Riceviamo e pubblichiamo.
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Secondo le recenti dichiarazioni alla stampa di un noto imprenditore del nord-Italia - sicuramente non tacciabile di simpatie destrorse, visti i suoi trascorsi politici - sarebbero due le principali ragioni che frenano gli investimenti da parte delle nostre aziende: la mancanza di soldi e gli ostacoli che si frappongono a livello burocratico.
Parole che confermano le difficoltà in cui continua a trovarsi il sistema produttivo italiano - che dunque stenta a riprendersi, nonostante le previsioni abbastanza ottimistiche di qualcuno - il che non può che preoccuparci perché un ulteriore indebolimento della nostra rete produttiva significa perdita di altri posti di lavoro e minor tenuta verso la concorrenza estera, con tutte le immaginabili conseguenze per la nostra economia.
Noi ci auguriamo innanzitutto che il sistema produttivo nazionale possa ritrovare al più presto le risorse finanziarie adeguate per potersi consolidare e potenziare, perché non vogliamo che “i ricchi piangano” ma riteniamo piuttosto che la prosperità delle nostre aziende e imprese possa distribuire opportunità e certezze occupazionali, ai nostri giovani ma non solo, così da ridare fiducia e prospettiva alle nostre famiglie.
Ma ci impensierisce parecchio anche il richiamo dell’imprenditore agli “incagli” burocratici che scoraggerebbero comunque gli investimenti. Noi non siamo pregiudizialmente contrari alla burocrazia, che anzi può rappresentare una garanzia per ciascuno di noi, ma non è francamente accettabile che i suoi tempi e le sue lungaggini possano ritorcersi sulle imprese, specie in un momento di crisi come quello presente.
Verrebbe da pensare che il nostro apparato burocratico, fatte ovviamente salve tutte le dovute eccezioni, si comporti in tal modo per marcare e legittimare ancor di più il proprio ruolo e il numero dei suoi addetti e quindi perpetuarsi nelle attuali forme.
Se fosse veramente così, chi ci sta governando dovrebbe prontamente intervenire, tagliando tutti quei rami secchi e “parassitari” dell’apparato in questione che - oltre a gravare pesantemente sulla vita delle imprese, come abbiamo visto - rappresentano un costo molto elevato per la società. Costo cui oggi si fa fronte alzando il prelievo fiscale, divenuto ormai un carico insopportabile soprattutto per il ceto medio, che vede progressivamente intaccati i suoi risparmi e il suo “capitale” e vede mano a mano svanire la sua capacità di spesa; una situazione che va a deprimere ulteriormente la nostra economia, già tanto provata dalla crisi in atto, e non giova a nessuno ma estende semmai l’impoverimento più complessivo delle nostre classi sociali.
(Giovanni Ferrari)