Ultimo giorno di febbraio in un capoluogo d’Appennino. Attraversi il paese e non incontri anima viva. Su quello che fu l’albergo più rinomato della seconda metà del Novecento un cartello da qualche anno recita “chiuso”. Hanno serrato i battenti, anche nel 2012, alcune attività commerciali, tra queste lo storico bar che, in antitesi ai nomi inneggianti allo sport, si chiamava come l’Europa. Nei bar rimasti, alcuni pomeriggi come questo, puoi incontrare alcuni artigiani privi di richieste di prestazioni. Al mattino, invece, è più facile incontrare una casalinga o signore meno giovani alle prese con le macchinette infernali: loro raccolgono Euro, in cambio regalano sogni. “Tiro giù anche 12-17 mila euro al mese dalle slot installate”, ci spiega un esercente. Intanto, negli ultimi sette anni, hanno aperto due rappresentanze di pompe funebri.
Ti sposti, allora, e provi a salire a Gottano di Sopra che, non a torto, è considerato uno dei borghi più belli d’Appennino, inspiegabilmente non inserito ancora nel Parco Nazionale, che dista un chilometro in linea d’aria e un tiro di schioppo assieme.
Qui incontri gli ultimi abitanti. Chi lamenta la spalata troppo alta perché, ora, le vie hanno lasciato spazio al nuovo selciato in pietra locale, chi lamenta, più concretamente, come a quattro anni dal crollo di una casa storica – il 19 giungo 2009 – nulla è stato fatto di quanto promesso dalla proprietà, chi, invece, afferma che “qui le cose sono cambiate”.
Al cospetto della torre campanaria, pare d’epoca matildica in linea visiva con Rusino e Rossena, ti spiegano che anche se gli abitanti d’inverno sono solo sette, d’estate sono molti di più. Come le case che, però, sono qui sono presenti numerose, silenziose e chiuse tutto il resto dell’anno. Ma c’è una novità: in vendita, ora, di abitazioni a Gottano di Sopra, ne restano solo tre. Perché, in questo scorcio di paradiso, lontano dalla confusione e dove si ha la sensazione di dominare a picco sulla valle dell’Enza e, dall’altra parte, sulla soleggiata valle del Lonza, le abitazioni vuote che c’erano sono tutte state compravendute. Qualcuno le ha tenute per affetto, altri sperando che il paese possa finalmente diventare quello che Soana è per il grossetano, riscoprendone la sua vocazione turistica. Qualcuno le ha affittate per una cifra simbolica intorno ai 1500 euro all’anno: un ritaglio di paradiso d’estate può costare molto poco.
Chi ha potuto, insomma, ha preso casa qui, per venire d’estate, ma per non venire d’inverno. In un paese dove comunque si respira la storia, il gusto del bello e dove un’attivissima Pro Loco organizza feste e iniziative. Stanno riuscendo anche, i membri della Pro Loco – attenzione non tutti vivono qui -, a restaurare l’Oratorio delle Formiche alate, sulla sommità della vetta che domina il paese.
Ti chiedi, allora, quale è la vocazione della nostra montagna. Dove le casse comunali sono prive di risorse per pianificare investimenti. Dove manca una identità comunitaria capace di ripensare se stessa. Dove il mondo del commercio soffre. Dove gli artigiani li incontri più spesso al bar. Dove i fallimenti svuotano le aziende e segnano le famiglie. Dove il turismo, se privo di idee innovative, è ricordo sulle cartoline dei mercatini d’antiquariato. Dove l’agricoltura si è ridotta, in un decennio, di un altro 30%. Dove i giovani non riescono a tornare. E dove le case sono vissute come luogo di mera conquista estiva.
Peccato ,perchè di luoghi così belli l’Italia ne è piena…ma aimè saranno sempre più spopolati,dove non c’è futuro i giovani non possono rimanere ed i “vecchi” se ne andranno..loro malgrado.Apriamo bene gli occhi,e prima ci rendiamo conto della situazione,(nonostante parco del gigante e quant’altro)meglio è…
(C.C.)
Bell’articolo….! belle domande ..!
