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L’archivio racconta 7 / Le vicende della famiglia Rubini

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L'antico stemma gentilizio della famiglia Rubini (Foto Pierino Arduini, Montecchio)

Proponiamo di seguito un altro articolo che riguarda Castelnovo ne' Monti e le sue vicende, redatto sempre dall'appassionato e ormai più che ferrato conoscitore della storia ecclesiastica locale Corrado Giansoldati.

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Tra il 1630 ed il 1632 la peste “manzoniana” dilagò nel ducato di Modena e Reggio mietendo migliaia di vittime in città, paesi e campagne. In Europa era in corso la guerra dei trent'anni (1618-1648) durante la quale il duca Francesco I d'Este si schierò dapprima con gli spagnoli poi con i francesi. I lanzichenecchi, truppe mercenarie tedesche al soldo dell'imperatore Ferdinando II d'Asburgo che già avevano diffuso la peste in Lombardia, durante l'assedio di Mantova si erano accampati ai confini del nostro ducato. Da lì l'epidemia si diffuse rapidamente in città e paesi della pianura. Nel 1630 lo stesso duca si trasferì a Rivalta dove le condizioni ambientali erano migliori che a Modena e a Reggio. In quest'ultima città l'epidemia uccise un quarto della popolazione cittadina che passò da oltre quattordicimila a novemilaquattrocento abitanti. Nel 1632 la pestilenza raggiunse anche la nostra montagna, ma con caratteristiche meno virulente anche perchè vennero sbarrati e presidiati gli accessi al territorio e ridotte al minimo le occasioni di contagio (nel 1631, ad esempio, a Castelnovo fu annullata la fiera di S. Michele).

In quegli anni furono eretti molti oratori, cappelle ed altari a S. Rocco e S. Sebastiano, tradizionalmente invocati per la liberazione dalle epidemie di peste.

La cosa avvenne anche a Castelnovo nel 1631 per iniziativa, guarda caso, di una famiglia che, per la sua origine e la cura dei propri affari, manteneva costanti rapporti coi territori del milanese in quei tempi anch'essi flagellati dalla pestilenza. La famiglia era quella dei Rubini, provenienti da Tremenico, piccolo borgo montano della Valvarrone poco distante dall'estremità nordorientale del lago di Como. Le vicende dei Rubini, complesse e talvolta quasi romanzesche, riempirebbero forse un intero libro, ma mi limiterò a proporne alcuni frammenti contenuti nella storia della nostra Pieve.

Nel XVI secolo diversi esponenti di quella vasta famiglia, come di altre della loro terra, a quei tempi povera e difficile, iniziarono una continua emigrazione da Tremenico e dalla Valvarrone verso le vicine località rivierasche di Dervio, Còlico e Bellano e, soprattutto, verso il Piemonte, il Veneto (specie Venezia), la Toscana ed anche il meridione della penisola. I tremenicesi emigrati, però, restarono sempre legati alla loro terra e spesso costituivano delle “Compagnie” che contribuivano economicamente alle necessità del paese d'origine. In particolare avevano a cuore le loro chiese. Così, ad esempio, nel 1597 Taddeo e Giovanni Paolo Rubini, ricchi mercanti di Tremenico stanziati a Sarzana, finanziarono la costruzione della cappella del S. Rosario nella chiesa parrocchiale di S. Agata in Tremenico alla quale regalarono anche la pala della Vergine, mentre nel 1627 la Compagnia di “Castelnovo di Rezzana” (cioè Castelnovo ne' Monti) donò una pala d'altare alla chiesa di Monte Introzzo.

I Rubini (definiti “commercianti ed usurai” dai “Quaderni Derviesi”, importante organo di informazione storica locale della Valsassina e dintorni), intuendo la grande valenza economica di quella strada militare che arrivava al mare valicando il nostro Appennino, da Sarzana decisero di espandersi anche nel reggiano. Si stabilirono per qualche tempo a Busana e fin dai primi anni del '500 fecero affari a Castelnovo dove ben presto si trasferirono definitivamente. Nel 1579 era già a Castelnovo Giacomo Rubini col figlio Ambrogio e, subito dopo, arrivò anche Giovanni Antonio, fratello di Giacomo, con i figli Giovanni Paolo e Taddeo. Erano fabbri, magnani, commercianti di materiali ed attrezzature per la lavorazione dei metalli, ma trafficavano anche di altre merci, compravano e vendevano terreni e fabbricati. In poco tempo avrebbero aperto tre botteghe nel borgo.

