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Gombio fra grandezza e isolamento

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Chiesa Gombio (ca. 1943)
(Immagine dal sito reggioemiliaturismo.provincia.re.it)

Chiusa in una semplice cornice di legno colorata a smalti imitanti le venature del marmo, la pala di Gombio (olio su tela) rappresenta Maria che viene assunta al cielo sostenuta, quasi sospinta, da un volo d’angeli; un’impostazione scenica che richiama quella più famosa di Guido Reni. Intorno al capo un giro di cherubini ad attestare la sua divina regalità. Singolare il gioco del colore dominato, nella parte inferiore, dai toni freddi delle nuvole che vanno via riscaldandosi con il rosso intenso dell’abito fino a giungere al fulgore aureo dei cherubini che circondano il volto di Maria. Chiara allusione al fatto che, come Maria e con Maria, anche le realtà umane verranno esaltate e glorificate. Dolcissimo il volto di Maria, rivolto verso l’alto, perso – si direbbe – nel mistero nel quale sta entrando, attratto dalla gioia dell’incontro con il suo Figlio. Appare evidente la concentrazione del pittore su questo particolare, mentre molto più affrettati appaiono i volti degli angeli. Diversamente dalle “Assunte” delle contigue parrocchie di Felina e Castelnovo ne’ Monti, questa di Gombio non ha, nella parte, inferiore, la consueta scena degli apostoli attornianti la tomba vuota di Maria, chiaro riferimento alla sua “dormizione”. Prevale, si direbbe, il concetto teologico della “glorificazione”. Le indagini storiche non hanno ancora dato un nome al pittore che, tuttavia, viene fatto risalire alla scuola del reniano Giovanni Andrea Sirani (Bologna 1610-1670).

Gombio. Il paese e la parrocchia

L’isolamento in cui vive oggi la frazione castelnovese di Gombio, posta nella valle del Tassobbio dove questo grosso affluente dell’Enza riceve le acque del Rio Maillo, nasconde l’importanza che essa ebbe invece nell’antichità. Essa è attestata già prima del Mille: ha larghe testimonianze nel cartolario dell’abbazia di Marola. Da Gombio provengono maestri vari (d’arte, ma probabilmente anche di scuola) che dicono di una popolazione aperta, ricca di contatti culturali ed economici con i territori parmense e reggiano. Degno di memoria, tra i maestri dell’antichità, un Domenico Ferrari che, in pieno secolo XVII, in collaborazione con certo F. Zanni di Reggio, produce “paliotti” in scaliola colorata di rara ed eccezionale finezza, due dei quali ancora visibili nella chiesa di Felina. Nel 1193 parte da Gombio, diretto a San Giacomo di Compostela, un certo Simone; il suo testamento, pur senza specificarne la dedicazione, evidenzia la presenza in luogo di una chiesa che documenti successivi annoverano tra quelle della grande Pieve di Campiola (Castelnovo ne’ Monti), dalla quale mutua anche la dedicazione all’Assunta. Una dedicazione storicamente assai interessante perché risalente ai secoli IX-X, allorché la Chiesa di Reggio, in seguito alle donazioni di Lama Fraolaria (781) e Monte Cervario (904), estese il suo dominio sulla montagna, trasformando le “Eigenkirche” longobarde in quelle cappelle curate che, al termine del secolo XIV, saranno già identificabili nelle attuali parrocchie. Le sue terre conobbero la devastazione portatavi nel 1315 dal Comune di Reggio per colpire i signori Dalla Palude di Crovara, che in Gombio avevano le terre più fertili. Ciò nonostante, come in successive drammatiche evenienze, Gombio seppe sempre riprendersi e sorpassare i traguardi precedenti. Nel 1416 ebbe il titolo di feudo imperiale; che tuttavia non lo esentò dalle continue guerre e liti tipiche delle località poste al confine di stati più spesso nemici che amici. Famose le contrapposizioni a Leguigno per la precedenza delle sue processioni nel vicino santuario di San Michele in Bosco. La decadenza economica avvenne con l’isolamento viario prodottosi nell’ultimo dopoguerra; che tuttavia non è stato in grado di arrestare lo spirito di intraprendenza degli abitanti, ancor oggi famosi per l’ospitalità che sanno dare in occasione di feste e sagre estive. Priva di parroco residente, la parrocchia ha restaurato i suoi locali mettendoli a disposizione di altre parrocchie per soggiorni di vacanza, ritiri ed esercizi parrocchiali; attività per le quali il silenzio delle sue campagne e dei suoi boschi esercita un’attrazione davvero unica.

(Giuseppe Giovanelli)

(Tratto dal settimanale diocesano "La Libertà", n. 28, 10 agosto 2013)