.. risposte facili non ce ne sono…tentativi in corso magari sì!…!.cercando di fare un “salto di paradigma”. Cioè attività piuttosto che muri e asfalti..cose molto nuove …
ParcoAppenninoTurismo,Neve Natura ,Autunno d’Appennino,il Centro Visita realizzato e il Centro Benessere in costruzione a Succiso,le cooperative paese, il richiamo a emigrati (proprietari e no)con Parco nel Mondo..sono tentativi di trovare risposte..oltre l’estate..di accendere piccoli nuovi circuiti di vitalità e lavoro valorizzando quel che c è di buono e potenzialmente attrattivo tra ambiente e risorse umane
(Parco Nazionale Appennino Tosco Emiliano)
I comuni, oltre a non avere soldi, non hanno (ancora) una visione lungimirante e inclusiva del potenziale del turismo in montagna. Un borgo, una chiesa, una torre, per quanto belle e importanti che siano, non possono creare un valore aggiunto che si riesca ad incanalare in possibilità economiche-culturali.
Pero’ cinque castelli, cinque pievi, decine di borghi hanno un potenziale di un percorso museale itinerante come ce ne sono diversi nel mondo (uno molto interessante in Picardia sulla prima guerra mondiale).
Certo é che, un progetto di tale entità, non puo’ liquidarsi in una nuova segnaletica stradale, qualche depliant e quattro cartelloni davanti ad un monumento….
Ma nessuno si é mai stupito che in montagna non ci sia un museo sulla storia di Matilde o sulla resistenza? Due momenti in cui le nostre terre sono state al centro della storia d’Europa.
Nessuno si chiede perché non esiste un centro di accoglienza sulla statale 63, alle porte dell’Appennino?
Cerchiamo di capire quali sono le necessità del turismo, le strutture che continuano a mancare. Andiamo noi (o meglio, gli amministratori) a visitare i luoghi del mondo, che hanno già un circuito turistico avviato, e cerchiamo di imparare da loro. Siamo a un tiro di schioppo dalla toscana e continuiamo a pensare che il turismo si faccia con il gnocco fritto per attirare i villeggianti della “bassa” le domeniche pomeriggio d’estate… (senza nulla volerne al gnocco fritto)
(MatteoManfredini)
Devo fare i complimenti a Matteo per ciò che scrive!..Finalmente una persona che ha una visione di turismo diversa da quella che ormai ristagna nella testa dei montanari…Purtroppo (o menomale) negli ultimi 40 anni il mondo è notevolmente cambiato, oggi ogni famiglia ha a disposizione diversi mezzi per potersi spostare e diciamocelo con schiettezza, si preferiscono sempre più mete bene organizzate.
Se vogliamo fare della nostra montagna una meta turistica ambita, occorre rivedere la nostra idea di turismo…
Se in Trentino avessero una bellezza come la Pietra di Bismantova, la lascerebbero cosí?..se ne disinteresserebbero completamente?
Non penso.
(lufab)
Un Appennino che va ripensato. Sarebbe troppo semplicistico e scontato dire che a ciò ci ha portato un ventennio di carente o sbagliata programmazione da parte dei nostri amministratori pubblici, o che la causa sia dovuta alla crisi generale. I motivi sono da ricercare in tante direzioni. Però abbiamo di fatto relegato l’agricoltura a un livello marginale, che col suo indotto, nel bene e nel male ha sempre sfamato le genti del territorio montano. L’abbiamo sostituita con un modello fatto in pratica tanto di terziario, di posti pubblici e di pensionati. Abbiamo costretto una buona fetta della meglio gioventù ad abbandonare il paesello, abbiamo inseguito modelli non nostri, illudendoci di riprodurre il Trentino. Non esiste a mio parere una soluzione immediata. L’inversione di tendenza può partire da un ripensamento profondo di quanto accaduto finora. Dovremo affidarci alla nostra amata terra d’appennino, lasciando perdere le chimere del passato e del presente. Tutti insieme.
(RenzinoFiori)
Perchè si continua a considerare il turismo come l’opportunità principale dello sviluppo della montagna?
Perchè non pensare invece a vere iniziative imprenditoriali che possano dare espressione alle idee dei giovani, e che consenta loro di aprirsi ai mercati internazionali pur restando in montagna?
Ad esempio la produzione agricola potrebbe svilupparsi con attività di trasformazione e vendita delle produzioni locali: formaggio, latte, funghi, marmellate, carne, ecc.
Con mercati veri ed aperti: quelli oltre confine.
Occorre stimolare le aggregazioni.
Credo che una cosa sia però essenziale: le comunicazioni.
Sicuramente strade percorribili e manutentate ma soprattutto LA FERROVIA, che consentirebbe i trasferimenti a minor costo, minor impatto ambientale ed anche quando nevica in tutta sicurezza.
