Riceviamo e pubblichiamo il seguente intervento, che si ricollega a quello di Claudio Bucci.
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Caro direttore,
l’intervento di Claudio Bucci sulle politiche di sviluppo del territorio che Redacon ha utilmente pubblicato in questi giorni merita un approfondimento. In realtà, mi permetto di sottolineare, sono due le posizioni che dobbiamo registrare. La prima di Claudio Bucci di cui dirò fra breve. La seconda del titolista della redazione che con il suo “Per l’Appennino queste sono novità oppure abbagli?” introduce una domanda e termini che, pur virgolettati, non abbiamo trovato nella nota, forse ridotta o incompleta.
Claudio Bucci ha ragione. Il problema infrastrutturale resta per l’Appennino una delle questioni fondamentali capaci di generare lavoro e opportunità e vero è che, nella lunga storia italiana dei più facili investimenti in opere pubbliche, il nostro territorio non è stato premiato da interventi convincenti e moderni. Non così su tutte le infrastrutture, potendosi riferire positivamente, ad esempio, alla rete idrica e alla metanizzazione. Ma se guardiamo alla viabilità, alla manutenzione e accessibilità forestale, piuttosto che, possiamo aggiungere fra le altre, alla connettività veloce e alla produzione di energie rinnovabili, il ritardo è chiaro, l’incompletezza delle opere evidente e la mancanza di interventi produttivi di reddito e lavoro pure. E oggi tutto è più difficile ed ogni intervento che pure le amministrazioni sudano dai bilanci nasce insufficiente e critico. Stiamo attenti però. Anche scegliere cosa fare in questo campo, potessimo contare sulle risorse, non è immediato e semplice. Viabilità non vuol dire necessariamente autostrade e viadotti e manutenzione sole commesse di taglio e pulizia. Abbiamo visto vicino a noi montagne morire di questo invece che risorgere, ma la questione è aperta e alla domanda infrastrutturale una risposta andrebbe data, soprattutto – mi permetto di segnalare - perché i boschi e i torrenti oltre che non diventare pericolo siano capaci di creare più diffuso reddito nella valorizzazione paesaggistica e del legno e perché le strade, più che portare pendolari a lavorare fuori, servano ad attrarre clienti e insediare attività. Le strade per l’uno o l’altro obiettivo non sono uguali.
Vorremmo però chiederci: perché per affermare un’idea e una rivendicazione giusta, dobbiamo criticarne e mortificarne un’altra ugualmente giusta, come quella del turismo di comunità, delle cooperative paese, delle attrattività di avventura, storiche e culturali che il nostro Appennino sta producendo con successo? Comprendo che la nota di Bucci, tenace e coerente su questi punti da tempo, vuole essere prudente e misurata, ma questo rischio è tanto presente da aver consigliato alla redazione un titolo quasi punitivo verso queste esperienze. Abbagli?
Le attività imprenditoriali citate, il Parco Avventura Cerwood e le Cooperative paese, sono eccellenze del nostro territorio di ribalta nazionale e studiate come casi di successo. Attività nate dal sogno e dalle fatiche personali di volontari, lavoratori e imprenditori che, malgrado la viabilità e non grazie ad essa, malgrado l’iniziale diffidenza territoriale e non grazie agli applausi, stanno portando sul nostro Appennino turisti e interessi. Abbagli? No. Luci!
Luci capaci di illuminare tutto l’Appennino? Capaci di risolvere tutto il problema dello sviluppo locale? Certamente no. Nessuno l’ha mai detto e nemmeno pensato. Gli imprenditori, quelli citati ed altri, che a sacrificio personale e contro tanto scetticismo, creano singole strutture di grande interesse, investendo qui invece che su fondi azionari asiatici, sono gli stessi che manifestano per le carenze infrastrutturali e i primi a pagarne le conseguenze. Non v’è e non vi può essere contrapposizione. Crearla per animare un dibattito politico sul tema delle infrastrutture, seppur in buona fede, è sbagliato. Lo stesso vale per gli agricoltori locali, gli artigiani e le PMI che rimangono sul nostro territorio e le altre attività legate alle sue risorse.
