In Appennino, quasi settanta anni fa, si incrociarono i destini del mondo. E buona parte delle sorti del secondo conflitto mondiale. Ma nei luoghi che contribuirono a segnare le sorti del mondo, proprio nelle nostre montagne, non resta traccia. Una "denuncia" che accogliamo alla presentazione del libro "Si accende il buio" - oggi per altro ripresa da Repubblica - per voce di Massimo Storchi, storico della Resistenza, responsabile scientifico del Polo Archivistico Comune Reggio Emilia.
Massimo Storchi, stiamo parlando di vicende delle quali restano sempre meno protagonisti...
"Sì. Ma con la progressiva scomparsa dei testimoni i luoghi assumono un ruolo centrale nella trasmissione della memoria, assumendo a pieno titolo il ruolo di una fonte storica insostituibile. Però come ogni fonte deve essere possibile esaminarli, interrogarli, valutarli, inserirli nel contesto che li ha prodotti. Il rischio è una fonte 'muta', incapace di trasmettere alcunché".
L'Appennino, il tal senso, ha luoghi di forte memoria?
"Le rispondo dicendole che la nostra montagna si pone come un 'patrimonio culturale' di assoluto rilievo per la nostra storia contemporanea e che rimane invece una risorsa inespressa. Un gigante sonnolento e incapace di mettere in campo tutte le sue potenzialità".
In questi luoghi durante il secondo conflitto mondiale cosa è successo?
"Negli anni della guerra e ancor più della Resistenza la montagna reggiana (nel contesto della Linea Gotica) è stata, per la prima volta nella sua millenaria storia, al centro della storia mondiale. Quello che accadeva sui nostri monti era oggetto di interesse nella cancellerie europee da Londra a Mosca e oltreoceano. Sui nostri sentieri hanno marciato, hanno combattuto e si sono incontrati uomini di oltre quindici nazionalità, lasciando un segno, nel bene (come il caso del piccolo Francesco Zambonini, fatto nascere a Case Balocchi da un soldato tedesco), come nell’orrore (la strage di Cervarolo) indelebile".
"Le nostre montagne - prosegue Storchi - sono state un crocevia di libertà: ufficiali inglesi hanno combattuto con i nostri ragazzi, con i soldati russi, con i tedeschi disertori, con olandesi, australiani per sconfiggere il progetto nazista e fascista di schiavitù. Hanno vissuto nei nostri borghi, accolti dalle popolazioni, alloggiati nelle canoniche, quotidiani luoghi di carità. Parroci hanno dato la vita come don Pasquino o don Battista, altri hanno rischiato la propria per salvare ebrei, come don Enzo Bonibaldoni (oggi riconosciuto Giusto di Israele a Gerusalemme). Questa una storia, fatta di gesti straordinari ma anche di sacrifici piccoli e grandi dimenticati e cancellati dal tempo, sacrifici della nostra gente, dura e tenace".
Di questa storia e della memoria che ha sedimentato cosa rimane?
"Mi chiedo se i nostri luoghi, dove è passata la storia mondiale sanno parlare a chi vuole ascoltare? Chi sa che la canonica di Febbio fu sede del comando partigiano e a pochi metri fu ucciso Luciano Fornaciari, 19 anni, medaglia d’argento? La canonica di don Pasquino resiste un terremoto dopo l’altro, ma ce ne ricordiamo solo il 25 aprile. Lama Golese era sede del 'distretto' partigiano, ma per trovare il monumento bisogna frugare nel bosco. Non esiste fra Bettola (con il suo monumento “muto” e il Cusna un luogo dove il turista possa leggere, trovare, capire qualcosa. Stiamo lavorando per costruire un futuro consapevole o lasceremo (per inerzia e superficialità) che il tempo cancelli definitivamente ogni cosa?"
Il rischio quale è?