(Corrado)
Abito in un paese molto più in alto di Gottano.
Vivo sopra quota 1.000 metri.
Sono fortunato perché ho il lavoro (anche se devo fare un bel po’ di km ogni giorno)
Anch’io come il sig. Arlotti, ho fatto una passeggiata per il mio paese in compagnia del mio cane.
Era martedì pomeriggio, le 5, si era rasserenato, non una persona, nessun rumore tra le case.
Non voglio essere un provocatore o sminuire i problemi che sono emersi in questo articolo, ma io, a differenza del sig. Arlotti, ho provata una bellissima sensazione di pace.
(commentofirmato)
Al di la di tutto credo che il problema principale sia che tutti ci sappiamo lamentare per le cose che mancano e che ci dovrebbero essere. Pero nessuno fa nulla per cambiare le cose.
Le parole non costruiscono nulla. Se nel nostro piccolo ognuno di noi facesse qualcosa per migliorare il nostro appennino sicuramente la situazione sarebbe migliore.
Tante piccole cose messe insieme possono portare a grandi risultati.
Tutti siamo capaci di dire che le attivita commerciali in montagna chiudono, ma poi siamo tutti a fare shopping nei grandi centri commerciali a reggio o andiamo a sciare in trentino.
Non possiamo pretendere che il destino del nostro territorio migliori senza fare nulla.
(Commento firmato)
Sono d’accordo con l’ultimo commento ci lamentiamo ma nessuno fa niente, non abito nel nostro bellissimo Appennino abito in città ma siamo nativi di Vetto e purtroppo con il passare degli anni abbiamo visto il paese un po’ alla volta morire tutti i negozi chiudere ecc. un vero peccato anche se malgrado tutto le nostre montagne sono uniche e ci offrono un senso di pace.
(Paola Ruffini)
il turismo è senz’altro una grande opportunità per i Borghi del nostro Appennino,
ma sicuramente non arriva da solo, per fare turismo ci vuole iniziativa, ci vuole impresa turistica ci vuole innovazione! ci vuole marketing! bisogna saper valorizzare la storia la cultura le tradizioni la gastronomia e i meravigliosi prodotti del settore agroalimentare del nostro Appennino! Io vedo che ci sono operatori e imprese che ci credono che hanno capito che il futuro delle nostre comunità può essere garantito dal turismo, il turismo può diventare una grande “fabbrica” in Appennino per creare posti di lavoro. ci sono paesi come Succiso, Sologno, Cerreto Alpi che hanno creato Cooperative paese che valorizzando il lavoro fatto dal Parco, oggi propongono un turismo nuovo che non è copiato dal Trentino ma è un nostro prodotto con una nostra identità. il Turismo di Comunità porta a Cerreto Alpi ogni fine settimana decine di persone che arrivano dalle città interno a noi, Milano, Reggio Emilia, Mantova, Cremona, Genova, Firenze, e vengono qua perché l’Appennino è bello e trovano calore ospitalità e emozioni! e sopratutto si sentono consum-attori! perché coinvolti dalle piccole o grandi iniziative che la Comunità organizza anche grazie al loro contributo!
ecco questa può essere una strada da percorrere per il nostro territorio, oggi col progetto Parco Appennino Turismo 35 operatori di 20 borghi diversi hanno creato una Rete che si propone come un unico prodotto turistico, e lo stanno facendo dal basso mettendo assieme le loro professionalità le loro competenze e le loro esperienze e proporranno i loro pacchetti in quel grande mercato che è il web 2.0, e in questo caso il Trentino ci osserva e forse………ci copia!
