L'edificio fu costruito a partire dal 1713 secondo i canoni stilistici dell'epoca, ma la sua storia viene da ben più lontano poiché l'odierna chiesa, che è la parrocchiale di Castelnovo ne' Monti, cela entro di sé quella dell'antica Pieve di Campiliola che era già lì nell'anno mille e, forse, anche prima. Entrambe sotto il titolo della Beata Vergine Assunta in Cielo.
Alla “nuova” chiesa nessuno, fino ad ora, ha mai dedicato piena attenzione. Ne abbiamo colto solo marginali e fuggevoli accenni nei racconti di storia locale dedicati alla trattazione di altri argomenti, a volte riguardanti proprio le vicende della sua famosa ed omonima antenata.
Una chiesa, pertanto, sconosciuta agli stessi castelnovesi e della quale vale la pena occuparsi almeno ora, in occasione del trecentesimo anniversario della sua fondazione.
Cercherò di farlo nel modo più breve possibile ed in due puntate. La prima, per gettare uno sguardo sull'antica Pieve medievale, almeno nel tempo immediatamente precedente la ricostruzione settecentesca perchè, come detto, è sulla sua storia ed anche sulle sue fondamenta materiali che si innestano quelle della chiesa successiva. La seconda, in altra data, per trattare del nuovo tempio edificato a partire dal 1713.
Prima parte: cenni sulla chiesa antica
L'osservazione, dunque, partirà dal XVI secolo, anche perchè è in quel tempo che cominciano a comparire abbastanza regolarmente, negli archivi, documenti compiuti e non più soltanto le isolate e frammentarie informazioni disseminate lungo i secoli precedenti e meritoriamente reperite dagli studiosi del passato.
Va detto soltanto, riguardo alla denominazione “Campiliola” e simili, che mi pare documentalmente dimostrato trattarsi non di un generico titolo indicativo limitato all'ambito ecclesiastico, ma di un toponimo, cioè del vero e proprio antico nome del luogo in cui la chiesa è da oltre mille anni eretta: la collina di Campiliola, appunto, posta ai piedi della Pietra di Bismantova e, ma solo dal XII secolo, in prossimità del neonato borgo di Castelnovo ne' Monti.
A tal proposito basterà citare, ad esempio, due atti rogati su pergamena nel 1059 e nel 1089 attraverso i quali due benefattori longobardi facevano donazioni alla chiesa di S. Maria di Campiliola. Sul secondo si legge: “Ecclesia plebis S.e Marie sita in loco qui dicitur Campiliola” (“Chiesa della pieve di Santa Maria situata nel luogo chiamato Campiliola”). Un luogo, dunque, e non un titolo. Non sarebbe pertinente poi, qui ed ora, dilungarsi a discutere sulla nota e pur rispettabile tesi dell'ubicazione della prima Pieve sulla sommità della Pietra di Bismantova.
Com'era, dunque, la nostra Pieve nel 500-600?
Intanto va detto che, per indicarla, dalla metà del '500, dopo “Bismantova”, “Campiliola” e “Campiola”, nei documenti viene sempre più usato il toponimo “Campiolo” (a volte “Campiollo”), da cui la denominazione: “Ecclesia sub titulo (o “vocabulo”) Assumptionis Beatae Mariae Virginis, plebs nuncupata de Campiolo territorii Castri Novi in Montibus, Regiensis Diocesis” (“Chiesa intitolata all'Assunzione della Beata Vergine Maria, pieve denominata di Campiolo del territorio di Castelnovo ne' Monti, diocesi di Reggio”).
In verità, la forma così solennemente espressa non la troviamo che su documenti ecclesiastici di particolare importanza e redatti “in alto loco” come, ad esempio, le collazioni (conferimenti) della parrocchia. Altrove, invece, e specialmente nei frequenti atti notarili, compare in forma più disinvolta ed abbreviata, ad esempio col dittongo “ae” già mutato in “e”, ma sempre con l'indicativo di luogo “Campiolo”.
Ad oggi non sono stati rinvenuti documenti che ci mostrino in toto le forme costruttive dell'antica Pieve. Prima del Concilio di Trento (1545-1563), infatti, non v'era obbligo di conservazione di documenti da parte di diocesi e parrocchie.
