Pieno il Foyer ieri pomeriggio per la presentazione del libro "Sulle spalle delle donne" dell'autrice felinese Normanna Albertini. La raccolta di racconti, di cui alcuni già pubblicati su Redacon, ha incontrato l'interesse di un pubblico attento e commosso dalla rievocazione di un passato recente narrato con minuzia di particolari. Presenti l'assessore Francesca Correggi che ha ricordato le storie narratele dalla bisnonna Elena, Savino Rabotti, esperto di storia locale e dialetto, che ha sottolineato l'importanza di tener vivo quel che è stato. Ameya Gabriella Canovi ha dato una lettura in chiave psicosociale rimarcando il mondo rurale che si fidava dei bambini, dando loro, attraverso piccoli lavori, una dignità che li "faceva crescere" sicuri.
Ne emerge un ritratto di una società tirata avanti dalle donne, che non si siedono mai, ma sono in piedi a lavorare. La fatica, come gli oggetti, i cibi, il paesaggio sono personaggi di questo racconto lunghissimo che è la storia del nostro Appennino, una memoria degli affetti e della vita quotidiana. Un libro da leggere ai bambini, nelle scuole. E agli anziani, cui brillano gli occhi, riconoscendosi in un pezzo di vita.
L'autrice ha letto con naturalezza e vivacità alcuni passaggi dei racconti, portando chi c'era dritto in quell'atmosfera "da ch'indrè".
A concludere il pomeriggio la degustazione di Scarpasùn, torte e tortellini preparati dalla scrittrice stessa. L'allestimento di Simona Sentieri ha narrato, attraverso le cose del tempo, una vita appena passata ma ancora "in giro".
Dalla prefazione del libro scritta da Ameya Canovi:
"Quando questo scritto è nato, c’era la neve.
«Perché non scrivi qualcosa sulla vita di tanto tempo fa?».
A volte le magie avvengono così, nascono dalla semplicità, da due chiacchiere e un invito. A chi ha tante storie conservate dentro basta una richiesta e ne scaturisce un dono.
Questi racconti si susseguono come le stagioni, cadenzati dal ritmo della quotidianità di una vita nemmeno tanto lontana: l’io narrante è l’autrice che torna agli anni dell’infanzia con gli occhi da grande e li rivive, riassaporandone i colori, le sfumature, i luoghi, le voci.
È una narrazione corale da cui sgorga una cultura contadina appenninica con gerarchie precise: la nonna Eva, il nonno Carlo, i vicini di casa, i mezzadri, i raccolti, i prati, i boschi.
Una moltitudine di personaggi concreti si stagliano ben definiti nell’affresco contadino. Uno spaccato micro sociale co-costruito, direbbe Jerome Bruner, dove i più grandi tengono come una impalcatura quelli che crescono e di loro si fidano.
Questo raccontare è un viaggio nel tempo, un percorso a ritroso che fa emergere un codice degli affetti, delle cose e della gente. Le trame diventano quadri della memoria dove con minuzia l’autrice racconta partendo dal piccolo per arrivare al tutto: un mondo portato spesso sulle spalle di donne che coltivano la vita.
Mani femminili ruvide di lavoro affondano nell’acqua gelata, impastano, nutrono, allevano e accarezzano.
I bambini, guardati dalla scrittrice bambina, sono come lei apprendisti che imparano, partecipano, condividono valori e lavoro.
Attraverso le pratiche quotidiane, l’autrice fa una mappatura del mondo interno ed esterno dei protagonisti che animano le storie, indagandone emozioni, credenze, vissuti.
In questo viaggio nelle stanze dei ricordi si affacciano tanti volti, tra cui gli elementi della natura che si animano di una vitalità propria: la neve, il vino, i funghi, le castagne, la polenta, la scodella del latte col pane fatto in casa, la credenza con la marmellata, il natale, i tortellini di castagna.
Il dialetto.
Perché certi accorgimenti e diciture sono propri di quella cultura emiliana e come tali godono di una anima propria, di una identità specifica e non si possono tradurre, pena lo snaturarli.
Il lettore si troverà immerso e catturato in un microcosmo intessuto a mosaico, dove ogni attore ha un suo ruolo e la campagna come palcoscenico. Chi legge diverrà partecipe delle vicende raccontate, accompagnato dalla regia dell’autrice bambina, camminando con lei in questa ricostruzione.
La costruzione narrativa di questo scritto ha varie valenze: intanto di essere testimonianza storica. Essa diventa patrimonio collettivo dove chi c’era si riconosce e chi è venuto dopo ha sentito raccontare. Come una ricercatrice culturale etnografica, l’autrice bambina conduce il lettore in un museo degli affetti e delle storie che rivive in ogni particolare tratteggiato. La trama diventa archeologia psico-sociale del ricordo, impianto emotivo del vivere comune, di gente umile e altrettanto densa di dignità. Fino al racconto finale dove si apre uno squarcio più ampio e dalla terra si passa alla guerra. Inoltre, il testo diventa occasione per significare e risignificare un “allora” con gli occhi di adesso, pieni di ammirazione e gratitudine.
Ogni parola di questo libro è frutto del ricordo. L’autrice con naturalezza e sinestesia traccia un ritratto autentico tale da far rivivere a chi legge un momento vero, epifanico. A volte prevalgono i colori, altre i sapori, suoni e rumori della campagna abitata e lavorata. In altri racconti prevalgono odori, ruvidità e una fatica “sulle spalle delle donne”. In sottofondo, calore, dolcezza, radici.
Ne risulta una sinfonia di volti che tengono vivo un sapere trasmesso con tanti fatti e poche parole. Che arrivano dritte al cuore."