Omelia di ringraziamento pronunciata oggi a Reggio Emilia, nella giornata che ha visto la diocesi salutare il pastore uscente.
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Anch’io sono ormai giunto al Salmo “Settanta gli anni della vita, ottanta per i più robusti"”... Ho letto che da piccoli si nasce, da giovani si impara, da adulti si insegna, da vecchi si impara a mendicare e a ringraziare. E perché ringraziare? Come ringraziare? E chi ringraziare?
“Esci dalla tua terra”
Sono diverse le partenze che hanno segnato il cammino della mia vita: la partenza per il Seminario, ancora ragazzo, mosso dal desiderio di uscire di casa, di cambiare scuola, di volare alto, al punto da preoccupare una donna tutta concretezza come mia madre di quella partenza di sogno. Quando però il Signore chiama, passo dopo passo, gli studi letterari, filosofici, soprattutto teologici mi hanno confermato nella scelta di diventare prete. E’ questo un primo motivo per ringraziare il Signore.
Da giovane, anche il prete vive di tante attese. Il bello della vita è ancora tutto da venire. Sognavo anch’io l’Oratorio, nel quale per così dire ero nato e cresciuto. Mi vedevo giovane prete tra i ragazzi e i giovani di una grande parrocchia, come tanti miei compagni di ordinazione. “Saper fiorire dove Dio ci pianta” voleva dire per me: Roma per gli studi, Venegono per l’insegnamento, Gazzada per la direzione del centro studi Paolo VI. Oggi, da vescovo, quelle partenze non per scelta mia, ma per mandato, sono quelle che più mi hanno aiutato. Ne ringrazio il mio Vescovo.
Sono arrivato così al giorno della impensata ordinazione episcopale. Ricordo ancora i 33 pullman venuti da Reggio Emilia-Guastalla. Non averi mai pensato a così tanta gente, come anche otto giorni dopo ancora alla più numerosa folla qui in piazza del Duomo. Passare dal Seminario, dagli studi e dall’insegnamento, anche dalla parrocchia alla Cattedrale non era facile. “Tu non sai dove l’Eucaristia ti porta!”, mi ero detto al termine della Ordinazione episcopale a Milano. Celebri la Prima Messa in un posto e poi non sai dove celebrerai 10 anni, 20 anni 50 anni dopo.
Ora lo so. Ogni Vescovo che lascia la sua terra è un po’ come Abramo. Sa che cosa lascia: la casa di suo padre, gli affetti familiari, le parrocchie di origine e di ministero, tante figure di sacerdoti, di alunni e di colleghi di Seminario, di collaboratori laici a Gazzada, Legnano, di Arcivescovi come Montini, Colombo, Martini, che ha assecondato il mio desiderio di vita pastorale. Di tutti conservo immutato affetto e grata memoria come della Chiesa – Ambrogio direbbe dei “padri” - che ti hanno accompagnato all’episcopato.
Ma come Abramo il Vescovo non sa niente della Diocesi a cui è mandato. . Il mandato del Santo Padre per me era chiaro: “Vescovo”. E anche la destinazione: “Reggio Emilia-Guastalla”, ma non ancora sapevo della mia terra promessa. “La terra che Dio Le ha indicato, adesso, è qui. Non è un paese straniero come per Abramo… Sappia Eccellenza che qui è …a casa” , così mi incoraggiava Mons. Marmiroli, accogliendomi nella Messa d’ingresso. Anche l’abbraccio al termine della Messa con il “Cocco” della Casa della carità di Fosdondo, la consegna della Croce dalla terra d’Albania per mano dei genitori di don Gigi, sotto lo sguardo di tutti, me lo hanno testimoniato.
Dopo 14 anni non mi sono dimenticato di quella partenza entusiasmante subito venata dal confronto con la nuova realtà. Mi sono reso conto della forza unificante dell’Eucaristia con le visite pastorali, a partire dai giorni feriali. Possono esserci diversità di carattere, di sensibilità, di scelte pratiche, ma mi si è rafforzata nel tempo la convinzione che è l’Eucaristia a generare la Chiesa e crea quella volontà di comunione attorno al Vescovo, senza della quale viene meno il senso della sua presenza.
