Cinque montanari a bordo del piroscafo norvegese Oria che 70 anni fa veniva affondato nelle acque greche. E' la ricostruzione storica segnalata da Alessandro Zelioli sulla Gazzetta di Reggio di oggi. Una nave che trasportava 4.116 militari italiani prigionieri dei tedeschi da Rodi al Pireo: furono 37 i reggiani inghittiti dagli abissi. E dire che è una delle più grandi stragi di Italiani all'estero.
I montanari caduti furono Tullio Bazzani (nato nel 1917), Viano; Giuseppe Fiorini (1920), Collagna; Gino Gherardini (1922), Busana; Severino Michelini (1916), Villa Minozzo; Germano Nobili (’23), Vetto.
La nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l'11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo le migliaia di prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’Armistizio dell'8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l'equipaggio norvegese.
"Una tragedia sconosciuta a molti dei familiari delle vittime e sulla cui causa ci sono ancora molti punti oscuri - si legge sulla Gazzetta -. E se a Patroklos, domani verrà scoperto un monumento per commemorare quei soldati, in Italia sono ancora tanti coloro che non sanno neppure di aver avuto un familiare imbarcato". Solo di recente, si può scoprire dal web, diversi media anche nazionali si sono interessati di questa strage di dimensioni paragonabili all'epopea di Cefalonia.
L'indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l'isola di Patroklos (in Italia erroneamente nota col nome di isola di Goidano). I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell'equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
L'Oria era stipata all'inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich. Su quella carretta del mare, che all'inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell'assistenza della Croce Rossa. Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni anche in patria. Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto. La tragedia si consumò in pochi minuti ed è stata ignorata per decenni. Eppure si sapeva per filo e per segno come fossero andate le cose. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco, che il 27 ottobre 1946 ha redatto di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio:
"Dopo l’urto della nave contro lo scoglio" scrive Guarisco, "venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un'ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c'era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l'acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all'asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell'acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto si inabissasse in fondo al mare. All'indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell'oblò, ma non ad uscire da quell'anfratto, perché il buco era troppo stretto.
Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo. Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima.
"Dal 1941 l’Italia di Mussolini invia a conquistare l’isola di Rodi e altre isole greche oltre 32mila militari appartenenti a varie armi (fanteria, genio, artiglieria, eccetera) - ricostruisce la Gazzetta - . Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i tedeschi, prima alleati degli italiani, divengono nemici e fanno prigionieri tanti nostri militari. In genere gli ufficiali con un po’ di truppa riescono a fuggire, i più renitenti vengono massacrati sul posto e gli altri fatti prigionieri politici. Questi ultimi vengono trasferiti nei campi di concentramento tedeschi, caricati alla bene e meglio su navi requisite, e da Rodi raggiungono i porti del Pireo ove da lì, per mezzo di tradotte militari (treni, generalmente con carri bestiame), vengono pian piano trasferiti nei campi di concentramento in Germania, Austria e Polonia. Una di queste navi, il piroscafo Oria, salpa da Rodi alle 17.40 dell’11 febbraio"
Le informazioni sulle vittime della Oria si trovano sui siti www.piroscafooria.it anche con numerosi file multimediali. Quindi su www.dodecaneso.org oppure sul sito di Istoreco all’indirizzo www.albidellamemoria.re.it. Anche sul social media Facebook qualcosa sta nascendo proprio per non dimenticare.
E, ora, un po' di storia la potrebbero raccontare anche i nostri lettori che ricordassero di questi montanari morti nelle acque. Che ne è delle loro famiglie oggi? Che ne è di quei ricordi, alle volte, tramandati in casa?
Gentile redazione, ho chiesto a mio padre, Massimo Fiorini, notizie sul militare Giuseppe Fiorini, classe 1920 di Collagna. Attualmente ha ancora una sorella vivente di nome Giuliana e nipoti di nome Beatrice, Angela e Fausto, tutti residenti a Scandiano, un fratello vivente, Franco, residente nel comune di Follo di La Spezia.
(Doriano Fiorini)