“L’obiettivo non è legato soltanto ad una valorizzazione che sancisca alcune particolari caratteristiche, ma in termini economici si tratta innanzitutto di recuperare il differenziale che sussiste tra i costi del formaggio di montagna rispetto a quello prodotto in tutte le altre aree del comprensorio del Parmigiano-Reggiano: un differenziale non marginale, trattandosi di un euro al chilo, ovvero di circa 7 euro per quintale di latte destinato alla trasformazione”.
Alla vigilia del convegno sul Parmigiano-Reggiano in programma a Casina il 4 agosto, Giovanni Teneggi, responsabile per l’area montana e direttore di Confcooperative, indica pragmaticamente in questo recupero di maggiori costi l’obiettivo immediato “sul quale - dice Teneggi – devono unirsi gli sforzi dei caseifici, ma debbono soprattutto convergere gli impegni degli enti locali per far sì che la possibilità (legata alle decisioni UE) di differenziare il “prodotto di montagna” incida positivamente sui redditi”.
“Senza snaturare il marchio collettivo di un prodotto noto in tutto il mondo, i modi per differenziare il prodotto (marchi o scritte che siano) sono ininfluenti – prosegue Teneggi – rispetto al vero obiettivo, che è e deve essere quello di assicurare valore economico a questa differenziazione con operazioni di marketing, di comunicazione e strategie commerciali sulle quali è indispensabile il concorso finanziario pubblico”.
“I produttori della montagna non si sono mai sottratti a investimenti, ma oggi - osserva Teneggi - non possono fare da soli; il mercato è su livelli largamente inferiori (circa il 18%) rispetto a quelli dello stesso periodo del 2011, cosa che rende ancor più impellente la necessità di cogliere le opportunità legate alle decisioni UE per far sì che ai caseifici montani siano riconosciute quotazioni quantomeno corrispondenti ai costi più alti che ogni giorno affrontano: dalle norme antisismiche ai trasporti”.
“Nonostante i più alti costi produttivi – ricorda Teneggi - i caseifici della montagna non si sono sottratti all’intervento di solidarietà a favore di quelli colpiti dal terremoto e a salvaguardia di tutto il comparto: anche di fronte a questo ennesimo atto di responsabilità, è urgente che la Regione e gli enti locali mettano in campo nuove risorse – come è accaduto per i progetti di filiera – che consentano di implementare le possibilità di reddito per i produttori montani”.
“Bene, dunque, la valorizzazione – afferma il direttore di Confcooperative – che però non può essere una operazione di facciata o limitata a pochi caseifici: l’eliminazione degli svantaggi della montagna è un compito che compete alle amministrazioni locali e alla Regione in primo luogo, tenendo conto del fatto che la salvaguardia dei redditi dei produttori di Parmigiano-Reggiano è uno degli elementi fondativi la difesa, la crescita e la valorizzazione di tutto il territorio appenninico”.
“Nella nostra montagna – prosegue Teneggi – nel 2011 si sono prodotte quasi 224.000 forme, corrispondenti al 22% della produzione provinciale di Parmigiano-Reggiano e al 31% di quella comprensoriale riferita alle aree dell’Appennino; in termini economici stiamo parlando di qualcosa come più di 97 milioni di euro, e non di banali battaglie di campanile”.
“Questo percorso di valorizzazione che chiama in causa produttori e amministrazioni pubbliche – conclude Teneggi – deve avviarsi già con il confronto di sabato, e per parte nostra siamo pronti a mettere in campo, ad affiancare e sostenere un unico progetto della montagna e per la montagna reggiana che abbia il solo obiettivo di far sì che il valore del prodotto salga, evitando di confondere la valorizzazione con la pur importante distintività, che è già insita nel territorio”.
Chi produce Parmigiano con latte “esclusivamente” di montagna merita sicuramente una remunerazione più alta. Bisogna chiarire alcuni punti essenziali ai fini commerciali:
1) chi garantisce l’utilizzo di solo latte proveniente da mucche al pascolo in montagna?
2) chi garantisce l’utilizzo di fieno coltivato in montagna?
3) chi definisce la zona di montagna con la collina e la pianura?
4) chi garantisce la provenienza del latte da mucche di razza bruna?
Comunque il discorso è troppo lungo e interessante, ma finché si vende un 24 mesi a euro 11,50 al pubblico siamo lontani da qualunque meta. Sperando di non offendere nessuno, io penso, che per poter dimostrare la qualità al consumatore finale dovremmo avere, innanzitutto, un consorzio molto più serio.
Cordiali saluti.
(Mele Donato, Aradeo, Lecce)