L'unica immagine su cui possiamo contare è la pianta contenuta nel cosiddetto “Codice Marliani”. Mons. Gian Agostino Marliani, genovese, era il vescovo di Reggio che tenne la visita pastorale diocesana negli anni 1663 e 1664. Fu a Castelnovo il 9 ottobre 1664 e qui, come nelle altre parrocchie della diocesi, dispose il rilevamento della pianta della chiesa parrocchiale per mano di un agrimensore al suo seguito.
Le tavole così ottenute, storicamente importantissime, sono ora rilegate in due preziosi volumi - il “Codice Marliani”, appunto - conservati nell'archivio della Curia vescovile.
La chiesa raffigurata in quel documento sicuramente era la stessa del XVI secolo ed era anche, in gran parte, l'antica Pieve di Campiliola dei secoli ancora precedenti durante i quali, se lavori di modifica e di ristrutturazione vi furono sicuramente eseguiti, non fu certo nelle principali strutture portanti dell'edificio.
Sarebbe sopravvissuta fino al 1713 quando venne “smontata” e ricostruita in altra forma.
Si trattava di una classica pieve romanica a croce latina e “canonicamente orientata” (fig. 1), cioè con l'abside a levante (“Oriens”). Questo faceva sì che il sacerdote celebrante, al momento della Consacrazione, fosse rivolto verso oriente, cioè verso i luoghi della vita, passione e morte di Cristo.
La chiesa, nel 1664, era “tabulata” cioè col soffitto in legno tranne che nel coro e nelle cappelle n° 7 e n° 8 che erano di recente rifacimento. Una chiesa di notevoli dimensioni per quei tempi e questi luoghi e che poco si discostavano da quelle della chiesa attuale. Era a tre navate, per la suddivisione ottenuta con due file di colonne in pietra allineate longitudinalmente. Aveva nove altari posti dentro alle relative cappelle. Nel '500 e nella prima metà del '600 non troviamo intitolata la cappella n° 9, terza a destra procedendo dal fondo (“dalla parte dell"Epistola”, secondo la definizione tridentina), che era di dimensioni molto inferiori rispetto alle altre e forse non stabilmente utilizzata proprio per la sua angustia.
Verrà poi restaurata e, a partire dal 1679, officiata. Sul fondo del transetto contiguo a quest'ultima cappella si apriva la sagrestia (“Sacristia”) che oggi, ancora esistente, viene detta “sagrestia piccola” o “sagrestia vecchia”. Nel '500 era più stretta di quella della “pianta Marliani” e comunicava, sul lato di ponente, con il Battistero - l'“Aquarium” indicato in pianta - che rimarrà infelicemente relegato da quella parte della chiesa fino alla fine del '600.
Un documento del 1567 segnala una porta sul lato di levante della chiesa: non poteva che trovarsi nel muro della sagrestia, dalla parte opposta rispetto al Battistero, a mettere in comunicazione la chiesa col cimitero.
In sagrestia, poi, era presente un altare, il che fa pensare che essa fungesse anche da cappella cimiteriale. Forse era pure utilizzata per le celebrazioni quotidiane invernali ma, a riprova di questo, non v'è alcun indizio documentale.
L'altare maggiore era posizionato all'inizio dell'abside quadrata e lo spazio retrostante, cioè l'attuale presbiterio, allora fungeva da coro. La parte absidale tonda, che contiene l'odierno coro, fu aggiunta durante la ricostruzione iniziata nel 1713.
Sul transetto di sinistra si apriva, come ora, il portale laterale che immetteva nel cortile. Quest'ultimo confinava con le abitazioni coloniche e vi si trovava la scala di accesso alla canonica. Mancavano il portico e la sovrastante loggia che sarebbero stati aggiunti nel XVIII secolo.
A sinistra del suddetto portale, ma ancora all'interno della chiesa, era ricavata una “Cellula vinaria”, cioè una cantina ad uso della canonica. Qui, negli ultimi anni del '600, verrà trasferito il Battistero.
