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Legambiente: “Un canile in montagna è sempre più necessario”

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Legambiente di Reggio Emilia prende posizione sul tema della costruzione del canile comprensoriale in montagna.
Di seguito il comunicato inviato alla stampa a firma di Massimo Becchi presidente.
 
“Un canile comprensoriale che serva l’area della montagna – dichiara Massimo Becchi presidente di Legambiente Reggio Emilia – è fondamentale e rispondente alla necessità di trovare un’adeguata collocazione ai numerosi cani randagi e non che gravitano su questo territorio. Le nostre Guardie Ecologiche anche in questi ultime settimane ci segnalano la costante presenza di cani vaganti sul territorio.
Appare invece alquanto ridicolo il balletto in atto da alcuni anni sull’ubicazione di questa struttura, che neanche fosse un inceneritore o una centrale nucleare viene rimbalzata da un comune all’altro, senza peraltro trovare una soluzione definitiva. E’ necessario quanto prima, anche per non perdere i fondi disponibili, trovare una collocazione concertata con le comunità locali per iniziare i lavori di quella che potrà essere una struttura moderna e funzionale per le esigenze di un territorio molto ampio”.
 
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Nel lanciare questo sollecito per la costruzione del nuovo canile comprensoriale della montagna, Legambiente lo motiva col fatto che deve darsi collocazione ai numerosi cani randagi, e non, che gravitano sul territorio montano.

La prima considerazione che ci viene da fare è che per arginare intanto questo preoccupante fenomeno occorre innanzitutto avere un efficace servizio di controllo e di cattura dei cani randagi o vaganti.

Una volta “accalappiati” - per usare una terminologia del passato - gli animali potrebbero anche essere trasferiti presso strutture ubicate fuori dai confini della nostra Comunità montana, in attesa che questa torni ad avere un proprio canile.

Non deve infatti scandalizzare l’idea che i cani randagi della montagna possano trovare ospitalità anche in altri canili, vedi quelli della città o della bassa, ovvero della prima collina, perché conosciamo tutti l’inveterata abitudine di abbandonare i cani in montagna anche da parte di chi abita da tutt’altra parte (stiamo naturalmente parlando dei cani non identificabili, perché sprovvisti di microchip, e per i quali non è dunque possibile risalire al proprietario).

Non è pertanto giusto che i comuni della montagna si sobbarchino tutte le spese relative alla “gestione” di animali che, seppur divenuti randagi sul proprio territorio, provengono solitamente da ben altre zone.

Non a caso, salvo improbabili errori di memoria, agli inizi degli anni novanta - quando, come dato di cronaca, la Comunità montana era retta da una coalizione Dc/Psi - nacque la proposta che in ciascun comprensorio provinciale la capienza dei canili, i quali erano allora in fase di avvio, fosse rapportata ai rispettivi abitanti, perché vi è sempre una sostanziale corrispondenza numerica tra popolazione umana e popolazione canina, in modo da evitare ingiusti “scompensi” tra l’una e l’altra area territoriale.

Credo che quella ragionevole proposta, che a quei tempi non ebbe fortuna, andrebbe in qualche maniera rispolverata, e mi auguro che anche Legambiente possa essere d’accordo, così come dovrebbe a mio avviso domandarsi se non sia il caso di ripensare i meccanismi di lotta al randagismo, visto che finora sembrano aver sonoramente fallito l’obiettivo (la stessa Legambiente ce ne dà qui conferma).

(Giovanni Ferrari)