Il mensile Tuttomontagna ha nominato nell'ultimo numero in edicola, con una votazione tra i suoi collaboratori (diversi dei quali in comune con... Redacon) e come da tradizione, il montanaro dell'anno. Per il 2013 la scelta è caduta su Aristide Gazzotti che, oltre ad essere originario di Toano, ha potuto far conoscere la sua attività anche attraverso il nostro sito. Riceviamo, in merito, questa sua corrispondenza.
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Mi hanno avvisato che per il 2013, come montanaro dell’anno, hanno scelto me...
Sono ingenuamente stupito. Colgo questa occasione per ripensare alla mia storia nell’ottica di questa scelta. Mi sento un po’ spiazzato, imbarazzato, e sinceramente mi viene da sorridere. Vivo da anni, infatti, lontano dalle mie montagne. Le ho sempre nel cuore, ma non posso poggiare i miei piedi sui suoi sentieri, solo i ricordi e i desideri. Infatti, corro spesso là, con il pensiero, ma mi separano 20 mila chilometri di distanza, da 30 anni ormai. Ci provo anche adesso a rivedere gli sprazzi di colore di quei monti che hanno segnato in bene la mia vita.
Sono nato in montagna, a Toano, un paese piccolo e anonimo, disteso sulla cresta della collina che si affaccia al Monte Modino, si inchina alla distesa maestosa del Monte Cusna e come una scivolata verde di prati arriva a baciare le rive del Fiume Dolo, più sotto. Ne sono orgoglioso. Un orgoglio umile e ingenuo, ma che ha impregnato per sempre il cuore. Anche questo particolare suona a ironia: infatti,il Cusna, la montagna più alta della provincia di Reggio, misura 2.120 metri sul livello del mare, cifra che fa sorridere se penso che ora vivo in una città ad oltre 2.500 metri di altezza, incorniciata da montagne che superano i 5.000 metri.
E’ ancora tal quale la casa dove sono nato, con le finestre piccole, e il muro ormai sgretolato, sulla via che va alla chiesetta di Sant’Anna. Si nasceva in casa allora, anche perché, mi dicono, che quella notte di febbraio si era accumulato più di un metro di neve fuori dalla porta.
Di quei miei primi sei anni di vita, su a Toano, devo sottolineare soprattutto l’amore silenzioso dei nonni e degli zii: si viveva in una famiglia “estesa”. Non si sprecava mai una parola di troppo in casa. Vivevamo di silenzio e di latte caldo appena munto, condito con le pagnotte di pane fatto in casa. Credo che la gente che da sempre vive in montagna saprebbe raccontare meglio di me questa storia conosciuta, ripetuta e fiorita tra l’aia e le mura di casa.
La vita quotidiana si svolgeva proprio lì, attorno all’aia dove noi bimbi giocavamo e crescevamo felici. Vivevamo di latte e pane, ma non ci mancava proprio niente. L’affetto che si coltivava in quell’aia dai portici costruiti a secco era stagionato da secoli di amore e duro sforzo, come il prosciutto e il salame che pendevano sotto le assi della cantina. Non sbagliavano mai il prosciutto e il salame, come non sbagliava mai l’affetto. Sono i segreti nascosti della montagna che difficilmente si possono svelare. Anche l’uva si faceva appassire nelle stanze superiori della casa dei nonni, su grandi tavole o appesa al soffitto.
Si dormiva con il “prete” per scaldare il letto, d’inverno, ma non ricordo di aver mai sofferto il freddo.
E se si parla di “prete”, mi azzardo a dire che la vita dei paesini delle nostre montagne è segnata dai suoi preti, preti veri! Che figure, che persone straordinarie con quel dono di umanità così a fior di pelle! Quanti attimi di vita si svolgevano attorno alla parrocchia! Chi di noi non ricorda le preziose filmine del catechismo, con gli quei cristiani che morivano martiri prima sotto l’impero romano e poi in Africa o in Asia! E come non ricordare le gloriose avventure di Rin Tin Tin o di Lessie che tutte le domeniche pomeriggio potevamo vedere nella casa del prete, l’unica che aveva la televisione su in paese, in quegli anni! Era una festa per noi bambini ritrovarci in canonica! E le nostre giornate di festa terminavano in piazza a giocare a nascondino, fino alle 9 di sera.
Erano i nostri riti, i nostri svaghi, i nostri sogni fatti realtà nella giostra del poco che ci bastava e del semplice che ci avvinceva.
