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“Gracias a Dios!”

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Che dolceza ne la voze de me mama / quando ‘n sema se arivava al capitel

Mi è tornata in mente questa bella canzone – credo veneta – imparata  tanti anni fa, quando l’altro giorno mi sono trovato per strada, vicino a un capitello, con una mamma che mi chiamava:  “Hola! Ven, por favor!”. Mi giro e mi rendo conto che mi sta chiamando una giovane che da tempo conosco, mamma di un bimbo che da poco ha compiuto 10 anni e che lei da 10 anni non vede... Devo confessare che vado sempre di corsa, per le strade di Cochabamba, indaffarato in tante cosette da sbrigare, e una voce che improvvisamente mi chiama mi obbliga a fermarmi e rimandare per un attimo gli impegni.

“Ciao, C., come stai?”. “Bene, Gracias a Dios!”. “E’ da un po’ che non ci vediamo”. “Sí: se vuoi, sediamoci un attimo, qui, su questo muretto”. “Hai ragione, sediamoci un attimo, credo che mi farà bene riposare un po’”.

la polsava ‘n momentin,

la pregava pian pianin,

Seduti su quel muretto, gli alberi attorno ci proteggono dal sole del mezzogiorno. E abbiamo tempo per dialogare con calma al fischiettio degli uccellini sui rami…

“Dimmi: come sta mio figlio?”. “Sta bene, l’ho visto qualche settimana fa e stava molto bene”.          “Chiede di sua madre?”. “Sempre mi chiede di te.” (Bugia bella e buona, ma  perdonabile). “Che bene! Gracias a Dios! Ma quanti anni ha adesso?”. “Non te lo ricordi? Ha da poco compiuto 10 anni. Io e M. siamo nati lo stesso giorno, solo con qualche annetto di differenza, non te lo ricordi?”. “No, è passato troppo tempo... Avevo solo 16 anni, allora, e io non ho potuto più vederlo da quando la polizia se l’è portato via!”.

Tanti ani è za pasà,

...,

mi me sento ancor la voze:

Infatti, conoscemmo M. poco dopo la sua nascita quando, durante la distribuzione serale del cibo per strada. Lo trovammo insieme alla nonna che vive sotto i portici e che fa la custode di auto nella piazza centrale della città. L’aveva deposto per bene in una cesta di vimini. La nonna se ne faceva carico perché la figlia, troppo giovane e intimorita, era scappata. Dalla nonna sapemmo che, guarda caso, M. era nato lo stesso giorno mio: il 27 febbraio. Fu questo un motivo sufficiente per chiedere che io fossi il suo padrino di battesimo, qualche giorno dopo. E così fu. Noi conoscevamo solo la nonna e ci incaricammo, per un tempo, di procurare latte, pannolini e coperte per quel bel bimbo. Non fu per molto tempo perché la situazione non era sostenibile e la polizia intervenne portando il bebè in un centro di accoglienza, là dove M. vive tuttora.

“E’ alto mio figlio?”. “Certo, è bello alto! E ha sempre quei suoi caratteristici capelli rossi”.    “Mi avevi promesso che mi avresti portato una sua foto...”. “Hai ragione, ma non sono ancora riuscito a farlo: perdonami!”. “Vorrei avere una sua foto nella mia stanza per guardare il suo volto...”. “E’ un bel desiderio! E spero di portartela presto!”. “Gli racconti solo cose belle di me, vero?”. “Certo, non preoccuparti. Lui sa che tu sei dovuta andare lontano per lavoro e che un giorno ritornerai per portarlo a vivere con te”. “Speriamo, se Dio vuole! E come va a scuola?”. “Fa la quinta e va molto bene. La maestra è contenta”. “ Gracias a Dios che mio figlio è bravo. Io non so neanche leggere...”. “Certo, il tuo lavoro non ti aiuta molto”. “Difficile che possa cambiare lavoro e farmi carico di mio figlio. Il mio uomo non ne vuole sapere di bambini”. “Magari ti cerchiamo un altro lavoro, ma non so se il tuo uomo te lo permetterà”. “A dire il vero, il mio lavoro va bene, non posso lamentarmi, gracias a Dios. Vedi: mi sono appena comprata queste belle scarpe nuove! E riesco a tenere le mie cosette e ogni tanto aiuto pure mia madre. Lei continua a vivere sotto i portici della piazza principale e so che ultimamente ha avuto un incidente. Vedete se anche voi potete fare qualcosa per lei perché è iniziata la stagione fredda”. “Sí, incontriamo sempre tua madre la sera e sappiamo che lei riesce ad andare tutti i mesi a trovare M. E lui ne è molto contento”. “Non ci siamo mai capite con mia mamma, ma io le voglio molto bene”. “Questo è importante! E tu come stai di salute? Ti sei fatta gli esami?”. “Sí, tutto bene, gracias a Dios!”. “Sono contento!”.

