Un piacevole ritorno al paese d’origine per il cantante Leano Morelli, ospite in questi giorni di un amico a Villa Minozzo. E l’emozione di un tuffo nel passato, che il cantante ha regalato alla "Notte verde", riproponendo alcuni vecchi successi. Non si sentiva da un po’ di tempo, in montagna. 800 persone al suo concerto all’Okey Club di Cervarolo, organizzato dagli “Over 35” nel marzo 2004. Strapieno anche il concerto estivo dell’anno dopo, in piazza del capoluogo, il suo ‘vero ritorno’ a Villa. Folti ricci. Un passato intriso di successi e frequentazioni vip. Quattro partecipazioni a Sanremo, alcune al Festivalbar. Accanto a lui hanno posato bellissime donne: la Bouchet, la Carrà, Pamela Prati. Un periodo che sembra ormai un ricordo lontano. Jeans, camicia nera, marsupio in tinta. Lo si può incontrare a Villa in gelateria Piccadilly, all’ora dell’aperitivo, o a cena in pizzeria Jolly.
Una vacanza a Villa?
Sì, sto a Case Zobbi, dal mio amico Ermes Paglia, dentista. La casa è vicino al bosco, silenziosa, fresca, si vedono gli scoiattoli, i caprioli, mi rilasso, sto da Dio. Non so quanto rimarrò, dipende dagli scoiattoli (ride, ndr).
Sì. Ho i miei ‘buchi’: le mie passeggiate, i giri a piedi. Ho ancora quasi tutti gli amici.
La tua famiglia era di Villa?
Mio papà, Basiglio, maestro di scuola elementare, era di Casalino (Ligonchio). Mia mamma, Eber, era bresciana. Abbiamo vissuto a Villa fino a quando avevo 5/6 anni, poi, ci siamo trasferiti a Milano. Ma venivamo sempre a Villa, due mesi d’estate, a Natale, e altre volte. Avevamo un appartamento qui, non avevamo l’auto, ci spostavamo con il treno e la corriera. Qui ho passato l’infanzia e l’adolescenza.
Sì, molto. Le mie amicizie erano qui. A 15 anni suonavamo, facevamo ‘baracca’, come dicevamo noi, andavamo a fare passeggiate, al fiume, a raccogliere i funghi. Mi sono sempre divertito molto. Ho continuato a venire sempre su, appena potevo, anche quando ero ‘in auge’ e avevo le estati piene di date. Sono molto legato a questo posto e alle persone. So che hai portato molte persone famose a Villa. Milva, la Vannoni, Albano e tanti altri. In realtà venivano per mia mamma e mio papà. Mio papà era molto benvoluto per il suo impegno con i bambini. Vivi da tempo a Milano.
Preferisci la città o la montagna?
Sono due cose diverse. Milano offre tantissime opportunità, teatri, cinema, lo stadio. A Villa c’è il panorama, le passeggiate, il fiume. L’unico inconveniente è che qui, all’1, vanno tutti a letto. Io ho un ritmo diverso, da anni, e faccio fatica ad addormentarmi presto.
Com’è nata la tua passione per la musica?
Colpa dei Beatles e dei Rolling Stones. A 12/13 anni, mi piaceva la musica e scrivevo delle ‘poesie’, chiamiamole così. Poi si sono unite le due passioni. Ho preso la chitarra, ho iniziato a strimpellare, ed è nata la prima canzoncina.
Quale?
“E intanto tu non torni”, dedicato a una ragazzina che era andata via. Avevo scritto solo due strofe, è rimasta lì per 30 anni, poi, ho travato il ritornello e l’ho ultimata. È nella raccolta di inediti, “Percorsi”, del 2012.
E il tuo primo successo?
“Nata libera”, che ho portato a Sanremo nel ’76, arrivando quarto e ottenendo il premio della critica.
Come hai imparato a suonare?
Non ho mai studiato musica. Ho iniziato con un amico d’infanzia, Maurizio, che mi ha dato gli accordi fondamentali. Non ho mai voluto imparare a suonare molto bene. Quando ero con la PolyGram, volevano darmi un grande chitarrista che m’insegnasse per migliorare, ma ho rifiutato. Se ti fai le ‘menate mentali musicali’, inizi a pensare a settime, diminuite, ecc., ti perdi nella musica, e pezzi come “La canzone del sole” ti sembra siano una stupidata, invece sono canzoni che arrivano dritte. Molti cantautori, come Lucio Battisti, hanno fatto canzoni solo con gli accordi fondamentali.