Al mattino, in casa, anche la nonna iniziava i suoi riti quotidiani accendendo la stufa, riempiendo la vaschetta d’acqua e preparando la macchinetta per il caffé d’orzo, quella d’alluminio che si girava sottosopra.
Ma a dire il vero, devo riconoscere che non sono un grande montanaro, sono un montanaro più di desiderio che di fatto, perché le circostanze della vita mi hanno portato presto in città, a Reggio. La mamma, infatti, vedova dopo appena tre anni di matrimonio, è stata costretta a ripiegare sull’aiuto dei suoi fratelli per poter mantenere e curare tre figli piccoli.
Per me ha significato molta sofferenza questo ripiegarsi. Non mi piaceva stare in città, chiuso in casa, o relegato tra le mura della scuola, 8 ore al giorno. Me ne stavo spesso solo in quella enorme casa in cui vivevamo, con un lungo e alto corridoio oscuro al posto dell’aia.
Sognavo sempre che qualcuno degli zii venisse a prendermi per portami di nuovo su a Toano dove l’aria era respiro fresco di libertà, gli spazi occasione di giochi fantasiosi e di incontri sempre gradevoli. Mi sentivo inferiore e diverso dagli amici che continuavano a vivere su in paese. Li invidiavo. Io mi sentivo debole, incapace e invece vedevo loro forti, resistenti, capaci di qualsiasi impresa: scalare una roccia, guidare un trattore fin da piccoli, inerpicarsi senza paura a scoprire i frutti di un albero.
Ho vissuto lunghi anni di nostalgia. Ma, grazie a Dio, in questi ultimi tempi, e lo faccio notare con profondo e giustificato orgoglio, proprio nel momento in cui vivo più lontano, ho potuto ricuperare la mia residenza proprio là, in Vicolo Chiuso n. 2 di Toano. Vivo a 20 mila chilometri, ma lo residenza ce l’ho là, dietro il Comune, dove una volta c’erano l’aia, il fienile e la stalla dei miei zii.
Fortunatamente, sempre le circostanze della vita, mi hanno portato a scegliere come scuola media il Seminario Minore di Marola. Eccomi di nuovo in montagna! Felice.
Sono stati tre anni splendidi di cui potrei annotare infiniti ricordi, con una profonda emozione. Eravamo in 30 nel mio corso, solo in 4 venivamo dalla pianura, gli altri ragazzi erano tutti dei diversi paesini della montagna. Sarebbe il caso di annotare qui il nome di ognuno di loro, con i loro volti svegli e con i simpatici pantaloncini corti da “Ragazzi della Via Pal”. Forse ci riuscirei: Aldo, Nando, Fulvio, Giuseppe, Corrado, Dario, Camillo, Claudio, Vittorino, Arno, Paolo, Ermanno, Roberto, Sergio, Ivano, Daniele... Nutro un profondo senso di riconoscenza per ciascuno di questi amici, per Don Paolo che ci accompagnò come fratello grande in quei tre anni di spensieratezza e forte crescita umana e cristiana. Non ho più avuto l’occasione di rivederlo, da allora. Ora lui continua ad accompagnarci dal Cielo con quel suo sorriso fresco e bonaccione. Ho imparato tanto da quei compagni di scuola “montanari”, loro sì che si meriterebbero questa elezione, come Montanari Doc!
Ho imparato a convivere con l’essenziale, a cercare la verità nel fondo del cuore, ad accettare le mie debolezze, ho imparato persino a scalare alberi, ma soprattutto a riconoscere il dono e l’importanza dell’incontro personale nella cornice di quei secolari castagneti, e poi piano piano è fiorito dentro di me il valore della gioia. Infatti, in quei tre anni ebbi l’occasione di leggere e rileggere un libro di uno scrittore francese: “Il Vangelo della gioia” che orientò le mie scelte future. Così è nato dentro di me il desiderio di uscire dai “confini”, anche se non sapevo cosa significasse concretamente questo desiderio.
