... e più che l’ESSERE
conta il PARERE. [Giusti].
Acta est fabula
La commedia è finita.
Questo modo di dire ha tante varianti ed anche tante discordanze su chi l’avrebbe pronunciata per primo.
Alcuni ritengono che fosse semplicemente un congedo abituale alla fine delle recite teatrali: acta est fabula, plaudite.
Altri l’attribuiscono a personaggi celebri.
Tra questi pare che la pronunciasse Augusto in punto di morte.
Rabelais invece, anche lui alla fine dei suoi giorni, avrebbe detto: La farsa è finita.
Il senso è chiaro: è inutile continuare a fare finta, a simulare un contegno esemplare quando l’esistenza mostra che le cose sono completamente diverse.
Come se tutta la vita fosse stata una commedia.
“La mia favola breve è finita,
la breve mia favola vana” [A. Graf – Ultima campana].
Trasformando il concetto in gioco gli avi dicevano: La fôla d’ l’ôca – l’ê bèla s’ l’ê pôca!
E in questo modo ammettevano che la filastrocca, in realtà, era un trucco.
Perché si dice...
E qui ci sarebbe da disquisire all’infinito.
Era diffuso, nell’antichità, il principio che qualcuno dovesse prendere su di sé le colpe degli altri, della comunità.
Gli Assiri e i Babilonesi, poi anche gli Ebrei, caricavano i peccati della comunità su un caprone che poi veniva condotto nel deserto e abbandonato.
In Beozia si sceglieva uno schiavo che poi veniva cacciato a bastonate.
Semel in anno licet insanire (una volta all’anno è lecito impazzire). Per scusarsi di una bravata fatta.
(Liliana)