Adolescenza, terra di mezzo nel cammino evolutivo, età di passaggio con gioie e dolori.
Non più bambini, non ancora adulti, gli adolescenti sono alle prese con prove tecniche di vita pensata, sognata, tentata.
Come color ‘che stan sospesi’, l’adolescenza presenta un compito di sviluppo importante per ogni individuo. A lungo ritenuta a torto l’età della ‘stoltezza’, la verde età presenta caratteristiche positive e stimolanti per la società.
Se si parte dal presupposto che ogni cultura produce i propri significati, negoziandoli e condividendoli, è proprio l’adolescente che propone e offre spunti creativi che vanno ad arricchire l’arte, l’espressività, la musica.
Il corpo diventa scenario principale attraverso cui esprimere se stessi. Non più oggetto di cura e accudimento da parte dei genitori, il corpo adolescenziale diventa una tela nuova su cui esprimere e raccontare la propria realtà psichica.
La rivendicazione del corpo appena guadagnato (Pietropolli-Charmet) si declina quindi con abbigliamento eccentrico, con modificazioni perenni come piercing, tatuaggi, o transitorie come tagli e colori di capelli originali.
Tutto questo racconta le prove identitarie con cui è alle prese il giovane. Il corpo diventa mezzo di comunicazione, veicolo di valori in erba, teatro di interfaccia con l’altro, luogo di completamento dell’identità sessuale, consapevolezza della vulnerabilità e segno del passare del tempo, mai percepito durante l’infanzia, spazio senza tempo, dove ci si sentiva immortali, invincibili e eternamente bambini.
Se l’aspetto corporeo può diventare affascinante per la potenzialità creativa, è sempre attraverso il corpo che l’adolescente può urlare il suo disagio. Patologie sempre più frequenti come i disturbi alimentari, condotte autolesionistiche, sono quadri psicologici che dichiarano i disagi della nostra società.
Le cause possono essere molteplici.
La più rilevante è rintracciabile nel mutato assetto familiare.
Da una famiglia basata sulle regole, normativa, si è passati a un tipo di famiglia affettiva, dove i ruoli si sono trasformati. Il padre distante che dettava legge, dava certezze e metteva netti e rigidi confini nella famiglia, ottenendo potere, ma pagando con la perdita di calore e affetto da parte dei figli. Il patriarca ha lasciato il posto a un padre ‘mammo’, pronto e disponibile a sostituirsi al ruolo materno, accogliente, permissivo, pur di guadagnarsi l’amore del figlio. Il processo di individuazione-separazione (Margaret Mahler), compito di sviluppo specifico cui viene chiamato l’adolescente, diventa così difficoltoso, vago, mai nettamente definito. Separarsi da qualcosa di vago è più difficile.
Se per le generazioni passate diventare grandi voleva dire ribellarsi, opporsi a idee e modalità, ora l’adolescente non ha bisogno di opporsi, né di guadagnarsi libertà protestando. Egli spesso ha già tutto prima ancora di desiderarlo. Libertà, benessere economico. È difficile quindi separarsi da un ambiente-famiglia che si sostituisce al giovane, anticipandone tutte le difficoltà, e per amore, forse troppo, spianandogli una strada che diventa infinitamente facile, senza sfide, conquiste o traguardi particolari da agognare e raggiungere.
Fin qui il tutto sembra in fondo positivo. Se non fosse per il dilagare di dipendenze che mina la salute della nostra società.
Non abituati a reggere frustrazioni e difficoltà, molti adolescenti non riescono a sos-stare in solitudine (Corsano), concedendosi il tempo di formarsi una identità, restando ‘a maggese’ (Khan), in moratoria (Marcìa), in bonaccia (Winnicott), in attesa, creando un spazio buono per l’essere, per riflettere su se stessi, sul mondo, sui significati, senza bisogno necessariamente di fare.
Il gruppo dei pari sostiene, protegge e ingloba l’adolescente, facendosi impalcatura durante il rito di passaggio tra adolescenza a adultità, fornisce senso di appartenenza, feedback immediati di chi egli è in ogni momento, sostituisce affettivamente la famiglia, amplia le possibilità relazionali e, dentro al gruppo, si fanno prove anche dei primi rapporti di coppia.