"Che tra poco i vecchi non potranno più raccontare la loro vita. A noi, cittadini e storici, il compito di non disperdere questo patrimonio: 'quello che avete udito raccontatelo ai vostri figli'. Un impegno non piccolo ma necessario da svolgere senza retorica ma con la consapevolezza della sua importanza. Non esiste il “dovere della memoria”, si può anche scegliere l’oblio, ma assumendosene poi le conseguenze".
Oltre alla memoria le prospettive di una simile operazione capace di far parlare i luoghi quali potrebbero essere?
"In questi giorni - risponde Storchi - si sono aperte le iscrizioni ai Sentieri Partigiani del settembre 2013, in poche settimane, come nell’edizione 2012, registreremo ancora 'sold out'. Tutto esaurito, con relativa lista di attesa. Un centinaio di giovani europei verranno sui nostri monti, percorreranno i sentieri, vedranno i luoghi. E riporteranno in Europa la nostra montagna. Si chiama turismo culturale. Cultura ed educazione civile certo ma anche legittima (e benvenuta) ricaduta economica". (G. A.)
Faccio i miei complimenti a Massimo Storchi per il costante lavoro che svolge sulla storia del nostro appennino (e per sopportare le sporadiche scorribande “motoseghistiche” del suo quasi vicino di casa). L’idea di correlare storia, luoghi della Resistenza e turismo, oltre a mantenerne la memoria può davvero avere una ricaduta importante sull’economia del territorio. E non è poco.
Cordialità.
(Sincero Bresciani)
…ma non solo ad esempio la canonica di Poiano, dove parroco era don Domenico Orlandini “don Carlo” comandante partigiano, la sua casa in alto al paese “Predare” con il mitico “fico”, dove venivano decise con gli inglesi e gli altri comandanti le strategie della guerriglia partigiana. Poco più avanti le case della borgata l’ampia grotta scavata nel gesso per nascondere armi e persone fra le quali, diversi militari alleati di transito per passare il fronte verso la salvezza, in Toscana. La casa sempre a Predale di Poiano di Orlandini Guerrino, “Drago”, 22 anni rimasto ucciso nella Battaglia della Bettola, dove tantissimi partigiani hanno trovato ospitalità presso la mamma Giovanna, (l’aiutava a lenire il dolore, l’esser d’aiuto ai tanti ragazzi partigiani).
(Italo Pietra)
Proprio in questi mesi, per comune volontà del Parco, di Confcooperative e della Camera di commercio, col coinvolgimento delle “cooperative paese” che operano in montagna, sta prendendo corpo e forma un progetto di “turismo di comunità” e sono certo che questo richiamo di Storchi a non dimenticare possibilmente raccogliendo e codificando, finchè possibile, le testimonianze di chi c’era, debbano divenire parte integrante dell’offerta turistica che si vuole allestire; ha ragione, ha proprio ragione a sottolineare il “senso storico” di quel tempo in cui il nostro territorio fu Linea Gotica e quindi occasione sincretistica di un incontro di popoli che insieme al furore portarono solidarietà, insieme agli orrori lasciarono emergere profonda umanità; sono cose accadute, é storia e senza enfasi o revisionismi occorre ricordare per il semplice fatto che, e non credo di banalizzare citando De Gregori, “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”.
(Lino Giorgini)
Quanti ricordi! E’ proprio dopo l’8 settembre, al Casino che ho imparato i primi rudimenti di radiotecnica dall’amico “Armando” Corradini. Era sfollato con sua sorelle e due amici, tutti “sfollati” di Reggio e che erano ospitati da una mia zia sfollata da Milano. Volevo fare una radio a “galena”, mi mancava un condensatore e mia zia mi fece conoscere Armando che ne aveva tanti. Me lo diede e diventammo molto amici. Era una persona stupenda, esperto radiotecnico ed esperto rocciatore che in coppia con l’amico Pincelli aveva aperto alla Pietra di Bismantova la via a loro dedicata. Lui faceva i ricetrasmettitori per i partigiani e diventai un suo collaboratore. Quando venivano i tedeschi dovevamo nascondere tutto, noi compresi, su una palafitta che Armando aveva costruito in una cisterna di acqua piovana che si sviluppava sotto la casa. La cisterna esiste ancora ed ho chiesto all’attuale proprietario di poterla fotografare.