Come sei stato scoperto?
Avevo un’amica che lavorava come segretaria alla casa discografica PolyGram (prima Philips). Ai tempi la PolyGram aveva Venditti, Vecchioni, Le Orme, Orietta Berti, era una bella casa discografica. Andavo là tutti i giorni, dalle 14,30 alle 18, facevo orario d’ufficio. Finché il direttore artistico mi ha chiesto chi fossi. Gli feci sentire “Nata libera”, al che lui mi chiese: “Perché non sei venuto prima?”. A quei tempi ero molto timido e introverso. Dopo una settimana avevo il contratto discografico e andai a Sanremo subito, proprio con quella canzone. Poi tornasti a Sanremo anche l’anno dopo. Sì, nel ’77, con “Io ti porterei”. Arrivai quarto, dopo tre gruppi, primo cantante solista. Ottenni il premio della critica. Fabrizio De André fu intervistato e disse che la mia era la canzone più bella e avrebbe dovuto vincere. L’anno dopo, nel ‘78, pubblicai il singolo “Se un giorno non mi amassi più” e arrivai secondo al Festivalbar, con “Cantare gridare sentirsi tutti uguali”.
Dopo il mio secondo Sanremo, il mio discografico se ne andò, cambiò mestiere, altrimenti l’avrei seguito, perché credeva in me. Restai ancora un anno nella PolyGram. Poi feci un altro Sanremo, nell’80, con “Musica regina”, un pezzo orrendo, che non mi piaceva. Avrei preferito non andarci ma mi obbligarono, per contratto. Era un modo per farti fuori. E fu un fallimento. Tornasti a Sanremo anche nell’81. Sì, dopo essere andato via dalla PolyGram trovai come discografico il marito della Zanicchi, Tonino Ansoldi. Con lui feci un altro Sanremo, con “Angela”. Non andò benissimo, ma era un bel pezzo. Poi mi rivolsi a Milva, che mi aiutò, mi presentò un produttore e, nell ’83-84, feci il quarto album, “Dovevi amarmi così”, con l’etichetta Fonit-Cetra. Ma sfortuna volle che il direttore morì, la casa discografica si sfasciò, il mio album non fu pubblicizzato e fu un po’ la fine del mio curriculum.
Poi hai fatto delle raccolte.
Sì, due album per l’etichetta DV-More Record. Una raccolta dei successi dei “Nomadi e Guccini” (1997), poi una dei successi di “Fabrizio de André”. Lo cantavo già che morisse, a differenza di tanti altri. Avevo dato l’album a suo figlio Cristiano per farglielo ascoltare e aver un giudizio, ma non stava bene e dopo un mesetto se ne andò. Mi è sempre piaciuto, ho avuto anche l’onore di chiacchierare con lui qualche volta.
Un paio di canzoni, quando ero giovane. Una per Albano, “E se tornerà”. Era uno spiritual su Gesù, gli era piaciuta e l’ha cantata anche bene. La faceva sempre in concerto. E una per Fred Buongusto, “Attento Disc Jockey”. Io l’avevo scartata, l’ha sentita il suo discografico che ha pensato che fosse adatta a lui. L’ha cantata al Festivalbar. Ma non mi piaceva scrivere per gli altri. I cantanti che preferivo, se le scrivevano da soli.
Quali sono stati i tuoi ‘modelli’?
Cat Stevens e Bob Dylan. Fra gli italiani, Cocciante, Battiato, Venditti. Poi Leonard Cohen, ma l’ho scoperto solo ultimamente. Ho visto un film su di lui su Sky e sono andato in crisi, scriveva esattamente come avrei voluto scrivere io.
Su cosa vertono i tuoi testi?
Fatti che bene o male mi sono successi. Amici drogati, amici persi per strada, l’amore. I miei testi sono sempre basati su un fatto vero. “Nata libera”, ad esempio, era ispirato a una ragazzina olandese che girava da sola con il saccapelo, mentre qui le ragazze giravano ancora con il fratello.
