Home Cronaca “I socialisti cambiarono la società, anche con sbagli. Ma hanno amaramente pagato”

“I socialisti cambiarono la società, anche con sbagli. Ma hanno amaramente pagato”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Anni infausti, e amari, verrebbe da dire ad un socialista della cosiddetta Prima Repubblica che vada con la memoria a due decenni or sono, allorché il suo partito si trovò al centro di un’ondata giustizialista e mediatica che lo mise all’angolo, e ne provocò l’uscita dalla scena politica, dopo una lunga stagione di impegno speso al servizio del Paese.

Quella data ha infatti segnato in modo indelebile l’animo dei militanti socialisti rimasti fedeli a quell’appartenenza politica, e che non si sono mai rassegnati alla sorte toccata all’allora Partito Socialista Italiano - P.s.i. (e al suo Segretario nazionale) ritenendola innaturale e immeritevole per una forza politica che aveva alle spalle un secolo di storia, e si era fatta artefice ed interprete del riformismo.

Proprio in virtù del suo riformismo, quel Partito socialista aveva dato un leale e decisivo contributo all’avvio di importanti conquiste sociali, concorrendo nel contempo, e con altrettanta risolutezza, al processo di sviluppo e di crescita economica del Paese, unitamente all’affermazione della “italianità”, dentro e fuori i confini nazionali. Per non cadere in tentazioni declamatorie, e nel sentimentalismo, si potrebbe ragionevolmente dire che i limiti che a quei tempi può aver mostrato il P.s.i., e gli sbagli che può aver commesso, sono stati ampiamente compensati dal “positivo” che ha saputo esprimere.

Lo esprimeva in maniera pragmatica, mai disgiunta del necessario realismo, ma sapeva anche trasmettere idealità e nobili suggestioni, mirando a coniugare profitto e solidarietà - non a caso proprio in quel periodo entrò nell’uso il termine Lib-Lab, a sintetizzare il connubio dell’idea liberale e socialista - e a ricordo di chi scrive riuscì pure a indurre un clima di sostanziale ottimismo, misto a spirito di fiducia verso il futuro...

La cultura riformista - tradotta come capacità di azione innovativa, ispirata nondimeno al moderatismo e alla gradualità dei cambiamenti, e dunque lontana dai massimalismi e dagli estremismi - non è qualcosa che si improvvisa, bensì il frutto di una consolidata tradizione politica, nonché dell’esperienza maturata e vagliata nel corso delle generazioni. Non è cioè paragonabile ad un abito che si può indossare dalla sera alla mattina, come forse intendeva fare chi, nell’area della sinistra, si era verosimilmente proposto di sostituire il Partito Socialista Italiano (non appena questo si fosse dissolto).

Durante questi vent’anni non sono comunque mancati coloro che hanno scelto di non gettare la spugna - complice forsanche una punta di risentimento, e di ostinazione - e hanno cercato di mantenere in vita un pezzo di quel passato, organizzandosi in formazioni politiche che si sono richiamate al “partito del garofano”, come all’epoca veniva definito il P.s.i. dal fiore campeggiante nel suo simbolo.

Tali “formazioni” non hanno avuto grande fortuna sul piano dei numeri elettorali, ma i loro promotori non si sono scoraggiati, e sentono addosso anche un po’ d’orgoglio per aver testimoniato e custodito, durante tutti questi anni, gli ideali del vecchio P.s.i., nei modi loro possibili. Nulla di eccezionale, ma la cosa non è purtuttavia priva di significato, benché il mondo odierno appaia scarsamente interessato ai valori e alle identità.

E lo hanno peraltro fatto senza disporre di mezzi e di risorse economiche, a dispetto di quanti non avevano risparmiato ai socialisti le critiche più ostili e pungenti, tra cui quella di aver esercitato la politica soprattutto per calcolo e convenienza, se non per profitto (vale a dire spinti soltanto dal tornaconto, e comunque da mero opportunismo).

Ora, accanto a quel pizzico di comprensibile orgoglio, va facendosi strada anche un sentimento di crescente e cocente amarezza, che trova ragione nel vedere quanto sta accadendo sulla scena politica, e che diventa ancora più bruciante se si raffronta l’oggi col prezzo politico altissimo, e spropositato, che ebbe allora a pagare il Partito socialista.