(Ermete Muzzini)
Per completezza di informazione vorrei allegare anche un elenco di tutti i sacerdoti trucidati dai partigiani comunisti nelle nostre zone, in odio alla Fede. Potremmo pensare di istituire anche un sentiero dei preti trucidati…:
Don Sperindio Bolognesi – Nismozza 25-10-44
Don Adelmo Corsi – Grassano 22-10-44
Don Giovanni Guicciardi – Mocogno 10-06-45
Don Giuseppe Iemmi – Felina 19-04-45
Don Luigi Ilariucci – Garfagnolo 19-08-44
Don Luigi Manfredi – 14-12 44
Don Dante Mattioli – Cogruzzo 01-04-45
Don Giuseppe Preci – Montaldo 24-05-45
Seminarista Rolando Rivi – Piane di Monchio 10-04-45
Don Carlo Terenziani – S.Ruffino 29-04-45
(Ivano Pioppi)
Ha ragione Lino Giorgini: c’è nella nostra montagna un fenomeno interessante che vede la cooperazione protagonista nella volontà di alcune comunità di rimanere tali e legate al territorio, utilizzando una forma di impresa in grado di creare anche valore economico e occupazione. Oggi con un progetto articolato come “Parco Turismo Appennino”, di cui peraltro anche Legacoop è partner, e ieri con le intuizioni coraggiose di chi ha scelto di essere protagonista autopromuovendo sviluppo, le cooperative dimostrano di poter essere una soluzione perché le comunità dei paesi non scivolino a valle. Cooperative che si sono date una missione particolare, come disse il presidente nazionale di Legacoop Poletti al convegno di Succiso del 2010, “quella di mantenere e valorizzare comunità locali a rischio di deperimento”. Intuizioni e coraggio che nascono dal bisogno di non far morire una comunità, ma che diventano anche capacità di innovare, come dimostra l’esperienza del turismo di comunità nata già qualche anno fa grazie anche al ruolo del Gal. Un turismo che vede protagonista la comunità di un luogo, e che ha il suo “brand” proprio nel concetto di comunità. “Gli attori sociali nel regime di globalizzazione – affermava don Luigi Ciotti nel 1995 – attivano strategie di interconnessioni contingenti, collegamenti virtuali che si fanno e disfano, non si cumulano in processi sociali di relazione e non si danno il tempo di crescere. Non sorprende che la domanda di comunità si rifletta anche nel bisogno di rallentare il tempo e di abitare il tempo, la vita, il territorio”. Ci sono esperienze che possono rispondere al bisogno di cui parlava don Ciotti: d’altra parte il confine tra cooperazione e comunità forse non esiste. In sostanza: ieri con l’attenzione di pochi, oggi fortunatamente con l’attenzione di molti, queste esperienze indicano una possibile soluzione, perché i luoghi non rimangano muti.
(Carlo Possa)
Io credo che ognuno debba fare la sua parte. Sono lieto di avere conferma che anche nel mondo cooperativo ci sia sensibilità ai temi che ho sollevato ma si deve passare dalla sensibilità all’attività concreta e su quello mi sembra che il ritardo sia innegabile. Una valorizzazione della nostra memoria attraverso la lettura dei luoghi e degli eventi passa necessariamente dalla condivisione con le comunità della loro storia, non certo dalla burocratizzazione o dalla stesura dell’ennesimo progetto che tale rimane. Le risorse umane e culturali ci sono, si tratta di metterle in rete in collaborazione con l’esistente e con le Amministrazioni locali.
(Massimo Storchi)