la percezione, lo stato di coscienza o il comportamento (es. cannabinoidi, allucinogeni).
Per via del loro potenziale psicotropo, le droghe sono state storicamente usate ampiamente, al di là dell'uso medico-terapeutico, (che pure per alcune di esse è assente), a scopo ricreativo ("recreational drug use") ma anche in contesti religiosi o culturali.
… ma… sentirsi dei drogati per un bicchiere di vino o una birra pare da t-a-l-e-b-a-n-i- (!),
Eppure – a rigor di logica: Se mi faccio una canna o una riga cosa sto facendo? Se mi faccio “un goccetto” cosa sto facendo?
Dal punto di vista della sostanza, come composizione chimica - l’alcol è un solvente usato nell’industria (non deve fare tanto bene quando scende nello stomaco!). Da un punto di vista educativo, senza trattare la materia con la lente della professione, provo a interrogarmi, come cittadina e come genitore, su comportamenti consolidati che vogliono apparire “normali” ma “normali” non sono; e quando parlo di “normale” (tralasciando il concetto da un punto di vista psichiatrico o psicologico) intendo tutto ciò che in un’epoca condividiamo e diamo per scontato (come avere l’acqua calda in casa).
Sappiamo tutti degli usi e dei divertimenti del sabato sera, fenomeni sociali che coinvolgono ragazzi sempre più piccoli, con “rituali” d’abuso su cui vale la pena riflettere. Ma se si promuove una riflessione ti risponde il silenzio… inorridiamo di fronte a certi racconti e certe notizie ma, che facciamo di concreto? Cosa si dice sull’alcol ai nostri ragazzi? Chi ne parla? E noi adulti, che rapporto abbiamo con l’alcol? Come mediare un argomento tanto delicato? Tutti beviamo! Tutti amiamo la genuinità montanara che si presenta con l’offerta di un buon bicchiere di vino! E allora, di che discutere?
Forse chi si ubriaca non è nostro figlio o nostra figlia (le ragazze hanno atteggiamenti identici o anche più enfatizzati dei coetanei maschi), e chi abusa di alcol è sempre il marito di un’altra, o il padre dell’altro, o la moglie di quello là…. insomma, noi mai. E non essendo “noi” non ci riguarda. Sarà per questo che liquidiamo velocemente le domande e non le riteniamo pertinenti al nostro caso. Siamo tutti spaventati dagli eccessi che potrebbero riguardare i nostri ragazzi, salvo poi ridere o farne motivo di conversazione se riguarda gli altri, fino ad appoggiare e sostenere un comportamento che se ci tocca da vicino ci fa soffrire e non lo si tollera. Insomma, incongruenza delle incongruenze: “appoggiamo” e riteniamo divertente ciò che nel nostro entourage personale disapproviamo e invalidiamo. Una incongruenza che è anche tassonomica, e la scelta delle parole non è un caso, tutti siamo d’accordo nell’essere contro all’alcol, ma se dico Brunello, Campari, Weiss… che succede?!? Nessun fraintendimento, non sono per il proibizionismo: in America negli anni ’20 è stato motivo d’arricchimento per personaggi come Al Capone (!).
Se s’indaga la dimensione più profonda, in ogni cultura e civiltà, c’è stato bisogno di attivare un contatto con l’alterità e lo straordinario: ubriacarsi ha la valenza di staccare dal quotidiano e dal noto per penetrare in una dimensione, circoscritta e delimitata dallo spazio di una notte, “altra”. E l’humanitas ha sempre avuto bisogno di cercare uno scambio e un contatto “fuori dalla norma”, per entrare in una dimensione in grado di “connetterci” col nostro mistero.
Se vogliamo restare sulla superficie, l’alcol con un tasso di diffusione elevatissimo, motivo di grande preoccupazione sanitaria agli inizi del ‘900 per un problema capillare ed endemico di alcolismo tra i contadini, continua a riportare numeri preoccupanti. Nel 2013 questo “fuori norma” produce un danno sociale quantificabile nel 9% della spesa pubblica sanitaria dei Paesi Europei; i consumatori a maggior rischio, secondo le definizioni dell’Osservatorio Nazionale Alcol Cneps presso l’Istituto Superiore di Sanità (Ona) sono più frequenti tra: anziani di età pari o superiore a 65 anni (il 43,0% degli uomini e il 10,9% delle donne), giovani di 18-24 anni (il 22,8% dei maschi e l’8,4% delle femmine) e tra gli adolescenti di 11-17 anni (il 14,1% dei maschi e l’8,4% delle femmine). Tra i giovani di 18-24 anni il comportamento a rischio più diffuso è il binge drinking. Secondo dati dell’Ona il consumo a rischio di alcol riguarda oltre 8 milioni di persone in Italia, mentre sono più di 4 milioni i binge drinker e quelli che almeno una volta nel corso dell’ultimo anno hanno consumato più di 6 drink alcolici in un'unica volta.
Un fenomeno tanto radicato e diffuso ma sottovalutato meriterebbe molta più attenzione.