Anche di fronte ad una “grana” – e ce ne sono inevitabilmente – se avessi brigato per diventare Vescovo la tentazione sarebbe stata di dire “Te la sei voluta. Ben ti sta! Sei tu che hai voluto essere lì”. Credo che invece l’obbedienza sia liberante, perché ti permette di dire: “Signore, ti consegno la mia vita nella buona e cattiva sorte. Non riesco a mettere più fiducia in me stesso. Mi rimane invece più forte la fiducia in Te. Sostienimi!”.
“Pascete il gregge di Dio”
Così al termine del mio mandato mi sono chiesto: “E ora dove l’Eucaristia ti porta?”. Mi tocca ripartire ad un’età nella quale diventa difficile iniziare una nuova vita, meglio una nuova partenza. Anche Abramo aveva 75 anni, quando partì da Carran. Dopo l’età adulta arriva quella dell’anzianità, quella del distacco. A dire il vero quello del distacco è una delle dimensioni fondamentali della vita, presente in tutto l’arco dell’esistenza. Ma non c’è dubbio che è questo il tempo, in cui il distacco diventa esperienza più intensa, dolorosa, difficile, ma anche feconda.
Anche Pietro l’apostolo, la pietra su cui Cristo ha voluto fondare la sua Chiesa, non è stato risparmiato con il passare del tempo dalla legge del declino. Così si rivolge ai suoi presbiteri nel brano della seconda lettura: “Carissimi, esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato” (1Pt 5,1).
Pascere il gregge di Dio non è essere il pastore. Pastore del gregge è Dio, “pastore e vescovo delle vostre anime” è Gesù (1 Pt 2,15). Pietro qui dichiara di non avere dimenticato la lezione di Gesù Risorto apparso sulle rive del lago di Tiberiade, quando Gesù, dopo aver mangiato – allusione all’Eucaristia? – chiede a Pietro: “Mi ami tu più di costoro? (E Gesù) Pasci le mie pecore” (Giov 21, 15). Non gli dice: “Fai tu il pastore!”, ma “Pasci le mie pecore”. Le pecore sono del Buon Pastore, sono di Gesù, e Pietro partecipa di tale funzione, pascendole, ma esse restano di Gesù.
Questo brano del vangelo di Giovanni piaceva molto a Paolo VI tanto che ne ha fatto il suo testamento al compiersi dei suoi 80 anni. Sofferente nel passo, lui che ha rifiutato la sedia gestatoria, più ancora consapevole che la Provvidenza ha tanti modi d’intervenire, Paolo VI deve avere meditato la lezione di Gesù a Pietro: “Quand’eri più giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21, 18).
La Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla sta ora vivendo il momento importante del passaggio da un Vescovo ad un altro. Cambiano i Vescovi, ma rimane unico il Grande Pastore della Chiesa, Cristo Gesù, di cui i Vescovi sono solo un sacramento. Quello che io ho annunciato – la Parola di vita del Vangelo- verrà annunciato da un altro vescovo, Massimo, al quale rinnovo il mio saluto, la mia preghiera, la mia gioia. Ma Cristo è lo stesso ieri, oggi, e sempre. Cambia il motto: Veritas et amor, quello del Vescovo emerito, Opus justitiae pax, quello del nuovo Vescovo. Diverse le vie, unica la meta: quella della Verità che si fa Amore, e quella della Giustizia che diventa Pace solo in Cristo.
Rinnovo il mio invito ad accogliere con gioia il nuovo Vescovo come dono del Signore, come apostolo del Vangelo perché mandato, e l’invito come Chiesa a vivere questo passaggio come una chiamata del Signore ad una risposta generosa e coerente con il Vangelo, nella disponibilità al servizio e obbedienza alle indicazioni e scelte, collaborando con Lui con amore, fede e con gioia. Quanto a me, come ho già espresso, rinnovo la mia disponibilità a svolgere servizi richiesti per la Diocesi, a cui mi vincola questo anello consegnatomi all’Ordinazione episcopale e che tuttora mi lega come segno del mio primo ed unico amore.