(Renato Farina)
Sarebbe bello se “qualcuno” a Roma prendesse veramente a cuore certe battaglie per creare, assieme a un po’ di occupazione, anche la cultura del bello. Il turismo sostenibile, la promozione del circuito Area Matildica, la creazione di infrastrutture dedicate, nuove proposte in bassa stagione con pacchetti low-cost, la ristrutturazione con materiali tipici (o la vendita) di immobili anche da parte di investitori esteri, in piccoli borghi isolati, con sgravi fiscali importanti per creare agriturismi, B&B o altro, insomma la cultura del bello di cui accennavo prima, penso siano davvero, in sinergia con internet, l’unico modo per creare “movimento” in appennino. Nuova vita in zone ormai lasciate in balìa di sè stesse. Sarebbe bello e soprattutto porterebbe anche un po’ di occupazione da svolgere a casa, magari con qualche attività di nicchia o lavori del tutto nuovi. A molti di noi, che ora fanno i pendolari tra casa e città o, peggio, in cassa integrazione (io devo ancora ricevere i pagamenti EBER da luglio 2012), si aprirebbero nuove opportunità per lavorare in zona ma le idee da sole, non bastano! Ci vogliono i soldi necessari per partire e per migliorare quello che già esiste. Per i nostri “vetusti” politici, a Roma (destra, sinistra, centro), oltre ad aumentarsi gli “stipendi”, le priorità sono altre! Vedi la “splendida iniziativa” di comperare 90 aerei cacciabombardieri “F35” (se non sbaglio, da 80 milioni di euro l’uno circa, esclusa la manutenzione), finanziare banche (verdi, bianche, rosse), come la bandiera o peggio ancora NON VIETARE gli “SPOT PER LE SLOT” machine e gratta e vinci che, inondando tutti i media nazionali con illusorie promesse, hanno messo sul lastrico intere famiglie. Gioca senza esagerare! Ah, ah, dai Stato, per piacere! E, per contro, non destinare nulla o poco più al turismo sostenibile, alle energie da fonti rinnovabili o altre “cosucce” tipo quella di cui scrive bene Arlotti nel suo articolo. Credono davvero che siamo tutti ignoranti al 100% e che si continui a CREDERE nei loro spot elettorali o negli slogan sui maxi poster 3×6. Io mi vergogno di essere rappresentato da questa gente vuota nell’anima che non vede più in là della propria poltrona imbottita a Montecitorio. Le votazioni (a parte qualche eccezione, difficile da interpretare) ne sono state la conferma. La gente è stanca di questo schifo. Guardatevi i video che girano sul web dei poveri animali nati deformi, vicino o dentro, l’ex BASE MILITARE in Sardegna, pecore nate con un occhio solo in mezzo al cranio o con gli occhi dietro la testa, al posto delle orecchie, mucche con 6 zampe ecc. ecc., roba da far inorridire anche i veterinari più preparati. NON VOGLIO PARLARE DEL LUOGO STUPENDO che, PER SEMPRE, hanno rovinato e dei contadini morti o militari ammalati di patologie che non lasciano scampo. Questi sono danni ideati, pianificati e realizzati con i nostri soldini.
Perchè sta succedendo tutto questo? Semplice: perché continuano a raccontarci soltanto BALLE! Prima di finire come la Grecia io spero che arrivi al più presto quello che “qualcuno” invoca da tempo! A Roma, tutti a casa!
(Sandro Beretti)
Non era un`analisi di merito solo una considerazione, anche perche`, il basso appennino, resta in tutti i modi relegato a zona di passaggio, mentre invece e` dove il potenziale e` piu` elevato.
(Matteo Manfredini)
Forse ci siamo; non è più solo il Comitato pro diga di Vetto a sostenere la tragica situazione di spopolamento, di abbandono e di dissesto dei paesi del nostro Appennino reggiano e che i bellissimi borghi storici di paesi come Vetto, Gottano e tanti altri non sono più vissuti da nessuno; in particolare dai ragazzi che giocano e schiamazzano per le strade. Secoli di storia, di lavoro e di sacrifici dei nostri padri stanno morendo a causa di chi ha sempre detto di “no” a tutto, anche ad un’opera come la diga di Vetto che ha il solo scopo di trattenere parte delle acque dell’Enza nei periodi di abbondanza per restituirle quando servono, salvando con ciò l’agricoltura reggiana, producendo energia elettrica pulita, risollevando le falde, riducendo l’inquinamento, proteggendo la valle da qualsiasi alluvione, garantendo l’acqua anche nei mesi estivi e tanto altro. Ma oltre a questo avrebbe salverebbe i paesi montani, creando migliaia di posti di lavoro, contribuendo al ripopolamento dei paesi di questa Valle; portando lavoro, turismo, sviluppo commerciale e immobiliare, ecc. Come suggerisce qualcuno nei commenti precedenti, basterebbe copiare quanto realizzato da altre regioni, vedi il Trentino-Alto Adige, che ha fatto delle acque montane una delle sue principali risorse; basti pensare che nella sola piccola Val d’Ultimo hanno realizzato 4 dighe; ognuna di loro produce energia pulita e porta turismo e sviluppo; e nel periodo estivo danno acqua ai meleti della Val Venosta. Ma nessuno da noi copierà questo modello, sarebbe come ammettere che qualcuno qui ha sbagliato e piuttosto che ammetterlo si continuerà a dire di “NO”, si continuerà a dire, con parole ricche di contenuti “tecnici e scientifici”, che ciò che sostiene il Comitato non è vero, che i danni sono superiori ai benefici, che il Trentino è una Regione autonoma e quanto fatto da loro non è esportabile da noi, ecc. ecc. e si continuerà a sprecare la più grande risorsa della valle dell’Enza, l’acqua e si continuerà a fare morire i paesi montani; ma temiamo che questo sia quello che qualcuno spera.