Quando subentro in campo con i guanti della mia professione mi trovo a raccogliere i cocci di una vita distrutta e consumata, senza contare i famigliari, nel frattempo, danneggiati dai congiunti alcolisti; quando subentra la mia professione si fa appello a tutti gli strumenti conosciuti e possibili, attraverso la realizzazione di un percorso personale che favorisca l’introspezione e la cura, spesso con l’aiuto di chi già da tempo ha superato il problema e può portare col suo esempio la fiducia in una vita migliore, perché sobria e consapevole.
Dal punto di vista educativo, chiunque resti imbrigliato in un problema così complesso non ha bevuto solo il sabato sera … da lì si parte, così si comincia ma poi la strada è lunga.
Per quello che ho verificato dalla mia esperienza, nessuno si accorge di scivolare sempre di più dentro ad una dipendenza, così come nessuno è consapevole della pericolosità di molti atteggiamenti condivisi, viviamo in una società che beve parecchio e sembra normale, anzi… se non bevi pensano subito che hai qualcosa che non va (!). Eppure, per tutte le storie di vita che fin’ora ho incontrato, “qualcosa” mi dice che dovremmo mettere in discussione un modus vivendi pericoloso e superficiale.
L’alcol ha a che fare con nodi personali irrisolti che si legano ad uno stile di vita condiviso e accettato e ad una mancanza profonda nella società di educazione alla vita. Certa di avere appena circoscritto l’argomento, sono disponibile ad ogni confronto e contributo in grado di arricchire la nostra esperienza in cui ognuno ha la sua parte!
(Dottoressa Natascia Nobili – Educatore Ceis Reggio Emilia, Responsabile Progetto No-Alcol ([email protected] – 3407171470)
Per primissima cosa credo che le amministrazioni non debbano promuovere iniziative a base di alcol, tipo il consumo di ettolitri di birra alla fiera di S. Michele e Festa della birra.
(Irene B.)
Solo chi vive con una persona dedita all’alcool può capire. Grazie Dottoressa, bellissimo articolo. Orgogliosa di essere astemia.
(Manuela B.)
Grazie, Dottoressa, per avere così bene evidenziato un problema così grave ed in espansione quale l’alcolismo, più che altro tra i giovani. Chi le parla è uno che ha vissuto sulla propria pelle il problema dell’alcolismo e che ne è uscito grazie all’aiuto di altri alcolisti come me, che mettendo da parte tutte le paure o le false illusioni che non fosse un problema loro, ma dei loro amici di bevute come capitava a me. Non ero io che bevevo troppo, erano gli altriche mi facevano bere, perchè io non ero come loro, io avrei smesso di bere quando avessi voluto. Forte di questa convinzione ho continuato a bere per anni, rovinandomi sia fisicamente che psicologicamente ed arrivando al punto di non avere più la forza di volontà di reagire per cercare di uscirne; mi rendevo solo conto che stavo sprofondando sempre più nel baratro della disperazione, fino ad arrivare al punto di pensare ad atti estremi per porre fine alle mie sofferenze, perchè a questo porta l’alcol a lungo andare. L’unica risposta positiva che ho trovato mi è stata data da un gruppo di alcolisti anonimi che è stato aperto a Castelnovo nel lontano 20 ottobre 1990. Lì mi è stata data la forza di smettere, di allontanare da me il primo bicchiere, perchè non è l’ultimo bicchiere che frega noi alcolisti no, è il primo, perchè mette in moto quella compulsione che ci porta a sprofondare fino a toccare il nostro fondo e da lì poi non tutti hanno la fortuna e la forza di risalire. Vorrei dire ai nostri giovani che anch’io ho cominciato con qualche bicchierino il sabato e la domenica, ma che con il passare degli anni si sono trasformati in un bisogno continuo di ingerire sostanze alcoliche. Alla fine non importava più di quale tipo esse fossero, purchè contenessero alcol. E’ inutile sperare che il problema si risolva con il tempo, non farà che peggiorare e diventerà sempre più difficile uscirne, almeno per me è stata così. Sono passati quasi ventidue anni da quando ho smesso di bere e devo dire che ho riscoperto una nuova vita senza l’alcol, con questo non voglio dire che l’alcol sia deleterio per tutti no, ci sono anche i bevitori sociali, che possono bere un bicchiere o due ed a loro sono convinto che faccia bene, ma per uno che purtroppo ha la malattia dell’alcolismo non è così. Io continuo a frequentare il gruppo il Sentiero ogni giovedì sera dalle 20,30 alle 22,30, perchè ho capito che la mia malattia smettendo di bere io l’ho solo fermata e che devo cercare di mitigare i miei difetti di carattere, che sono quelli che mi hanno portato a bere e se non lo facessi potrei ricadere, come purtroppo ne abbiamo avuti degli esempi. L’alcolismo è un problema che coinvolge anche i famigliari dell’alcolista, sfasciando famiglie e, nella peggiore delle ipotesi, causando malattie e lutti. Chi pensasse di avere bisogno di aiuto, c’è il gruppo anche dei famigliari, che si riuniscono nelle stesse ore, sempre alla Pieve N.3 a Castelnovo, ogni giovedì sera. Tentare, non si spende nulla se non la perdita di un po’ di tempo, ma il Signore ce lo da per niente. Chi volesse contattarmi, la mia mail è la seguente [email protected]
(Beppe Bonicelli)