 

(P.B.)

5 COMMENTS

  1. Non capisco , mi pare una lettura del tutto fuorviante. Il craxismo e’ stato una delle fonti da cui e’ sgorgata una fetida e putrida acqua i cui miasmi ammorbano l’aria da circa vent’anni.
    Berlusconi e debito pubblico questi i regali principali di quel periodo.
    il resto caro P.B. e’ nostalgia…. nostalgia di un epoca cui possiamo salvare solo i vent’anni…. per quelli che ce li avevano.

    (ellebi)

  2. E’ nella cultura giuridica di un paese il termine “pena”, appartiene invece alla cultura di mercato il termine “prezzo”. Pur cogliendo un profondo sentimento di sofferenza in ciò che si legge, non si può non replicare. Si può capire il risentimento, ma non si può accettare l’ostinazione. Forse proprio perché “il mondo odierno” riscopre il bisogno di valori e di identità rigetta “formazioni” che non avendo allora curato il male, di quel male ci giungono come metastasi e non si può escludere che lo non possano essere. Non sono in contrapposizione “valori”. Leggo con sincero rispetto la nostalgia che si coglie, ma se vogliamo lasciare qualcosa di noi alle nuove generazioni, come Lei ha scritto in un altro commento, non credo che debbano essere i nostri ricordi o le nostre nostalgie, ma penso che si debba ricordar loro i nostri errori: saranno poi loro a decidere cosa farne.

    (mv)

  3. E’ bello che ci sia qualcuno che rilegge con pacatezza le vicende del PSI senza lasciarsi intimorire da grillini, dipietristi, leghisti… comunisti. Colpe ne ha avute tante, come tanti sono stati i suoi meriti (basta non avere le fette di prosciutto davanti agli occhi), ma attribuire al PSI di Craxi anche l’esplosione del debito pubblico è un falso totale privo di qualunque base oggettiva. Però fà comodo. Comunque, solo in Italia, continua a non esserci un robusto partito socialista riformista, in compenso abbiamo una serie infinita di partiti finti, con radici inesistenti e valori genericamente democratici. Quanto alla corruzione non è finita con la fine del PSI. Dunque… speriamo nella Terza Repubblica.
    Carlo

  4. Mi sembra che il Signor MV dia un giudizio molto severo della “ostinazione”, nel senso di considerarla una cattiva qualità, il che talora può essere anche vero – vedi quando si facesse un po’ “esaltata” o divenisse troppo “invadente” negli altrui confronti – ma non si dovrebbe tuttavia generalizzare.
    Ostinazione può infatti significare anche fermezza, tenacia, costanza, vale a dire una dote di carattere che aiuta a non essere rinunciatari, cioè a non desistere di fronte alle prime difficoltà, e ai primi imprevisti, sia sul lavoro come in altri campi di attività. Non mi pare quindi che il rivelarsi moderatamente ostinati rappresenti un esempio – o se vogliamo un “insegnamento” – comunque negativo per le nuove generazioni, anzi.
    Al Signor Ellebi mi sentirei di rispondere che a quell’uomo politico verso la cui azione egli usa parole tanto dure e veementi, anche gli avversari stanno riconoscendo la personalità e la caratura dello statista, il che fa quantomeno vacillare una critica espressa dal Signor Ellebi con toni così perentori e trancianti. Se quell’uomo fosse ancora in vita, c’è da credere che più di un politico si rivolgerebbe a lui per avere consigli e suggerimenti.
    Resto infine dell’opinione che i rimpianti che si possono nutrire per quell’epoca non siano soltanto il frutto della nostalgia – anche un po’ malinconica e sconsolata -per l’età che ci trovavamo ad avere allora.

    (P.B.)

    • Non ho dato nessun giudizio, ho solo ripreso una parola della lingua italiana nel significato che la lingua italiana a quella parola attribuisce. Se poi, di quella parola, si desidera farne un esercizio al trapezio, posso solo ammirare l’abilità e l’ostinazione.

      (mv)