(Lino Franzini, presidente del Comitato pro diga di Vetto e fondovalle Val d’Enza)
In relazione all’ipotesi “diga” non penso che sia l’unica strada percorribile e francamente nemmeno la migliore. Per valorizzare una zona depressa stravolgerla è una soluzione orrenda. Non credo che tutte le zone montane non depresse debbano la loro fortuna ad una diga ma la devono ad una simbiosi di cose estremamente complesse non riconducibili solo a quella. Se abbiamo una diga in automatico non abbiamo benessere a meno che non si pensi di puntare tutto su 10 anni di cantieri aperti. Di investimenti se ne potrebbero fare più mirati e meno invasivi, proviamo anche a prendere spunto da dove non hanno stravolto nulla ma sono riusciti ugualmente nell’intento.
(F.S.)
L’argomento è abbastanza “tosto” e complesso e va dunque messo in conto che possa ispirare opinioni diverse, anche distanti tra loro, ma per meglio inquadrarlo varrebbe forse la pena di dare uno sguardo su quanto accade intorno a noi. Nel corso degli anni mi è capitato più volte di sostare in paesi e borghi del Norditalia che un tempo, nei miei ricordi di ragazzo, venivano indicati come importanti e popolosi centri agricoli, ciascuno con la propria specificità produttiva, e li ho visti mano a mano impoverirsi sia di abitanti che di attività tradizionali (così almeno è l’impressione che ne ho ricavato percorrendone le strade). Con ogni probabilità, anche in quei luoghi – dove l’agricoltura sembrava fiorente e redditizia – ha prevalso l’attrattiva e il richiamo dei poli industrializzati, col conseguente trasferimento delle famiglie. Salvo i casi di quanti, per non lasciare i posti di origine, hanno preferito ricorrere al pendolarismo giornaliero verso il loro nuovo lavoro, con non poco sacrificio e distanze permettendo (come succede talora anche qui da noi). In buona sostanza, l’esodo dalle campagne può considerarsi un fenomeno generalizzato del nostro Bel Paese, senza differenze geografiche, così come il parallelo spopolamento di innumerevoli zone dai trascorsi rurali, cui ha fatto eco il declino dei mestieri legati all’agricoltura, unitamente al ridursi del suo ampio e consistente indotto. La crisi dei giorni nostri fa dire a molti che andrebbero riscoperte e valorizzate le vocazioni territoriali – che erano la forza e la potenzialità del “sistema Italia”, rispetto alle tante ed innaturali omologazioni avvenute in un passato più recente – e si vorrebbero altresì rilanciare quei mestieri che, in svariati settori produttivi, si qualificavano per maestria e bravura, generando economia e reddito per sé e per altri. Ma una siffatta inversione di marcia non appare semplice, anche perché nel frattempo i nostri ambiti territoriali si sono profondamente modificati e trasformati. In tutti i casi, ogni volonteroso e meritevole tentativo in tal senso rischia a mio avviso di andar deluso se resta irrisolto un problema che reputo essenziale o quasi. Forse mi sbaglio, anche di grosso, ma rimango dell’idea che i giovani possono riavvicinarsi con entusiasmo e soddisfazione ad occupazioni andate in disuso, se le stesse ottengono il giusto riconoscimento sociale, e tocca pertanto alla società nel suo insieme di dar pari dignità ad ogni lavoro, far cioè intendere con autentica convinzione, specie alle nuove generazioni ma non solo, che ciascun mestiere svolto con competenza e dedizione torna utile al vivere delle nostre comunità. Il che non significa affatto che tutti i mestieri debbano intendersi uguali ed equivalenti, vuoi perché cadremmo nella pura demagogia, vuoi perché guadagno e retribuzione di ciascuno vanno poi rapportati al grado di responsabilità, professionalità, preparazione, esperienza, impegno, ecc…, vale a dire una pluralità di fattori e di condizioni che fanno appunto la differenza.