Tanta gente passa attorno a noi. Siamo in pieno centro, vicini al mercato e alla stazione degli autobus. Alcuni si voltano, con un certo stupore. Ma nessuno immagina la dolcezza della voce di quella mamma troppo giovane e troppo sciupata.

“Ciao, C., devo andare a casa, ma ti prometto la foto e vado a trovare tua madre. Ci vediamo nei prossimi giorni. Ti posso trovare qui, vero?”. “”Certo, ti aspetto. Mi fa piacere fare due chiacchiere fuori dal lavoro”.

Un saluto e via di nuovo di corsa...  Mi giro indietro e vedo di sfuggita C. sul muretto che mi fa un cenno con la mano, sorridendo, con la sua minigonna rossa, le sue scarpe nuove coi tacchi, il volto consumato, che non è quello certo di ragazza di 26 anni, mascherato dal trucco. Mi immagino la sua vita difficile. Ma soprattutto mi commuove quel suo rivolgersi continuamente a Dio per ringraziarlo. Ci vuole tanta innocenza per poter ripetere: “Gracias a Dios”. Tutto per lei è: grazie a Dio.

E mi torna in mente la bella canzone veneta della Madonnina:

È restà en tochetin de ...,
che la ride quando lì ghe cioca ‘l sol,
el fisceta ‘n oselet
propri ‘n zima sul muret:
Quela voze benedeta
ancor la ven.

Mi giro indietro anche nel tempo. E mi torna alla mente un giorno d’inverno di 10 anni fa, quando un’altra mamma, Erika, conosciuta per strada, ci chiese aiuto per una persona anziana che stava male. La sua insistenza ci convinse. Fu così che un pomeriggio andammo dall’altra parte della città, in una zona povera, tra tante piccole stanze in affitto, e lì conoscemmo don Martín, il signor Martín, che non riusciva più ad alzarsi, non parlava, triste ed assente, adagiato se un pavimento freddo. Gracias a Dios, riuscimmo subito a trovargli una famiglia che l’accogliesse. Dopo una settimana don Martín volò in Cielo, ma il suo volto non era più teso e sofferente come quel pomeriggio in cui lo conoscemmo grazie alla tenacità di una mamma che ci convinse ad andare fin dall’altra parte della città. Noi fummo la famiglia di don Martín per una settimana e, infatti, c’eravamo tutti ad accompagnarlo in quel suo ultimo viaggio e a cantare per lui il grazie per averlo conosciuto. Ma quello stesso pomeriggio di una settimana prima, tra quelle piccole e povere stanze d’affitto, successe un altro fatto. Si avvicinò a noi una ragazza sciupata nonostante la sua giovane età.  E pure lei ci chiese un favore:

Scusatemi. Vedo che avete un cuore buono e non so a chi rivolgermi per farmi aiutare. Qualche mese fa ho avuto un bimbo, quando vivevo per strada. Mia madre se n’è fatta carico perché io non me la sentivo e sono scappata via appena dato alla luce. Non ho più saputo niente di lui. E non ho avuto il coraggio di tornare da mia madre. Mi piacerebbe sapere di lui e che qualcuno se ne occupasse. Credo che stia in un centro. Io  non ho il permesso per poter visitare un orfanatrofio...”. “Ci sono oltre 3.000 bambini nei centri di Cochabamba: come lo possiamo rintracciare?”. “Posso darvi solo qualche piccola indicazione. Il mio bimbo è nato il 27 febbraio e ha i capelli rossi”.

Rimaniamo di stucco!

“Come ti chiami?”. “Mi chiamo C.”. “Tua madre che lavoro fa? Dove vive?”. “Fa la custode di macchine nella piazza principale. E vive sotto i portici”.

Ci scambiamo sguardi di incredulità.

“Sai, C., noi conosciamo tuo figlio! L’abbiamo conosciuto appena nato, in quella bella cesta di vimini preparata da tua madre. E poco tempo fa l’abbiamo battezzato. Sappiamo dove vive e da tempo noi ci occupiamo di lui. Devi essere contenta perché lui sta bene! Stai tranquilla perché noi andiamo spesso dal tuo figlioletto, ma ti preghiamo di andare a trovare tua madre che sempre ci parla di te”.

Con un abbraccio commosso salutiamo quella ragazza che ritrova una luce di speranza.

Quela voze benedeta
ancor la ven.

Te saludo,C., steme ben!