C’è qualcuno che mi piace, Tiziano Ferro, i Modà, qualche donna, come Elisa, ma nessuno che mi faccia impazzire. Sono tutti molto preparati, ma poco creativi. Oltre ad essere cantautore, hai gestito vari locali. L’ultimo che ho avuto era il “Patuscino”, a Milano, per sette anni, con musica live tutte le sere e karaoke una volta alla settimana. Poi mi sono trovato in disaccordo con gli altri soci e me ne sono andato un mese fa. Mi sono anche lasciato con la compagna con cui vivevo.
I tuoi progetti futuri?
Voglio aprire un altro locale a Milano, a Brera. A parte Villa, è la mia seconda casa. Poi avrei dei pezzi nuovi, ma il mondo della musica è sempre più difficile. Non si vendono più dischi. Tutti scaricano musica da internet. Le case discografiche non producono tanta merce nuova, sul mercato ci sono sempre i soliti, come Vasco Rossi. Poi ci sono tutti questi programmi per ragazzini. La tv sfrutta la speranza della gente. Per noi ‘vecchietti’ non c’è più niente. Non è come in Francia o Inghilterra. Anche i concerti sono diminuiti. Il meridione una volta era una grande fonte di lavoro, con le feste di piazza, ma non investe più. C’è poco lavoro. Dieci anni fa si facevano almeno venti serate d’estate, adesso va bene se se ne fanno cinque. Infatti sono a Villa (ride, ndr)...
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Leano Morelli nasce a Villa Minozzo il 1° ottobre 1950.
Da piccolo si trasferisce con la famiglia a Milano.
Nel 1976 partecipa a Sanremo con “Nata libera”.
Nel 1977 con “Io ti porterei” arriva quarto a Sanremo, vincendo il premio della critica.
Nel 1978 pubblica “Se un giorno non mi amassi più” e arriva secondo al Festivalbar con “Cantare gridare sentirsi tutti uguali”.
Nel 1980 partecipa a Sanremo con “Musica regina”.
Nel 1981 torna a Sanremo con “Angela”.
Nel 1984 esce il quarto album, “Dovevi amarmi così”.
Nel 1995 esce la raccolta “Il meglio”.
Nel 1997 incide i successi di “I Nomadi e Guccini”.
Nel 1998 incide i successi di “Fabrizio de André”.
Nel 2003 esce l’antologia “Nata libera”.
Nel 2012 pubblica l’album di inediti “Percorsi”.
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Leano Morelli: “Il mio paese”
Quello che vedete potrei giurarvi che non è il mio paese
mi sembra un vecchio dalle gambe stanche che si siede
senza la voglia neanche di alzarsi più
questo non è il mio paese
ma io che lo conosco
e come un bombo che ha bevuto e ride sempre
oggi sarà la pioggia che lo fa sembrare così
voi non dovete ricordarvelo così
questo non è il mio paese
non ti do più vino si scherzava
e stravolti ma felici alle prime luci del mattino
giù in istrada scendevamo e una volta mi ricordo
che trovati gli strumenti della banda fu un concerto
dei migliori mai tenuti che ricordi io all’aperto
il difficile fu spiegarlo solamente al maresciallo
questo è il mio paese
mettete in moto l’auto partiamo pure ritorniamo giù a Milano
e penserete lo so non è come ce ne parlava Leano
lui è rimasto ai ricordi di bambino ma avrà ragione
non è vero qui è rimasto tutto come una volta
forse son cambiati i personaggi non c’è più il campione
che l’alcool convinse di essere il più forte nella corsa a piedi
e noi che lo lasciavamo andare in testa
non c’è più chi suona le campane alle tre di notte
non c’è più la banda che suonava forse troppo presto
ma non credo forse spero sia cambiato tutto il resto
perché questo è il mio paese
RIT: qui di notte si cantava se non sei un compagno
non ti do più vino si scherzava
e stravolti ma felici alle prime luci del mattino
giù in istrada scendevamo e una volta mi ricordo
che trovati gli strumenti della banda fu un concerto
dei migliori mai tenuti che ricordi io all’aperto.