(P.B.)
Alcuni anni fa avrei scritto le stesse cose che riporta il Sig. F.S.; oggi leggere che una diga stravolge una zona posso dire che è il contrario della realtà.
Due anni fa sono stato in vacaza ad Auronzo e mi sono reso conto che una diga non stravolge nulla ma valorizza e arricchisce l’intero territorio. In quei giorni si disputavano gare di ogni genere sul lago, un lago lungo circa 6 Km; mi sorpresero le migliaia di persone presenti lungo le rive del lago e che queste gare si sarebbero disputate per tutto il periodo estivo.
Dopo la formazione del lago per merito della diga, il paese di Auronzo è triplicato; lungo il lago è crescito un nuovo paese molto più bello del vecchio, con piste pedonali, tanto verde, palazzetto dello sport sul lago, attività commerciali di ogni genere; un paese da vivere e da ammirare..
Ma senza andare ad Auronzo basterebbe recarsi al Lagastrello; cosa ha stravolto questa diga? Nulla, ha solo creato un piccolo lago che è la sola meta dei pochi turisti che vanno in questa località.
Ma la diga di Vetto credo che non vada realizzata per il turismo o per il lavoro che porterebbe; ma perchè le acque vanno usate e non sprecate. Ma credo di essere uno dei pochi che ha compreso questo.
(Davide)
In montagna, dal dopoguerra ad oggi, si sono attenuati e risolti molti problemi. Si sono create reti viarie, elettriche e acquedottistiche, scuole e altro. Però non si è risolto il problema del lavoro e della tenuta di un tessuto umano e civile nei borghi rurali. Forse era un problema irrisolvibile da parte della politica. Forse “era la storia” e basta. Però ora, per mantenere una presenza umana nei borghi del crinale, ci vuole altro. Perché ci sono già tante scuole senza bambini, tanti marciapiedi senza pedoni, tante piazze senza gente e senza negozi. “Più punti luce che gente”. E’ un paradosso, ma è vero. Certe opere ormai sono pubbliche solo nel senso che è il pubblico che le paga. Non sempre c’è un pubblico che le utilizza. Rischiamo di avere un mondo di servizi senza economia, anziché un’economia dei servizi. Bisogna cambiare. Per cinquant’anni le politiche per l’Appennino si sono concretizzate in risorse aggiuntive, date essenzialmente all’agricoltura, alla cura del bosco e alla difesa del suolo. L’agricoltura con produzioni di qualità ha resistito. Il resto molto meno. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà: nessuna commessa pubblica può sostituire l’abbandono della montagna per la fuga dalle attività che non danno reddito, anche a causa della frantumazione delle proprietà. Non si possono inchiodare i versanti alle montagne con flussi di denaro statale. Le attività di cura continua possibili sono quelle che possono avere un proprio ritorno economico. Bisogna pensare di riuscire a sostenere il territorio con quello che esso produce e che fa davvero economia. Bisogna creare nuove convenienze, aprire nuovi circuiti di valore, usare meglio le risorse pubbliche che restano. Ogni euro che si spende non può accontentarsi di avere alimentato il reddito di chi lo riceve; non può finire lì; deve continuare a produrre, nel tempo, almeno qualche centesimo in più. Le opere pubbliche non devono essere apprezzate solo per il valore del loro importo. Non devono essere consumi pubblici, ma investimenti pubblici. Di fatto e non solo di nome. Devono essere pensate per muovere futuro, per avere effetti moltiplicatori, per essere usabili e usate subito, per attività quotidiane individuate, oltre che “fare bilancio” per l’impresa che le realizza. Competitività vuol dire pensare all’Appennino come un territorio capace di sviluppare prodotti propri, materiali e immateriali, di avere mercati dove venderli, e circuiti per promuoverli. Il Parmigiano Reggiano venduto direttamente… il prosciutto di qualità come identità di Corniglio, i nuovi vini di Lunigiana caricati del valore di paesaggio, il turismo di comunità tra le case in pietra di un borgo prima abbandonato, sono occasioni di competitività. Ci possono essere cento esempi. C’è anche un problema culturale: di visione, di valori, di