Proseguendo il giro della chiesa, ci portiamo dinnanzi alla prima cappella sulla sinistra di chi entra dall'ingresso principale (cioè “dalla parte dell'Evangelo”). Sul fondo di questa cappella, in alto, era presente l'ampia finestra di una tribuna dalla quale si poteva assistere alle funzioni celebrate in chiesa. Anch'essa fu chiusa durante i lavori iniziati nel 1713 o forse anche prima, ma il suo contorno semicircolare è tuttora ben visibile nell"attigua canonica, sul muro della cucina confinante con la chiesa. Poteva trattarsi di un antico matroneo, la cui presenza parrebbe intravedersi nel già citato documento del 1567. Il pavimento era in terra battuta.
Solo ipotesi possono avanzarsi sulla facciata che forse era “a salienti” (fig. 2), andando a riprendere il profilo delle navate interne, come suggerirebbe la presenza dei costoloni che ancora corrono verticalmente. Essi potrebbero essere stati mantenuti, seppure modificati, negli almeno due successivi rifacimenti della facciata stessa. Il portale principale della chiesa, posto sul lato di ponente, era preceduto dal classico prònao (portico).
Il campanile
Il campanile (“Turris”) si elevava al di sopra del Battistero, in posizione classica per le chiese romaniche del gruppo emiliano-lombardo. La torre, però, doveva essere di ben modesta fattura se il vescovo Lodovico Forni, qualche tempo dopo, la troverà “nimis depressa atque rudis formae” (“troppo bassa e grezza di aspetto”). Nella cella campanaria erano due campane, una fatta nel 1414 dal fonditore ambulante Giovanni di Lotaringia (Lorena) e l'altra nel 1482 da Giovanni da Pontremoli. Erano decorate con sacre immagini e portavano, incise sul bronzo, scritte in latino. L'arciprete don Ambrogio Iattici le aveva fatte rifondere entrambe nel luglio del 1614 poiché danneggiate: per una delle due la spesa fu sostenuta dai parrocchiani come omaggio a don Ambrogio in occasione del suo 66.mo compleanno.
La canonica e le abitazioni mezzadrili
Al muro settentrionale della chiesa erano appoggiati la canonica, ad occidente, ed un casamento dei contadini, ad oriente. Tra questi due fabbricati si apriva il cortile (“Cohors”). La canonica era di dimensioni molto ridotte rispetto a quelle odierne: pare di capire, da alcuni documenti, che si limitasse, all'incirca, al primo dei tre corpi di fabbrica attuali, quello posto a ridosso della chiesa (fig. 3).
Sicuramente il casamento in cui alloggiavano i contadini, o parte di loro, era l'edificio che oggi (anno 2013) vediamo diroccato. Non è espressamente documentata l'esistenza del fabbricato ad esso ortogonale, cioè quello che ora, a nord, lo congiunge alla canonica attraverso la volta. La presenza di quest'ultimo fabbricato, o di uno simile, potrebbe adombrarsi soltanto in alcuni inventari del secondo seicento laddove si parla di “due case per li mezzadri” ed anche di una delle due famiglie coloniche che “abitava nella casa situata a levante”. Della volta suddetta, poi, non si ha notizia nei documenti del '500 e '600 e questo fa ritenere che la parte di immobile posta a settentrione, se già esistente, sia stata portata alle forme attuali durante i lavori di ampliamento della canonica eseguiti negli ultimissimi anni del XVII secolo.
Cappelle ed altari
Rientrati in chiesa, passiamo in rassegna gli altari che vi erano eretti all'inizio del XVIII secolo, prima del rifacimento. Ognuno era posto all'interno della propria cappella ed il loro cospicuo numero ci ricorda che nel medioevo vi celebravano i canonici che risiedevano alla Pieve e che si recavano con regolarità ad officiare nelle cappelle periferiche del plebato dove, in seguito, sarebbero state istituite le attuali parrocchie.
1) Altare maggiore: dedicato alla B.V. Assunta in Cielo, da sempre patrona della parrocchia.
2) Altare della B.V. del Santo Rosario, con il dipinto di Giovanni Francesco Gessi (1588-1649) del quale si ha notizia a partire da 1627. Era posseduto dall'omonima Confraternita.
