Pubblichiamo la terza ed ultima parte del reportage del suo viaggio in Giappone che Matteo Manfredini ha offerto ai nostri lettori.
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Lo Shikoku é la più piccola delle quattro isole principali che compongono l’arcipelago giapponese. Selvaggia, montagnosa e impervia, si affaccia sull’oceano Pacifico, poco collegata dai mezzi pubblici, quasi sconosciuta ai turisti europei.
Arriviamo a Tokushima per l’ultimo giorno dell’affollatissimo Awa Odori. Da cinquecento anni il 15 di agosto la tradizione buddista onora attraverso danze rituali, gli spiriti degli antenati che per qualche giorno tornano nel mondo dei vivi. L’Awa Odori di Tokushima è letteralmente, la celebrazione di questa festività più affollata del Giappone.
Gli spalti costruiti per l'occasione lungo le strade della città, ricordano le sfilate di Rio de Janeiro durante il carnevale, decine di palchi invadono la città e centinaia di migliaia di giapponesi vestiti con abiti tradizionali ballano, coordinandosi al suono incessante dei tamburi.
Le strane danze, fatte di oscillazioni del corpo e delle braccia, si mischiano ai colori, ai cappelli di paglia delle donne in kimono e agli ideogrammi degli stendardi che aprono i cortei. La cornice termina con centinaia di stand gastronomici che offrono i migliori prodotti della cucina giapponese, naturalmente annaffiati da sakè ghiacciato.
Non c’è traccia di occidentali, le persone sembrano stupite di vederci e spesso ci chiedono di potere essere fotografate con noi, perdono tempo per spiegarci il significato delle danze, non parlano inglese ma riescono in qualche modo a farsi capire.
Alle dieci in punto, quella che sembrava una festa sull’orlo dell’anarchia, del rumore e dell’eccitazione collettiva si spegne di colpo. In meno di mezz’ora la polizia riapre le strade, i negozi chiudono, la gente si dilegua, lasciando a terra solo qualche traccia. Poche carte e qualche bicchiere di plastica vengono velocemente sbarazzati dalla nettezza urbana.
Efficienza e rispetto incondizionato delle regole, anche questo è il Giappone.
La mattina dopo, cerchiamo di riprenderci dall’inebriante atmosfera sciamanica, continuiamo in auto la visita dell’isola. L’attrazione principale dello Shikoku è il sentiero degli Henro, composto da 88 templi associati al monaco buddista Kukai. Per la strada s'incontrano sovente pellegrini vestiti di bianco: con un bastone si aiutano durante le ripide salite e un largo cappello li ripara dalle piogge torrenziali estive. Il percorso si snoda su 1200 chilometri e sono necessari quasi due mesi per percorrerlo.
L’isola di Shikoku è un’esplosione della natura, nonostante le alte temperature estive le foreste restano rigogliose e verdi, l’abbondanza di acqua, che sgorga copiosa spesso anche lungo la strada, permette un irrigazione costante e perenne.
Dopo alcune centinaia di chilometri arriviamo all’estremità sud dell’isola, una piccola strada ci conduce a Capo Ahizuri, dove poche case isolate dal mondo, circondano un faro su una roccia, solo a sfidare le correnti dell’oceano Pacifico. Percorriamo la costa, tra villaggi di pescatori, palme, spiagge dove alcuni surfisti si cimentano in acrobazie da professionisti, ed arriviamo a Muroto. Uno dei posti più sacri dell’isola. In una landa sperduta della costa, nascosta in fondo ad una falesa, il monaco Kukai era solito meditare in una piccola grotta naturale, che oggi è diventata un tempio.
Risalendo verso nord attraversiamo la valle della Iya, selvaggia e inaccessibile, dove è possibile prendere una funicolare per scendere di 150 metri, fino al letto del fiume, ed immergersi in uno sperduto quanto appagante Onsen (terme di acqua sulfurea giapponese).
Lentamente arriviamo a Kobe, lasciamo l'auto e un treno superveloce (lo Shinkansen) ci conduce prima a Nara (antica capitale) e infine a Tokyo, dove finisce la nostra avventura.
L’ospitalità, le contraddizioni, la disciplina e la tradizione convivono in una miscela che rende questo paese unico al mondo. Il Giappone moderno è una società in bilico tra gli eccessi e il conformismo, la millenaria cultura e la tecnologia moderna, una mentalità antica di duemila e cinquecento anni e l’apertura improvvisa verso l’occidente.
Una destinazione lontana, un popolo diverso, una scoperta quotidiana per quello che per centoventi milioni di giapponesi é l'ovvietà.
(Matteo Manfredini)
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