... Sono passati tanti anni. Sono tornato poche volte a Toano negli ultimi trascorsi, ma che gioia incontrare di nuovo gli amici, le amiche, i fratelli, le sorelle, i propri cari. Nessun momento sprecato. Niente è stato invano. L’amore e l’amicizia che ci uniscono sono davvero stagionati e freschi allo stesso tempo. Come non ringraziare ognuno! Anche in questo caso sarebbe doveroso metter giù i nomi, con la speranza di non dimenticare nessuno: Mauro e Lidia, Marisa e Stefano, Maria Grazia e Roberto, Claudio, Teresa, Massimo, Enzo, Giuseppe... La montagna racchiude in sè segreti difficili da svelare perché sono iscritti nel cuore, perché in quegli spazi di verde e di azzurro, di boschi e di cielo ci si può incontrare nella verità, ci si può accogliere senza interesse, si può sorridere in silenzio delle scelte e degli sbagli di ognuno, ci si può accompagnare nell’orizzonte grande dei sogni e ci si può stringere in un sogno più grande ancora perché dall’alto la visione dell’infinito è più estesa ed aperta, meno artificiale.
... Da anni sono lontano dalle mie origini e dalle nostre montagne, sono uscito dal “confine” ma continuo a vivere di sogni approfittando proprio i tanti inciampi e ostacoli sul cammino.
L’arte dell’incontro ha marcato la mia timida vita. Ho imparato ad apprezzare e a dar valore all’incontro. Quello che vedo fiorire intorno a me, adesso, è frutto di tanti incontri significativi e belli che hanno dato vita e impulso all’esperienza de la casa de los niños, qui in Bolivia, nella cornice di altre montagne, diverse dalle nostre, ma soprattutto con persone straordinarie con cui condividiamo la vita e gli aneli più profondi. Tirar fuori i nomi anche qui è doveroso: Luciana, Fausto, Grazia, Gianni, Betty, Pino, Elisa, Tania, Ilenia, Davide, Chico, Andrea, Patty, Ivana, Francesca, Marcella,... non finirei mai l’elenco..., ma è un buon segno, significa che è vero quello che abbiamo costruito insieme e ha prodotto molti frutti di amicizia.
Ringrazio le montagne di casa, con la sua gente umile, povera e sincera, per avermi preparato all’incontro e all’abbraccio con il dolore innocente, quello dei bimbi che soffrono l’ingiustizia più assurda, di una vita che non hanno scelto e che li obbliga a lottare controcorrente fin dal primo istante.
Noi siamo qui con loro, con la tenacità dei montanari e la fede dei deboli. Noi crediamo ingenuamente che il bene deve trionfare sempre, nonostante le quotidiane, evidenti sconfitte. Noi nutriamo il sogno del bene per tanti, per tutti quelli che abbiamo incontrato lungo la nostra storia per questo diciamo che portiamo ognuno dentro la cornice del nostro cuore.
Questo pomeriggio, mentro ero in giardino per tranquillizzare il piccolo Juansito del Cielo, mi è venuta incontro María René, salterellando come Heidy sui monti. Mi ha abbracciato e ha accarezzato il volto sofferente di Juansito.
María René e Juansito sono gli emblemi di questo nuovo orizzonte che spazia dall’Aids alla inesorabile paresi cerebrale. Incontro innocente di abbracci e carezze. Orizzonte misterioso e duro della speranza che ci obbliga giorno dopo giorno a scalare montagne molto più alte di quelle che ci circondano, che ci invita a stringere sempre più solidi vincoli fraterni perché solo insieme è possibile sognare alto.
Ringrazio i nostri bimbi che mi riportano sempre all’essenziale.
Ringrazio tutte le persone, gli amici e le amiche che mi hanno aiutato a scalare montagne, a sondare orizzonti impensati. Ripeto: sono loro meglio di me che meritano questo riconoscimento.
Caro Aristide, io non ti conosco personalmente ma i tuoi racconti mi fanno sempre sognare, mi fanno commuovere immensamente e mi riempiono immensamente il cuore. Non per questo, ma per tutto quello di cui è impregnata la tua vita, ti meriti ogni riconoscimento possibile. Grazie a Redacon che ci fa incontrare le tue parole.
(Una mamma)
La scelta di Aristide Gazzotti come “montanaro dell’anno è quanto mai azzeccata e va a sottolinare le grandi virtù che quest’uomo possiede. Nella sua lettera ho notato che più volte ha usato l’aggettivo “ingenuo”: penso che stia qui il segreto delle sue grandi virtù. “Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio”: Aristide lo ha già veduto nei volti di questi bambini bisognosi del Sud America. Un abbraccio e tanta ammirazione.
(Ivano Pioppi)
Carissima “Mamma”. Ho letto adesso il commento. Detto da una mamma devo ammettere che mi fa piacere. Io ringrazio questa mamma che non mi/ci conosce personalmente e che non conosciamo, ma le siamo riconoscenti pure noi per il suo affetto e le sue parole. Di cuore.
(Aristide)