"Carneade, chi era costui?" Temi con citazioni da commentare, situazioni mondiali da valutare, contenuti da saper argomentare. Il tema di Italiano dell’esame di maturità di qualche anno fa presupponeva un candidato aggiornato, capace di orientarsi tra i vari linguaggi contemporanei, in grado si saper distinguere la differenza tra piacere e piaceri. Di poter dissertare sulla felicità, fare supposizioni sugli Ufo, o analizzare un testo di Primo Levi. Dopo un percorso di cinque anni lo studente viene chiamato a rendere conto di contenuti di cui si è in teoria appropriato, rielaborandoli in forma originale e personale, dimostrando di conoscerli, padroneggiarli, saperli scomporre e ricomporre in modo da fornire una prova tangibile, concreta, palese delle proprie conoscenze.
Cosa intende per cultura la nostra società? Secondo molti psicologi essa non è altro che un insieme di schemi, prodotti, artefatti utili per mediare e affrontare la realtà. La cultura è essa stessa prodotto e veicolo di conoscenza. Tuttavia essa è “un orizzonte che si allontana, più cerchiamo di avvicinarci” (Benhabib, 2002).
La scuola è in grado di preparare adeguatamente gli studenti ad affrontare quanto poi richiede loro di dimostrare di conoscere? Occorre in tal senso fare una riflessione, partendo dalle reazioni emotive dimostrate. Le prove d’esame rispecchiano l’iter eseguito durante il percorso scolastico? Chi prepara le prove ha il termometro di quanto accade realmente dentro alle aule quotidianamente? O vi è uno scollamento tra i saperi macerati e macinati e quanto invece pensato e proposto dalle commissioni che preparano le prove?
A valutare dal materiale emotivo che emerge, sembra di no. Stupore, disapprovazione, amarezza, protesta, indignazione sono i sentimenti comuni per le prove. La mancata corrispondenza tra quanto studiato e quanto richiesto può essere recuperata? Ciò che viene stabilito ai vertici è un compendio e una rappresentazione oggettiva di quanto diffusamente promulgato, o rappresenta una interpretazione, visione astratta e distante dai programmi davvero svolti?
Se accettiamo che la cultura è un prodotto collettivo, in cui individuo e società appaiono strettamente embricati, e che evolve in modo diacronico e sincronico, la riflessione porta senz’altro ad osservare che tale distanza ci sarà sempre, poiché c’è uno scarto di tempo tra quanto prodotto, e quanto in effetti viene analizzato.
Tra il produrre un significato culturale e la sua divulgazione c’è un lasso temporale, che sfugge, distrae. Ben afferma Zygmunt Bauman quando definisce la nostra società liquida, contrapposta a quella precedente, solida. I programmi della scuola sono ancorati a un tipo di sapere solido, adatto a una società industriale, mentre la vita reale si liquefa, frantumandosi e diffondendosi in modo tecnologico. I nostri figli sono nativi informatici, ma il sapere a loro proposto appartiene a una modalità ancora lineare, in sequenza, mentre il funzionamento cognitivo attuale segue una via in parallelo, multidimensionale, multimediale, comprensiva di più linguaggi in contemporanea.
Così commentare un periodo storico con un approccio retrospettivo diventa difficile da rileggere con questi occhiali, è come tradurre il cirillico usando l’alfabeto greco. Tuttavia se si supera l’esigenza della prestazione e si osserva, sospendo il giudizio immediato, si può constatare che le epoche di transizione hanno sempre avuto un momento in cui il già stato è divenuto distante, e che il non ancora non è afferrabile.
Nell’attesa che gli strumenti a disposizione delle nuove generazioni si consolidino, gli esami di maturità avranno quella caratteristica di estraneità, come se due mondi distanti cercassero di comunicare.
Per poter decifrare lo spettro emotivo che ne scaturisce fatto di paura, incertezza, insicurezza, speranza di uscire vincenti, cosa possono fare le persone che sono vicine, e che si ritrovano a sostenere figli, amici, persone amate in questo passaggio? Restare fermi e costituirsi sponde, accogliere le paure senza perdervisi dentro, tenendo ben presente che c’è uno scorrere delle situazioni, e seppur mettano alla prova anche emotivamente , gli esami restano dei ricordi, dei contenuti mai afferrabili, sintetizzati, scordati, dettagli o costrutti che vanno a formare un bagaglio di conoscenze imperfette, mobili, socialmente co-costruite e condivise, e come tali negoziate e ri-negoziate di continuo. Per tale motivo occorre per valutare una preparazione, trascendere i contenuti immediati, prenderne molta distanza, e ricondurre tutta l’esperienza a quanto realmente è: un rituale di coraggio, nell’affrontare un guado costituito da un nucleo ignoto. Il come si arriverà dall’altra parte non ha importanza, ma moltissima ne avranno tutte le comprensioni che l’individuo avrà cammin facendo, essendo consapevoli che il sapere non potrà mai racchiudersi in definizioni stantie, che il giudizio altrui sarà sempre mediato da molte variabili, e che ciò che si fa, si sa o si conosce non è ciò che si è. È importante sapere che il tutto (in questo caso la persona) sarà sempre ben di più delle somme delle parti, degli esiti scolastici e dei voti conseguiti.
Accettare lo spazio incerto e vago, dove non ci sono certezze e previsioni, aiuta a comprendere una caratteristica fondamentale nella vita: Che nulla si può definire, racchiudere, possedere per certo. Seppur studiando, ricercando, impegnandosi le risultanti di un esame non saranno mai del tutto corrispondenti e proporzionali, ma saranno la sommatoria di mille situazioni concomitanti, frammiste, imprevedibili.
Impermanenza, fluidità, mutevolezza, imprevisti accadono ogni giorno. Sapervi sostare, attendendo il passaggio, senza lasciarsi sommergere dall’ansia e dall’angoscia dell’ignoto, accettando la fragilità che questa condizione sottolinea...forse è questa la maturità?
Un terno al lotto che a volte si vince con l’impegno
Io ho studiato tantissimo, per ora è andata benissimo! Alcuni miei amici hanno subito ingiustizie… Gli esami di maturità? Imprevedibili…
(R.M.)
Commissioni d’esame
Talvolta a non essere “maturi” sono gli insegnanti stessi. Auguro a tutti i maturandi di avere una commissione composta da docenti preparati nelle materie ma anche umanamente, che sappiano discernere il sapere mnemonico momentaneo da un sapere interiorizzato, appropriato, fatto proprio, che serva nella vita. Vi auguro di avere di fronte docenti che vi “vedano” per ciò che siete, che valorizzino e riconoscano i vostri talenti e apprezzino impegno e sacrificio, se c’è stato; e che tengano conto del percorso fatto in cinque anni. Vi auguro docenti “maturi”! Buon esame!
(Adele)