Ambrogio Rubini nel 1597 sposò la castelnovese Fiora Bellini con la quale diede inizio ai rami della famiglia presenti tuttora a Castelnovo nelle contrade Comercato e Montadella. Lo zio Giovanni Antonio, invece, fu il capostipite di un altro ramo il cui ultimo esponente castelnovese, il dott. Taddeo Rubini, nipote dell'omonimo succitato, sarebbe rientrato in patria, a Dervio, nel 1747. Tutti i Rubini di Castelnovo ancora alla fine del '600 venivano indicati, nei documenti ufficiali civili ed ecclesiastici, come “mediolanenses” per via della terra d'origine ed anche perchè mantenevano rapporti costanti con la madrepatria che era meta frequente dei loro viaggi d'affari, come lo erano anche gli altri luoghi di emigrazione della famiglia.

Al loro arrivo a Castelnovo una delle cappelle della Pieve era dedicata a S. Rocco, come apprendiamo dai decreti del visitatore apostolico mons. Àntimo Marchesani del 1575: era quella centrale “dalla parte dell'Evangelo”, cioè nella navata sinistra guardando l'altare maggiore dal fondo della chiesa. Quest'ultima, in quel tempo, era ancora l'antico tempio romanico presente alla Pieve almeno dal sec. XI e fino al 1713. Dopo il 1575 la cappella, forse per volontà della famiglia Cola (detta anche Colla poi Coli, ndr), che ne era divenuta patrona, passò sotto il titolo di S. Benedetto.

In seguito quel ramo dei Cola si trasferì altrove e per la cappella iniziò un periodo di decadenza che fu attestato dai decreti vescovili delle successive visite pastorali.

La pala di S. Rocco nella Pieve di Castelnovo ne' Monti (Foto James Bragazzi, Casina)

Poco prima del 1630, per scongiurare il contagio della peste, i Rubini di Tremenico avevano eretto una cappella a S. Rocco in quella chiesa parrocchiale e, subito dopo, si mossero in tal senso anche i loro parenti di Castelnovo. Questi avanzarono all'arciprete don Giovanni Manini un'offerta in denaro per entrare in possesso dell'altare di S. Benedetto ed egli la sottopose al vescovo Paolo Coccapani presentandola come la migliore fra quelle pervenute. Il 15 novembre 1631 mons. Alessandro Brami, canonico della Cattedrale di Reggio incaricato dal vescovo di seguire la trattativa, comunicò per lettera che “Mons. Ill.mo ha inteso come è stato risarcito da messère Paolo Rubini di costì l'altare di S. Benedetto nella Pieve che da gran tempo era derelitto e desolato e come anche per ordine di codesto Illustre signor Arciprete siano stati più volte interpellati amichevolmente i pretendenti...”. Insomma, il vescovo concedeva la cappella a Paolo Rubini ed ordinava di stendere rogito pubblico che contenesse l'impegno della famiglia acquirente a “tenere sempre cura dell'Altare”. Questa lettera era indirizzata a “don Giovanni Antonio Sogli (o anche Soli o Sola, ndr) sacerdote reggiano di Castelnovo” che, probabilmente, aveva fatto da tramite fra la famiglia Rubini e la curia vescovile. Abbiamo ritrovato la lettera allegata all'atto pubblico rogato dal notaio castelnovese Agostino Mailli pochi giorni dopo, il 19 novembre 1631.

