15 anni, un video silenzioso postato su YouTube, una sequela di foglietti bianchi. “Ho deciso di raccontarvi la mia storia infinita. Non ho nessuno. Ho tentato più volte di farla finita”.
Pochi giorni dopo Amanda si toglie la vita.
Il tragico evento è accaduto in Canada, ma tocca chiunque sia in ascolto. Le culture hanno la responsabilità di registrare quanto accade e di attribuire un senso ai gesti.
Un dramma di solitudine, disperazione, la propria vita riassunta con lucidità estrema, una narrazione che racconta il disagio di una giovane vita.
La vicenda: Amanda si lascia fotografare da un ragazzo a seno nudo e poi viene esposta sul Web, vittima di cyber bullismo. Derisa, denigrata, rifiutata dai pari, Amanda non riesce a significare l’esperienza come una bravata. Precipita in un’escalation dolorosa fatta di ansia, attacchi di panico, farmaci, droghe, alcol. Arriva a procurarsi tagli, scegliendo di agire la propria sofferenza contro se stessa. E come unico ascoltatore sceglie il vuoto del web, si comunica a tutti, non c'è nessuno in vero ascolto. Ragazza invisibile, una vita emotiva e psicologica difficile, offre se stessa a una visione estrema, impudica, perpetua di un video che resterà immortale.
Agli occhi di chi guarda tanti interrogativi. Il primo: dov’era la rete sociale? La famiglia, la scuola, il gruppo dei pari?
L’adolescenza è un passaggio denso di insidie e la risultante dipende da molte variabili in causa. L’infanzia è uno stadio ben definito, un bambino è un bambino. Un adolescente è un individuo in cerca di sé. Impetuosità, intensità, smarrimento sono tipici di questo passaggio. Molti studiosi hanno parlato di adolescenze, a caratterizzarne la molteplicità degli esiti. Fattori di rischio e fattori di protezione indirizzano il traghettamento verso l’adultità. Fattori personali come temperamento, stile di fronteggiamento dei problemi, autostima e autoefficacia orientano il giovane nei dilemmi che tale periodo gli sottopone. Altro fattore protettivo è costituito dalla famiglia presente e contenitiva, accogliente, incoraggiante l’autonomia ma allo stesso tempo perno e base sicura.
Legami insicuri, contesti troppo rigidi o inesistenti acuiscono la fragilità.
La paura di non esistere e di non incidere sul mondo lasciando una traccia significativa di sé è tipica di questa età. L’essere indefiniti, senza una vera identità crea ansia. Tale ansia può arrivare a portare alcuni adolescenti a sperimentarsi in condotte estreme di un continuum: da un lato una chiusura nella sfiducia di non valere nulla. Dall’altro la sfida e l’arroganza di chi vuole a tutti i costi urlare di esistere. Gli uni rischiano di diventare le vittime degli altri.
Il bullo è colui che per non sentirsi invisibile è disposto a tutto. Pur di nascondere al mondo la sua pochezza autopercepita, egli urla una grandezza fasulla, costruita sulla violenza. Bersaglio di questa forza ostentata è il suo alter ego, il presunto debole da deridere, da vessare, ricattare, annullare, quasi volesse annullare una parte negata di sé.
Bulli e vittime si assomigliano.
Entrambi stanno fallendo un compito di sviluppo. La vittima è persa in tentativi mal riusciti di costruirsi un copione esistenziale, spesso procede per errori pagati cari che accrescono l’ansia e l’isolamento. Amanda infatti compie una serie di errori, nel cercare di farsi accettare, di compiacere. Il bullo si illude di essere vincente, di avere potere attraverso il ricatto, la denigrazione, la minaccia, la forza fisica.
Padroneggiare la tecnologia offre inoltre al bullo un senso di onnipotenza: egli, diventando un cyber bullo amplifica il proprio potere, e scarica la sua frustrazione di non esistere in altro modo, ricattando o diffamando qualcuno sul web.
