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L’intervista / “La casa della carità? Un parafulmine”

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Giovedì 23 maggio scorso. Con i miei compagni e con due insegnanti del nostro istituto alberghiero di Castelnovo ne' Monti abbiamo deciso di donare un po’ di noi, un po’ del nostro tempo. Il pullman della scuola ci ha portati ad Argine, dove abbiamo preparato un pranzo per gli ospiti della casa di carità.  Ad accoglierci c’era Suor Manuela, con cui ho fatto una piacevole chiacchierata (Gabriele Agostinelli). Eccola di seguito.

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Secondo lei…

Dammi pure del tu.

Ok, secondo te qual è l’importanza della casa di carità?

La casa di carità può dare la possibilità a tanta gente di formarsi, perché qui ci sono gli ospiti, che sono il Signore, e lui è sempre presente. La casa di carità è una palestra, un parafulmine, per la parrocchia e per la gente che viene. Secondo me anche oggi la casa di carità ha qualcosa da dire ai nostri giovani soprattutto oggi poiché siamo in un mondo un po’ sbalestrato. Forse è colpa nostra, che non vi abbiamo preparato un terreno fertile. Il giovane va aiutato a formarsi e a fare qualche sacrificio, qualche rinuncia. Noi le abbiamo fatte queste rinunce, perché non c’era niente quando siamo nati, non avevamo un mondo pronto.

Casa carità 2A cosa hai rinunciato e cosa ti ha portato la rinuncia?

Rinunciare a tutto mi ha portato alla libertà. Avevo un sacco di cose, avevo la macchina, una Cinquecento, avevo la Vespa e avevo anche il moroso. Però mi mancava qualcosa. Ho tribolato a capire la mia vocazione, perché non volevo, non volevo ascoltarmi e ascoltare il Signore. Ma ho capito che quando ho detto sì sono diventata un’altra persona, ero libera da tutto quello che avevo dentro e che non volevo buttare fuori.

Quindi non volevi diventare suora: e come è successo?

È successo che quando sono andata alla vestizione di Suor Vittoria, una mia amica, ho capito che quella lì era la mia strada, sono stata bene, ero contenta. Avevo anche un confessore però non volevo andarci, avevo paura che lui mi dicesse di diventare suora. Ho sentito un richiamo molto forte, ma avevo davvero paura. Ho preso la Vespa e sono andata a Reggio, ho pensato molto durante il viaggio. Sono tornata a casa e la prima cosa che ho fatto è stata di andare dal parroco. E lì ho realizzato che era ora di smettere di fare la sciocca e prendermi le mie responsabilità. Dopo circa cinque anni sono diventata suora. Ci ho messo molto tempo perché avevo molta paura, ma questo mi ha aiutato a crescere e a svuotarmi di un po’ di me.

Cosa ha portato il nuovo Papa?

Papa Francesco è un gran Papà. È appena arrivato e ha già fatto delle grandi cose. Ha dato fiducia ai giovani ma ha dato fiducia a tutti. Lui guarda dentro alle situazioni ed è ora di guardarci dentro, di smettere di stare sempre sul piedistallo e basta, di andare in mezzo alla gente, guardare la gente, dentro gli occhi, conoscerla. Quello che fa è dare speranza, e ha detto: «Io sono il vescovo di Roma». Si è posto a livello degli altri, ecco. Mentre Papa Benedetto è stato umile, non ce la faceva più e ha deciso di ritirarsi, ha lasciato il segno. Forse è merito dello Spirito Santo.

Casa carità 3E nella tua vita quanto è presente lo Spirito Santo?

Lo sento quando vado a pregare, lo sento sempre. E non è importante che si preghi a voce alta con le parole. Se tu ti metti davanti a Gesù in croce e lo guardi Lui ti dice tutto ciò che c’è da fare, ti guida. Anche lì ho fatto un cammino considerevole, perché non riuscivo a vedere Gesù in croce, lo vedevo solo risorto. Ma bisogna passare dalla Croce, dalla Sofferenza.

Quali sono le soddisfazioni e le sofferenze del tuo mestiere?

Lavoro qui, in questa casa di carità, da sei anni. Quando mi sono spostata dalla montagna qui la situazione era difficile e mi sono trovata a disagio. Ora però sono contenta. Siamo riusciti a portare gli ospiti dal primo piano al piano terra per dar loro la possibilità di godersi il giardino e il cielo chiaro nelle giornate di sole. Non è una gran cosa  ma il  mio poco è il loro molto.

A tuo parere com’è questa esperienza per noi ragazzi?

Purtroppo qui di ragazzi ne vengono pochi, quando vengono sono molto contenta. È un aiuto che danno, ma alla fine è anche un aiuto che ricevono. Perché sembra di dare, ma si riceve di più. Ho sempre creduto nei giovani e ci credo ancora. Bisogna credere in qualcosa. L’unico consiglio è quello di darsi una mossa, che il benessere va bene, ma è giusto saper scegliere. Don Tonino Bello concentrava tutto in tre parole: Fede, Speranza, Carità. Non mollate mai la Fede, non smettete mai di Sperare e soprattutto aprite il cuore alla Carità. Perché la Carità aiuta a formarsi.

Ecco quindi il messaggio della 4^ B Alberghiero : “Non è importante ciò in cui si crede, l’importante è credere in qualcosa”.

Non importa ciò in cui si crede, importa credere in qualcosa.

(Gabriele Agostinelli)

 

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