Attraverso quello strumento notarile l'altare di S. Benedetto veniva concesso “al Magnifico Signore Paolo Rubini figlio di Giovanni Antonio e milanese di Castelnovo, presente per sé e per i suoi discendenti ed anche in nome e per conto dei Signori Giovanni Antonio e Paolino figli di suo fratello Taddeo e del Maestro Ambrogio (cugino di Taddeo, ndr) per essi stessi e per tutti i loro discendenti”. I Rubini si impegnavano a restaurare l'altare ed a mantenerlo ornato con gli arredi, i paramenti e le altre cose necessarie. Inoltre lo ponevano sotto il titolo di S. Rocco. L'atto venne stipulato a Castelnovo, nella “bottega di mezzo” dei Rubini (“in Apotheca de medio”), alla presenza dei testimoni Girolamo Frascari, Antonio Mailli e Bartolomeo da Bagnolo.

Pur non essendo scritto in quell'atto, sappiamo che i Rubini acquisirono anche i diritti di sepoltura nel sepolcreto posto davanti all'altare che così divenne la loro tomba di famiglia. Successivamente il dr. Taddeo Rubini avrebbe acquistato dalla famiglia Bagnoli (“da Bagnolo”) anche una metà del sepolcreto situato dinnanzi all'attiguo altare di S. Antonio Abate. Ovviamente, come tutte le famiglie notabili, i Rubini ebbero sempre il loro banco privato alla Pieve ed anche nell'Oratorio di S. Maria Maddalena.

Al di sopra dell'altare fu posta una grande tela raffigurante S. Rocco, la Madonna col Bambino, S. Anna, S. Benedetto, S. Lucia e S. Sebastiano. Il dipinto, che si trova tuttora alla Pieve, è opera di un ignoto autore emiliano che, secondo la schedatura Pirondini del 1974, “mostra d'ispirarsi, nei campi di luce e nello sfondo paesistico, al Bonone che nel 1622 dipingeva a Reggio nella Basilica della Ghiara” (Carlo Bononi, Ferrara, 1569-1632, ndr).

Sulla tela, la cui odierna cornice non è coeva al dipinto ma pare essere ottocentesca, è impresso lo stemma gentilizio dell'antica famiglia Rubini di Tremenico.

L'altare di S. Rocco rimase nella stessa posizione anche dopo la ricostruzione settecentesca della chiesa della Pieve. Nel 1862, in seguito all'erezione della nuova cappella dell'Immacolata Concezione, l'arciprete don Francesco Riccò decise lo spostamento di alcuni altari e quello di S. Rocco venne collocato nella cappella attigua dove si trova ancora oggi.

Quanto ai Rubini, essi si radicarono definitivamente a Castelnovo e molti di loro ricoprirono ruoli di grande prestigio nella vita pubblica cittadina facendo di quella famiglia, specialmente nel XVIII e XIX secolo, ma anche dopo, una tra le più importanti della nostra montagna.

(Corrado Giansoldati)

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Fonti consultate:

Archivio don Francesco Ricossa, Verrua Savoia (TO)

Archivio Parrocchiale di Castelnovo ne' Monti

Archivio Curia Vescovile di Reggio Emilia

Maria Teresa Cagni Di Stefano, “Castellanze di montagna”, vol. II, 2011

Archivio di Stato di Reggio Emilia

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4 COMMENTS

  1. Cara Barbara, come vedi non ho fatto alcun nome degli odierni Rubini poichè l’articolo è incentrato su un fatto storico ben preciso che riguarda le vicende antiche della nostra Pieve: l’acquisto dell’altare di S. Rocco da parte dei tuoi antenati nel 1631. Ma io conosco bene tua nonna Nella, così come tuo padre Giuseppe (o Geppe). Della Nella poi, sempre giovane e simpaticissima, ho anche approfittato coinvolgendola, come “consulente”, nelle mie ricerche su un altro argomento della storia castelnovese più vicina al nostro tempo: ritenevo che potesse conservarne memoria e così è stato. Mi ha fornito informazioni preziosissime che utilizzerò quando sarà il momento. Ricordo con affetto anche il tuo prozio Memo, coetaneo ed amico carissimo di mio padre. Dai loro racconti ho saputo che da ragazzi, fra la Pieve e la Montadella, ne combinarono assieme di tutti i colori.

    (Corrado Giansoldati)

    • Firma - CorradoGiansoldati