I genitori spesso arrivano all’adolescenza del figlio come su un banco di prova, dove ciò che c’è è il risultato conclamato di quanto c’è stato prima prima.
Attaccamento e stile genitoriale non si possono modificare dall’oggi al domani, per cui ci si ritrova con l’adolescente che abbiamo allevato da bambino.
La sicurezza, l’amore per se stessi si insegnano prima e si vedono poi.
Il gesto di Amanda è una denuncia di percorsi educativi deficitari, ma il deficit coinvolge tutti.
E’ un campanello doloroso, un grido insostenibile che ci richiama a riflettere su noi stessi prima di tutto come agenti sociali, poi come educatori e infine come genitori.
La parola chiave su cui focalizzarci per primo è essenzialmente responsabilità.
Giovani di cristallo, così fragili che si frantumano alla prima frustrazione, sono figli di un percorso educativo che stritola o trascura. Essere presenti a contenere significa esserci, attraversare gli spazi di conflitto e tenere le redini. Farsi sponda decisa, porre limiti e chiedere di rispettare doveri. Dando esempi coerenti, disponibili all’ascolto, reggendo il confronto anche quando sarebbe più facile defilarsi o dire sempre sì.
Il compito contenitivo-educativo è uno dei più ardui.
Opporsi alla tempesta dei dubbi dei propri figli è faticoso, rimette in gioco tematiche irrisolte degli adulti stessi, sottolinea sensi di inadeguatezza che spesso non si può o non si vuole vedere.
E ci si ritrova entrambi fragili, genitori e figli. E la società occidentale demonizza la fragilità. Si fa di tutto per nasconderla. A se s tessi, ai figli, agli Altri.
Per nascondersi dalle proprie difficoltà, mille espedienti e auto giustificazioni: i “cattivi” sono gli altri.
Gli adolescenti pongono domande implicite continue. Richieste di aiuto invisibili. Facciamo un po’ di silenzio dentro e intorno. Mettiamoci in ascolto.
Il video di Amanda Todd su YouTube, pochi giorni prima di togliersi la vita.
Per approfondimenti:
Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida., 2000, Milano, Cortina.
Credo che l’adolescenza in molti casi sia la notte dello spirito di cui parla Edith Stein.
(Marco Notari)
Purtroppo il tema della “invisibilità giovanile” è un tema di cui si parla da anni, decenni… Però bisognerebbe spostare il focus dell’attenzione su quella che è oggi la nostra società. Il debole non viene più difeso da nessuno, gli viene posta l’etichetta di “sfigato” e nessuno fa il minimo sforzo per togliergliela. Il bullo invece viene esaltato, dalla società e quasi mai condannato dalla legge. Parliamoci chiaramente, la povera Amanda (ma quanti hanno fatto la stessa cosa?) si è uccisa per colpa di chi non è riuscito ad ascoltarla? A capirla? Perchè non diciamo ad alta voce, senza paura, che la colpa è stata del “bullo” (troppo frivola questa parola in casi come questo, bisognerebbe parlare di criminale)? Perchè non ci facciamo un bell’esame di coscienza per isolare i bulli? Per emarginarli al bordo della società invece che continuare a considerarli eroi. Bisognerebbe educare i propri figli all’emarginazione dei bulli e alla difesa dei deboli, anche se sono convinto che sia sempre molto più difficile stare dalla parte dei deboli. Ma è la cultura che è sbagliata. In un caso come quello di Amanda non si può parlare di semplice bullismo, ma di vera e propria violenza psicologica, che nessuno si meriterebbe di subire. A volte tale violenza dallo psicologico passa anche alla violenza fisica, ma non possiamo continuare a parlare di bullismo. All’evidenza dei fatti, soprattutto quando una violenza psicologica sfocia in un suicidio, bisogna parlare di criminalità.
(Alessandro Torri Giorgi)