3) Altare di S. Pancrazio, compatrono, con la pala di Orazio Perucci (1548 ca.-1624) la cui presenza è documentata almeno dal 1608, nel tempo dell'arciprete Iattici; la cappella, che in precedenza fu intitolata a S. Bernardino da Siena, era di ragione della chiesa stessa ("iuris Ecclesiae").
4) Altare dell'Annunciazione della B.V. Maria: vi era, almeno dal 1697, il quadro omonimo di autore ignoto che oggi si trova nella cappella dell'Immacolata Concezione; l'altare, nel 1713 posseduto dalla famiglia Frascari, durante il '600 era stato dei Tonelli e poi dei Cola (o Colla o Coli), tutti castelnovesi.
5) Altare di S. Rocco, con il dipinto seicentesco raffigurante la Vergine col Bambino, S. Rocco, S. Anna, S. Lucia, S. Benedetto e S. Sebastiano; la cappella, sino al 1631 dedicata a S. Benedetto, fu in quell'anno acquisita dalla famiglia Rubini, castelnovese ma proveniente dal territorio di Milano, che ne mutò il titolo; il suo stemma araldico è impresso sulla tela.
6) Altare di S. Antonio Abate, sul quale era posta, a raffigurare il Titolare, la statua cinquecentesca del Santo, recentemente attribuita, in occasione del restauro, a Prospero Spani detto “il Clemente” (1516-1584). La cappella era della famiglia Predelli e, prima di loro, era stata dei Cola.
7) Altare di S. Antonio da Padova, eretto nel 1667 dall'arciprete don Domenico Manini che lo provvide della tela raffigurante il Santo. Fino a quell'anno era stato intitolato alla SS.ma Trinità e posseduto dall'importante famiglia Pacchioni;
8) Altare di S. Pellegrino, sormontato dalla pala di Alessandro Tiarini (1577-1668). La cappella fu sempre di ragione della famiglia Soli, almeno dalla metà del XV secolo;
9) Altare del Crocifisso, eretto nel 1679 da don Domenico Manini nella piccola cappella di cui già si è detto. Vi era conservato il raro Crocifisso rinascimentale in terracotta che, durante il recente restauro, è stato attribuito alla scuola di Antonio Begarelli (1499 ca.-1565). Era considerato miracoloso dai castelnovesi che gli tributavano grande devozione.
Cimitero e sepolture
Il terreno a ridosso del muro di levante della chiesa all'inizio del '700 era ancora impegnato, per tutta la sua lunghezza, dai resti del cimitero medievale. Sul finire del '500 l'arciprete Iattici decise di portare il camposanto nello spazio a mezzogiorno del tempio, dov'è il prato dell"odierno sagrato, ed ogni frazione della parrocchia fu chiamata a realizzarne la propria porzione. Dopo quasi un secolo fu completata la recinzione, parte con muro e parte con siepe.
Ma il principale e preferito luogo di sepoltura dei castelnovesi - erano essi stessi a richiederlo nei loro testamenti - fu sempre (e lo sarà fino al 1809) la chiesa in cui, alla fine del XVII secolo, venne eseguito un totale riordino dei sepolcreti. Il sottosuolo, infatti, era ormai saturo di salme con le immaginabili conseguenze ambientali che ne derivavano. Fu il nuovo arciprete, conte don Gianpaolo Palù dalla Crovara, a provvedervi fra il 1697 ed il 1698, poco dopo il suo arrivo.
Da un documento da lui redatto e di datazione incerta, rinvenuto e trascritto nel 1791 da uno dei suoi successori, l'arciprete don Pietro Bertoldi, apprendiamo la nuova situazione quasi completa delle sepolture in chiesa successivamente a quel riordino.