approccio alla vita sociale. Competitività vuol dire mettere al centro dell’impegno sociale ciò che fa economia, apprezzare sì il volontariato, ma apprezzare ancor di più la fatica della professionalità a qualunque livello, dal più alto al più basso… Vuol dire dare valore a chi ogni giorno “fa fattura”, e così contribuisce con le tasse al bene comune. Vuol dire spostare gli investimenti di denaro pubblico dalle cose alle persone, dalle opere alle attività. Vuol dire spostare tempo, soldi e idee sulle eccellenze, che in Appennino non mancano, anche se spesso non vengono riconosciute o addirittura combattute per invidia… Investire su prodotti unici e tipici, sui luoghi e sui paesaggi migliori, sulle imprese più dinamiche e gli operatori più capaci. La competizione richiede una continua ricerca di miglioramento. Significa alleanze che non si hanno. Cooperazione tra persone e tra imprese, aggregando il meglio delle qualità di ciascuno. E alleanze territoriali e istituzionali, oltre che tra privati. Alleanze all’interno dei borghi, con le cooperative paese, alleanze con forze e soggetti capaci di leadership: le Cinque Terre se guardiamo al turismo, Reggio Children se puntiamo sull’educazione ambientale. E anche nel lascito della storia c’è una forza, se non ci limitiamo a guardarla con nostalgia o a trasformarla in semplice folklore. Migliaia di famiglie che hanno lasciato l’Appennino nei decenni trascorsi e non l’hanno dimenticato, possono essere una risorsa straordinaria. Competitività territoriale è il contrario del chiudersi in casa. Non vuol dire combattere contro altri territori e contro il sindaco del paese accanto. Al contrario vuol dire avvalersi di esperienze e risorse umane e opportunità che vengono anche da fuori. Si comprano giocatori per il torneo della montagna… bisogna comprare anche competenza per fare economia (da “Si fa presto a dire Parco”).
(Fausto Giovanelli, Parco nazionale Appennino tosco-emiliano)
I frutti della politica attuata fino ad oggi sono visibili a tutti e per questo motivo non si capisce perchè ci siano ancora degli amministratori, che hanno avuto tempo e possibilità di effettuare scelte per il territorio, che millantano di aver avvallato le opzioni migliori per la montagna. Se davvero queste azioni fossero state giuste non saremmo in questa sede a parlare di: spopolamento, disoccupazione, dissesto idro-geologico, ecc. Probabilmente la politica di promozione basata su marmellate e compagnia bella, del premiare chi è andato via (e non chi resta), come anche la scelta di focalizzare l’attenzione esclusivamente sul turismo eco-sostenibile, non ha dato il risultato sperato. Forse anche l’ostinata posizione del mantenimento del PARCO come unico metodo propulsivo attuabile andrebbe ritrattato! Alla luce dei fatti sarebbe il caso (e lo suggeriamo agli amministratori odierni) di rivisitare le proprie posizioni, prendendo coscienza del fatto che solo un radicale cambiamento di mentalità può fare stravolgere le sorti del territorio e fungere da volano per l’economia locale. Solo i politici, pare, non l’abbiano capito. Ci chiediamo secondo quale logica si stia perpetuando nell’errore. Esistono forse dati oggettivi o risultati, a noi comuni mortali, ignoti, che possano giustificare la volontà di proseguire in questa direzione? Attendiamo risposte.
(Liliana Dazzi)
Signora Dazzi, concordo pienamente con la sua perfetta valutazione del passato e del presente, mi consola il fatto di non essere il solo a pensare le stesse cose da lei evidenziate, anche se penso che molti altri siano sulle stesse posizioni ma non si fanno sentire. Spesso ho chiesto a vari responsabili ed amministratori quanti soldi pubblici sono stati utilizzati dall’Ente Parco Regionale prima e dall’Ente Parco Nazionale oggi, ma nessuna risposta. Sarebbe interessante confrontare le spese totali ed i risultati ottenuti, un semplice bilancio economico e sociale, lavoro ed ambiente, prima e dopo. Una proposta per gli operatori e le aziende della montagna: trasferiamoci tutti, saremo premiati!
Complimenti ancora e cordialità.