Tuttavia l’insicurezza, il senso di essere indefiniti, marginali, può creare psicologicamente nell’adolescente un senso di falso-sé. Egli può sentirsi inadeguato, poco interessante, pieno di difetti fisici. E una scorciatoia per evitare tale senso di ‘non andare bene come si è’ può essere fornita dalle sostanze. Bevendo alcol, assumendo sostanze psicotropiche, il giovane può arrivare all’illusione di avere finalmente un ‘bel sé’, spigliato, disinibito, inserito, interessante, accettato.
Ben presto, però, l’illusione scompare e lascia il posto di nuovo all’insicurezza. Il processo mentale indicativo è che si crea una distorsione, un'idea irrazionale, che per funzionare e stare bene si debba utilizzare una ‘stampella’, un artificio esterno, poiché si è incompleti, difettosi, imperfetti.
Se un tempo, la dipendenza riguardava soprattutto l’uso di sostanze come droga e alcol, ora sono implicati anche comportamenti che dichiarano in egual modo il non sapere fare senza ‘stampelle’ per vivere. Internet, cibo, tecnologia, gioco d’azzardo, sesso e pornografia, gioco d'azzardo, sono tra le new addictions , moderne dipendenze, tra cui la più allarmante è quella affettiva, madre di tutte le altre.
In una società così affettiva sembra paradossale. Tuttavia il troppo amore può diventare disamore, un amore tossico che inghiottisce a fin di bene, dove la famiglia, invece di sostenere, e favorire un'autonomia graduale, si sostituisce al ragazzo, che non impara mai la vera autonomia. Da un lato la famiglia richiede al ragazzo di saper fare in fretta molte cose, di saper camminare precocemente, di saper usare un computer, eccellere in uno sport, ma è un'autonomia lagata la fare e non all'essere, si inserisce il ragazzo in una socializzazione costante a tutti i costi, dove egli è costantemente 'connesso' e mai con se stesso.
La famiglia di oggi è ‘lunga e stretta’, si sta in famiglia per molti anni, si raggiunge l’autonomia nella famiglia, non dalla famiglia, stretta per l’esiguo numero di figli, sempre più unici, adorati, iperprotetti.
Da qui le difficoltà del ragazzo che può arrivare a illudersi di negare i propri bisogni, rinunciando al cibo e cadendo nella trappola dell’anoressia, sogno di poter fare senza, e dichiarazione disperata di non riuscire a essere autonomo. Da qui l’aggrapparsi a mille cose per poter funzionare, dimostrando di non aver interiorizzato una figura buona e protettiva che accudisca, protegga dal di dentro.
Per la famiglia di oggi il compito si fa ancora più difficile. Occorre rinegoziare continuamente i ruoli, sapendo trovare una distanza ottimale tra autonomia e coesione, tra accudimento amorevole e indipendenza concessa. Genitori in bilico, acrobati che si sacrificano per il bene dei figli da un lato, e figli che devono imparare a camminare da soli, sapendo che alle spalle c’è sempre una base sicura.
Analisi reale, lucida e precisa.
Scritto tanti anni fa.
“Parole, parole, parole… / sogni che si rincorrono / in uno spazio senza tempo / in attesa di essere”.
Adesso come adesso aggiungerei una parola… “CONSAPEVOLI”.
(Commento firmato)
Quanta verità nelle tue parole. Io ribadirei la parola “REGOLE”, al limite poche, ma chiare e precise e soprattutto “inderogabili”… Ma quanto è difficile essere buon genitore/educatore!?!
(Cat)
Ottimo articolo, decisamente pieno di spunti di riflessioni validi… ma nella realtà essere buoni educatori, buoni genitori è un impresa ardua, difficile seguire le teorie, difficile cercare di farle diventare ‘pratica’, ancora più complicato se spesso si va da una parte opposta a quella dove rema la società o la maggioranza di essa. Che dire, ci si prova… io provo.
(Monja Beneventi)