“Resta con noi, Signore”
Da ultimo non posso questa Eucaristia di commiato senza salutare e ringraziare tutti voi, qui convenuti da ogni parte, per questa assemblea di comunione: preti, diaconi, religiose/i e laici, in particolare quelli che hanno collaborato più da vicino in quanto Vicari episcopali, foranei, membri dei Consigli presbiterale e pastorale, della Curia e degli Uffici pastorali, uomini e donne, il Coro diocesano.
Saluto le Autorità, Amministratori, sia quelli che mi hanno salutato appena arrivato a Reggio sia quelli che mi hanno salutato ieri in S. Prospero, con loro saluto i cittadini laboriosi di questa terra generosa e stimati da chi cerca qui un riscatto di dignità per sé e la propria famiglia, cittadinanza nei diritti e doveri, in particolare i fratelli nella fede cristiana, che con le proprie comunità e guide testimoniano l’inscindibile unità nella persona di lavoro, casa, fede o religione, cultura.
Saluto gli operatori della comunicazione sociale, come collega nei rapporti a volte segnati dalla differenza di cultura tra formazione e informazione. E tuttavia — come si esprimeva Giovanni Paolo II in dialogo con i giornalisti in viaggio verso Cuba — non c’è motivo per cui le differenze di fatto su certi punti di contrasto debbano rendere impossibile l’amicizia e il dialogo: un invito a salutarvi come ‘compagni di viaggio’ e ‘amici’.
Ringrazio, da ultimo ma non perché ultimo, Mons. Lorenzo Ghizzoni. Non tocca a me dire che cosa lascio in eredità a questa nostra Chiesa, che io stesso ho ricevuto grazie ai Vescovi miei predecessori. Tocca a me ringraziare chi più da vicino ha condiviso con me prima come docente, educatore e Rettore del Seminario, poi come nostro Ausiliare questi anni. Mi piace ringraziarlo prima come confratello nel ministero episcopale, perché più giovane. Si dice che i giovani sono degli eterni indecisi, come l’acqua al fuoco: si scalda, ma non bolle mai.
Niente di questo. Come Ausiliare Mons. Lorenzo, benché giovane, ha saputo contemperare maturità di analisi, andando subito al cuore delle questioni complesse, e concretezza negli obiettivi; competenza giuridica e vicinanza alle persone in difficoltà; inflessibilità di giudizio e capacità di sorridere di sé e delle opinioni altrui; pragmatico, razionale; non si scalda, ma sempre pronto a bollire nella decisione: l’uomo della decisione. Molto hai dato di tuo, qui tra noi, Caro Mons. Lorenzo. Molto di reggiano darai come Arcivescovo Metropolita di Ravenna-Cervia, e molto di romagnolo saprai ricevere..
Non posso tacere il mio “grazie” a Don Daniele Casini, mio segretario, anzi di più. “segretario di stato” per la sua dedizione a svolgere dal suo tavolo la montagna di pratiche provenienti da ogni parte. Si dice che l’ordine c’è quando ogni cosa ha un posto. Non so come facesse in giornate di sole 24 ore. “Diventerà Vescovo!” ho detto al tuo papà Pasquino, malato in ospedale, incoraggiandolo. Se il Signore vorrà, papà non ti vedrà Vescovo qui in terra, ma come per mio papà…pregando dal cielo, il punto di osservazione più alto anche per un Vescovo.
“Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”, chiedono i due discepoli di Emmaus al termine del loro viaggio con Gesù, come ci racconta l’odierna pagina di Vangelo. Ho visto un bel quadro al Congresso Eucaristico di Ancona che ritrae la pagina di vangelo con i due discepoli sulla porta della locanda che stringono le mani a Gesù per trattenerlo più con lo sguardo che con le parole. E’ questo lo sguardo che vorrei fosse il mio, il vostro, lo sguardo di tutta una Chiesa.
(Adriano Caprioli, Reggio Emilia, 25 novembre 2012)