La fiducia, l’entusiasmo per l’Appennino, le iniziative che ne rivalorizzano le qualità, la rete delle imprese che creano siti di interesse turistico di qualità, la passione per la nostra Terra, sono infrastrutture ugualmente indispensabili e troppo indebolite, in questi anni, anche dall’attesa – purtroppo sterile - di un lavoro pubblico o di “risolutive” opere materiali.
(Giovanni Teneggi)
Ho letto con piacere questo intervento; trovo che sia un’ analisi lucida e seria.
Speriamo che “qualcosa” porti ad un consolidamento della realtà sociale ed economica in montagna.
Ci sobbarchiamo un carico lavorativo (inteso nel più ampio senso possibile), che gli abitanti della bassa assolutamente non hanno, servizi che noi ci immaginiamo e basta; forse ci meriteremmo di potere avere qualche chanches in più ed avere così riserve energetiche da infondere su più fronti.
(AndreaGanapini)
L’amico Giovanni mi ha preceduto di poco; credo anch’io che non ci sia soluzione di continuità tra tutto quanto si sta facendo per non chiudere i nostri paesi e l’evidente problema infrastrutturale anzi direi che sono due “categorie” che si legittimano a vicenda; se si chiudono i paesi a che servono le infrastrutture o si devono costruire le strade per non chiudere i paesi? la “Politica” dovrebbe avvertire l’esigenza, a prescindere dal numero degli elettori che vivono in un territorio, di averne cura nell’interesse generale; il territorio montano ha equilibri delicati che la presenza umana rende stabili e utili; lo spopolamento ha distrutto e continua a distruggere, per dirla in termini economici, richezza e opportunità che sono di tutti; il “focus” dell’azione amministrativa deve essere in questo senso orientato intelligentemente a tutto ciò che di infrastrutturale manca senza trascurare l’importante apporto quasi sempre volontaristico delle cooperative paese; basta con le contrapposizioni, le distinzioni, i distinguo e quant’altro!!
(Lino Giorgini)
Leggendo i diversi contributi sull’argomento mi sono trovato a constatare come molto spesso il nostro Appennino sia più oggetto di inutili e fuorvianti polemiche piuttosto che di serie riflessioni su come valorizzarne le eccellenze. Mi sembra del tutto inutile sottolineare come la possibilità di disporre di reti infrastrutturali più adeguate renderebbe molto più agevole l’attività di chi faticosamente (e quotidianamente) cerca di creare nuove opportunità di lavoro sul territorio montano. Le cooperative di comunità nascono con l’obiettivo di rispondere ad un bisogno sempre più avvertito, non solo nelle località di montagna, ovvero tentare di garantire quei servizi che altrimenti tenderebbero a scomparire. Nel fare questo tentano di mantenere i giovani attaccati alle proprie radici, di garantire loro un’occupazione duratura, di mantenere in vita zone di territorio altrimenti destinate al progressivo spopolamento. Per raggiungere questo obiettivo serve uno sforzo condiviso, serve collaborazione, serve una visione di medio-lungo termine che ponga al centro di questi progetti tre elementi imprescindibili: le persone, il territorio, il lavoro. E aggiungo un elemento, ovvero serve cooperazione, intesa come autonoma disponibilità dei diversi attori locali a confrontarsi, a sostenersi reciprocamente, indirizzando ogni singola risorsa e ogni singolo sforzo verso il conseguimento di un bene comune, la valorizzazione del nostro Appennino. Non servono contrasti, non servono lacerazioni, non servono rivendicazioni o personalismi. Serve un agire comune, un’ottica sistemica, così da creare una rete di relazioni e di modelli virtuosi che spingano il nostro territorio a divenire una risorsa per la nostra Provincia. Iniziare a remare tutti nella stessa direzione, avendo ben in mente l’obiettivo finale (la valorizzazione del nostro Appennino), rappresenta la vera sfida che oggi dobbiamo affrontare. Se così faremo, se riusciremo a valorizzare le differenze, rendendole specificità distintive e non inutili campanilismi, forse saremo percepiti anche dall’esterno come un territorio coeso, genuino e fortemente attrattivo.
(Matteo Pellegrini)