(Fabio Leoncelli)
Come al solito in Italia ogni volta che vengono denunciati problemi o inefficienze la colpa non è mai di qualcuno, specialmente di coloro che avrebbero dovuto almeno tentare di risolvere qualche problema. Sappiamo bene che i problemi della montagna non sono di facile soluzione, ma ciò non giustifica la totale mancanza di volontà di provare almeno a risolverne qualcuno. Sappiamo benissimo che un territorio per essere reso fruibile da un turismo di massa ha bisogno innanzi tutto di una viabilità, facilmente percorribile, prima di tutto, ha bisogno di strutture alberghiere adeguate, non è più come negli anni cinquanta, sessanta, quando i nostri paesini anche se piccoli si riempivano di gente che veniva dalle città per trascorrere un periodo di vacanza, accontentandosi di alloggiare dovunque si trovavano due stanze da affittare, non è che spendessero delle barche di soldi, ma comunque riuscivano a tenere viva la nostra economia riempiendo i negozi, i bar e le trattorie, permettendo così alle famiglie che gestivano queste entità, essendo tutti a conduzione famigliare di sopravvivere nella nostra montagna, abbinando tutto ciò alla lavorazione dei campetti che ogni famiglia possedeva, curando strade, tenendo pulito il letto dei torrenti, curando la regimentazione delle acque, facendole scorrere liberamente verso valle, evitando così tutti i disastri idrogeologici che purtroppo oggi si verificano così frequentemente. Purtroppo in seguito i nostri amministratori hanno cominciato ad applicare tasse su tasse, poi ci si è messa la burocrazia con i suoi lacci e lacciuoli, costringendo la maggiore parte di questa gente che con tanta tenacia aveva resistito nella speranza che le cose sarebbero cambiate in meglio ad abbandonare tutto e andarsi a rifugiare nelle varie città in cerca di un lavoro, che allora non era difficile trovare, spinti anche dalle promesse di un Eldorado a disposizione di tutti. Ora che ormai siamo alla frutta, come si usa dire, viene in mente ai nostri politici e amministratori di guardarsi in dietro e facendo un atto di umiltà, dire abbiamo sbagliato, cerchiamo ora di unirci intorno ad un tavolo tutti insieme, sì perchè le colpe non sono tutte di una sola parte politica, ma di tutti coloro che con miopia hanno gestito il potere fino ad ora, cercando di affrontare i gravi problemi che affliggono la nostra bella montagna, ridandole un poco di dignità, sperando che non sia troppo tardi per porvi rimedio.
(Beppe Bonicelli)
Bello discettare, ma proviamo a risolvere i problemi e ci troviamo di fronte a difficoltà insuperabili. A Gottano era stato fatto, da privati, giovani laureati con la voglia di restare o ritornare, un progetto di albergo diffuso, sostenuto dal sindaco di Vetto, e con accesso al finanziamento del fondo europeo. Il progetto era molto articolato e prevedeva creazione di svariati posti di lavoro specialmente per i giovani e possibilità per le case chiuse in inverno di diventare parte della struttura ed essere utilizzate tutto l’anno, con un certo guadagno per i proprietari che in parte avevano già aderito. A fronte di investimenti ingentissimi di privati già utilizzati (ristrutturazine di immobili già presenti, acquisto di altre case, in parte crollate, costituzione di una società di gestione chiamata “Albergo diffuso Matilde di Canossa”, progetto architettonico già approvato in Regione) le banche, a causa della congiuntura attuale che ha visto la chiusura di diverse strutture alberghiere, non hanno voluto rilasciare alcun tipo di finanziamento costringendo gli organizzatori a dover abbandonare l’idea e rinunciare ai finanziamenti del fondo europeo già stanziati. Naturalmente al progetto erano collegate attività diverse che consentivano ai residenti di valorizzare le attività già presenti, quali equitazione, escursioni, valorizzazione dell’artigianato locale, fattorie didattiche e creazione di un Centro benessere. Era previsto inoltre un servizio navetta collegato con le terme e le stazioni di sci presenti in zona. Da Gottano, infatti, si accede facilmente agli impianti di Ventasso e Cerreto ed alle terme di Cervarezza. Il turismo si sarebbe sviluppato per tutto l’anno, essendo la zona ricca di attrattive sia in inverno che in estate. Non è vero infatti che le abitazioni si animano solo d’inverno, ma anche al sabato ed alla domenica tutto l’anno. L’idea non è stata del tutto abbandonata, si aspettano tempi migliori e qualcuno che ci creda davvero. Per adesso le banche impiegano altrimenti i loro soldi. Finanziare l’imprenditoria, specialmente quella giovanile, non è più redditizio per loro, meglio la finanza creativa. Se siete interessati a saperne di più sarò ben lieta di rispondere alle vostre domande.
(m.r.b)