I sepolcreti erano in totale undici: sette “particolari” e quattro “comuni”
Sepolture particolari: a quattro piedi dall'altare maggiore venivano sepolti gli arcipreti (questo dettaglio dimostra che il documento, in realtà, è posteriore di una trentina d'anni al suddetto riordino, ma il suo contenuto, per il resto, è ad esso conforme); poco più indietro, al centro della “croce” formata dai due bracci del tempio, erano deposti i sacerdoti della parrocchia; dentro la bussola lignea posta all'entrata dal portale minore (quello verso la corte) era il sepolcro dei fanciulli; davanti alle cappelle dalla parte del Vangelo (cioè verso la canonica), a partire dall"alto, erano i sepolcreti della famiglia Frascari (4) e della famiglia Rubini (5); l'avello posto davanti alla cappella di S. Antonio Abate (6) era condiviso dalla famiglia Bagnoli e dagli eredi del dr. Taddeo Rubini.
Al centro della navata, poco dopo l"ingresso principale della chiesa, era il sepolcreto della famiglia “Tagliati dalli Tagliati”.
Sepolture comuni: in mezzo alla chiesa, nella navata centrale, erano quattro sepolture comuni della parrocchia (“pro universitate populi”), due per gli uomini e due per le donne.
I sepolcreti erano accessibili dai rispettivi tombini in pietra che si aprivano nel pavimento. Su ogni tombino, ad eccezione di quello posto davanti all'altare di S. Antonio Abate (n° 6), era murata una lapide scolpita o incisa. Di tali pietre funerarie è giunta a noi soltanto quella dei Tagliati, ora in corso di restauro.
Nell'elenco riportato da don Pietro Bertoldi non sono menzionate le due sepolture che nel '600 erano poste dall'altra parte della chiesa: quella dei Pacchioni davanti alla cappella n° 7 e quella dei Soli davanti alla cappella n° 8. Forse il documento originale scritto dall'arciprete Gianpaolo Palù aveva nel frattempo perduto la sua ultima pagina o forse le due suddette famiglie, che agli inizi del '700 stavano ormai giungendo all'epilogo della loro vicenda storica castelnovese, avevano rinunciato al privilegio della sepoltura monumentale privata.
(Corrado Giansoldati)
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Fonti consultate:
Archivio storico parrocchiale di Castelnovo ne" Monti
Archivio diocesano di Reggio Emilia
Archivio di Stato di Reggio Emilia
Archivio di Stato di Modena
Relazione di studio dell"arch. Giuliano Cervi di Reggio Emilia
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La statua di terracotta non è dello Spani, per altre cose dovrei parlarne con l’autore.
(Giuseppe Ligabue)
L’accostamento del nome di Prospero Spani alla statua di S. Antonio Abate conservata nella chiesa della Pieve di Castelnovo ne’ Monti è stato fatto, direttamente ed esplicitamente, durante i lavori di un pubblico convegno tenutosi presso la Galleria Estense di Modena il 26 maggio 2012 e vertente su “Restauri, recuperi e scoperte sul territorio“. In quell’occasione la relatrice Dott.ssa Daniela Ferriani, storica dell’arte e funzionaria della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Modena e Reggio Emilia, che aveva personalmente seguito il restauro dell’opera da poco ultimato, ne informò il pubblico precisando che la statua presenta indizi tali da permettere di farla risalire a Prospero Spani.
(Corrado Giansoldati)
Grazie Corrado, è sempre piacevole ed interessante leggerti e conoscere, tramite le tue periodiche “pillole”, la storia della nostra amata Chiesa parrocchiale. Se mi posso permettere, esprimo anche un forte auspicio che, sono sicuro, sarà condiviso da tanti tuoi estimatori; ma quando pubblicherai un libro che raccolga tutto ciò che, in proposito, ci hai regalato? Sicuramente un grazie anche a Redacon che puntualmente ci ha aggiornato. Buon lavoro e ad maiora.
(Sergio Tagliati)
Interessante sapere qualcosa delle opere d’arte custodite nella chiesa della Pieve. Tra l’altro l’ancona posta nel transetto, lato ovest, di fronte alla Cappella del Rosario, è quella che incorniciava l’icona della Madonna di Bismantova.
(Marco Notari)
Visto che la struttura romanica della Pieve di Rubbiano è dell’undicesimo secolo (e l’origine è del settimo) è la Pieve di Castelnovo che le assomiglia e non viceversa…
(Antonio Baldini)
Auguri per questo lavoro molto interessante!
(Maria)