Proponiamo il primo di alcuni articoli che ci manda Matteo Manfredini, in viaggio in Giappone, che ringraziamo per la collaborazione offerta al nostro giornale. Classe 1982, nato e cresciuto a Carpineti, Manfredini ha studiato a Parma (studi internazionali ed europei) e ha vissuto in Francia, Australia e Germania prima di arrivare a Bruxelles, dove lavora da circa 5 anni. Scriva su alcuni blog e riviste locali, principalmente su viaggi ed Unione europea. Le foto di corredo all'articolo sono sue.
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Atterrare in Giappone è un'esperienza unica.
Il modo in cui per anni abbiamo imparato a comunicare e a rapportarci con il prossimo viene stravolto. Non solo la lingua, ma gli sguardi, i gesti, le posture, assumono un significato diverso che può facilmente essere interpretato in modo contrario alle nostre intenzioni.
La prima tappa del nostro viaggio parte da Tokyo e termina a Kyoto.
Tokyo diventò capitale nel 1603 (anche se ufficialmente solo dal 1868), quando il signore della guerra Shogun, Tokugawa Ieysau, stabilì qui la sede del suo governo.
All’epoca la città si chiamava Edo, tuttavia rimane ben poco di quella che già alla fine del XVIII secolo, era la città più popolosa del mondo, con un moderno piano urbanistico, addirittura comprendente di un sistema municipale di raccolta e riciclaggio rifiuti. Tokyo oggi è una città frenetica, di luci colorate, di grattacieli, di ristoranti, una metropoli pulsante che non dorme mai. Su una qualsiasi linea della sua complicata e moderna metropolitana, si incontrano i famosi uomini-salario (Sararīman). Escono a tarda ora esausti dai loro uffici, in cravatta e camicia rigorosamente bianca. Appena si siedono sui lindi sedili del treno si addormentano in un sonno profondo. Oppure si intravedono ragazzini vestiti da personaggi dei fumetti, che girano per i quartieri di Shibuya e Shinjuku, entrano in gruppo in un Karaoke o in una sala giochi.
L’occhio occidentale non riesce a cogliere l’essenza di questo mondo, del resto siamo appena arrivati e tutto ci sembra alieno, o forse gli alieni siamo noi. Trovare il Giappone tradizionale a Tokyo è impresa ardua. Tra le viuzze di Yoyogi cerchiamo un po’ di calma e di silenzio dentro uno dei mille ristoranti che offrono Sushi e Sashimi a prezzi irrisori. Scopriamo in questi luoghi i modi cortesi dei giapponesi, i loro inchini di ringraziamento, il rispetto per il cliente, la loro precisione e pulizia. Se si ha la fortuna di trovare un vicino che parla inglese è molto semplice intraprendere una conversazione leggera, l’Europa li incuriosisce e forse l’Italia ancora di più.
Il bus notturno che ci conduce a Kyoto ci catapulta in una realtà molto diversa. Donne in chimono affollano le strade di Gion, l’antico quartiere un tempo frequentato da Geishe e dai proprietari dei più prestigiosi teatri ti kabuki del GIappone, che sembra essersi fermato al XVIII secolo.
Ai piedi delle verdi colline che delimitano l’area urbana si incontrano complessi templi buddisti e santuari shintoisti ad ogni angolo. Le due religioni coesistono nel paese da quando il Buddismo fu importato dalla Corea nel sesto secolo. Oggi i giapponesi si professano buddisti e shintoisti allo stesso tempo. I santuari si riconoscono dai Torii (porte d’ingresso composte da due colonne e da un palo orizzontale tradizionalmente dipinto di rosso) e sono generalmente costruiti in luoghi sacri.
L’architettura degli edifici è affascinante, i legni scolpiti, i tetti ondulati e curvi, le pagode che si innalzano verso il cielo. I giardini che circondano questi posti dediti alla meditazione o alla preghiera, sono immacolati, siano essi Giardini Zen (di rocce e sabbia bianca), Kaiyu-shiki-teien ( giardini dove si segue un percorso preciso per ammirare i piccoli paesaggi ricostruiti), o Roij (giardini che circondano le case da te). Capire la religione giapponese non è facile per il turista occidentale, le centinaia di statue sono ricche di significati simbolici, ogni tempio si riconosce in un monaco diverso e spesso appartengono a tipi di buddismo autonomo.
Kyoto vanta 17 siti designati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La visita della città richiederebbe almeno una settimana, ma la cosa più preziosa (malgrado ricostruita fedelmente dopo un recente incendio) è forse il Kinkaku-Ji o Padiglione d’Oro costruito nel 1397 come residenza dello Shogun Yoshimitsu e trasformato in tempio da suo figlio.
Tokyo e Kyoto, la modernità e la tradizione, due modi di intendere il Giappone che coesistono ma non si escludono.
Prossima tappa Hiroshima.
(Matteo Manfredini)
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