L'argomento canile è sentito. Articoli e commenti lo dimostrano. Un ulteriore intervento proviene da Giovanni Ferrari, esponente Pdl vettese, che intende replicare al nostro lettore Alessandro. Gli lasciamo volentieri spazio per proseguire il dibattito.
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Vanno innanzitutto ritarati gli strumenti per la lotta al randagismo. Alessandro, nel suo commento, avanza l’ipotesi che ogni comune della montagna si doti di un proprio canile “per la custodia e riconsegna almeno dei cani registrati persi, scappati o lasciati liberi” nel proprio territorio.
Visto così il problema sarebbe tutto sommato abbastanza semplice e comunque governabile - al di là del fatto che i comuni agiscano insieme o singolarmente - dal momento che il ragionamento di Alessandro presuppone che tutti i cani, o quasi, siano iscritti all’anagrafe canina e identificati tramite l’applicazione del microchip.
In effetti, se così fosse, per ogni cane “vagante” o "randagio” sarebbe possibile risalire immediatamente al proprietario, e restituirglielo, e in tal modo la sua permanenza in canile sarebbe limitata nel tempo e contenuta; inoltre la relativa spesa anche perché basterebbero canili di piccola dimensione.
Sappiamo invece che le cose non stanno così. I dati a nostra conoscenza parlano di quasi 600.000 cani randagi, sul territorio nazionale, di cui solo un terzo ospitato nei canili, il che significa che vi sarebbero all’incirca 400.000 animali vaganti e incontrollati (e con ogni probabilità non identificati).
Se queste cifre hanno un senso, e c’è pure chi le considera in difetto, stanno a dirci che la prevenzione del randagismo è un problema tuttora irrisolto e decisamente preoccupante, ben lontano da andare a soluzione, nonostante la corrispondente legge nazionale risalga al 1991, cioè a oltre 20 anni fa (alcune leggi regionali sono addirittura antecedenti, vedi quella dell’Emilia-Romagna che data febbraio 1988).
A fonte di ciò, se prima non si ritarano i meccanismi e gli strumenti per rendere efficace la prevenzione e la lotta al randagismo, anche i 220 posti previsti per il canile della montagna, indipendentemente dal luogo dove lo si vada a collocare, potranno diventare poi insufficienti di fronte al numero dei randagi e ogni sforzo finanziario rivelarsi pertanto inadeguato, per non dire inutile (come il voler svuotare il mare con un secchio, secondo il vecchio e ben noto adagio).
Il che non mi sembra proprio il massimo, soprattutto in momenti di grandi difficoltà economiche, e specie quando si intenderebbe costruire il canile in una zona ad elevato pregio ambientale e che quindi andrebbe possibilmente preservata (qui anche Alessandro potrebbe forse trovarsi d’accordo).
Salve Sig. Ferrari, la ringrazio per la Sua risposta.
Come avevo già scritto la mia è una proposta a basso impatto economico e ambientale che consentirebbe di avere dei mezzi d’intervento che ora mancano almeno per i cani registrati ma che sicuramente non risolve il problema dei randagi “veri”, ovvero dei cani non registrati.
Per risolvere o limitare il problema randagismo credo che purtroppo si renda necessario la costruzione di un canile di importanti dimensioni.
Sono concorde con Lei che Canova non è il centro della montagna ma non conoscendo l’esatta posizione in cui si prevede la costruzione del canile non posso esprimere giudizi circa l’impatto socio-ambientale che potrebbe avere. Di certo posso dire che nessuno o pochi farebbero i salti di gioia all’idea di avere un canile vicino a casa. La Sua proposta di farlo lungo la SS63, che se non sbaglio si sviluppa dal Passo del Cerreto a Reggio, è per lo meno vaga. Allora perchè non farlo lungo la SP513 o la SP9? Come Lei stesso ha scritto, sono stati fatti degli studi di fattibilità da persone sicuramente più qualificate di me a cui rimetto il giudizio.
Per quanto concerne la Sua proposta alternativa al canile credo che non sia sbagliata ma, anche in questo caso mi pare vaga. Come pensa di fare per obbligare tutti a registrare i loro cani? Come pensa di poter organizzare i controlli? Mandando la polizia casa per casa alla ricerca di cani non registrati? Difficile, se non impossibile. In ogni caso questo darebbe dei frutti in futuro ma non risolve il problema dei cani che attualmente sono liberi.
Sono inoltre concorde con Lei che il numero dei cani randagi è molto elevato e che forse un solo canile per tutta la montagna non è sufficiente ma, questo mare che si vorrebbe svuotare con il secchio, decenni fa (anni in cui non vi era la crisi attuale) era un laghetto che evidentemente, si è preferito lasciare incontrollato per non prendere decisioni che avrebbero infastidito i cittadini. I cani nel frattempo si sono riprodotti, in quanto spesso non sterilizzati, ed è diventato un mare, vogliamo aspettare che diventi un oceano?
Inoltre Lei dimentica di citare che da decenni i nostri Comuni sono convenzionati con canili della “Bassa” a cui giocoforza sono costretti ad appoggiarsi per la custodia dei cani recuperati. Non conosco esattamente a quanto ammonta la spesa che attualmente tutti i comuni della montagna pagano per la custodia dei loro cani ma credo che in questi decenni, con i soldi che si sono spesi e che si spendono, forse non si sarebbe fatto 1 canile ma molti di più.
Salutandola cordialmente Le auguro buona giornata e buon lavoro.
(Alessandro)
Alessandro asserisce che da decenni i Comuni montani sono convenzionati con canili della ‘Bassa’ per un ammontare di spesa, cioè un’uscita di denaro, che diversamente impiegata avrebbe permesso alla montagna di dotarsi nel frattempo di un canile, anzi di più canili. Non è proprio così, ma forse Alessandro è troppo giovane per ricordare che la nostra montagna, per circa un quarto di secolo, a cominciare dalla fine anni ottanta, ha potuto disporre di un proprio canile, in quel di Villa Minozzo, che poi è stato chiuso – da meno di un decennio, per quanto mi consta – senza che sia mai stata esibita, nonostante le nostre ripetute richieste in tal senso, una relazione tecnica che ne abbia sancito la non idoneità (da parte degli organi deputati ad esprimersi in merito).
Dipoi, una regola semplice ed elementare avrebbe quantomeno voluto che, prima di abbandonare la struttura di Villa Minozzo, i governanti locali si fossero preoccupati di approntare l’alternativa, o comunque di individuarla – qui anche Alessandro può forse convenire – ma non è andata affatto così. L’impressione è che il problema sia totalmente sfuggito di mano agli attuali amministratori, che lo stanno rincorrendo cercando soluzioni molto poco realistiche, non fosse altro che per la spesa ‘ingente’, specie se la guardiamo in un periodo come questo, privo o quasi di risorse finanziarie. Va infatti tenuto presente che oltre al costo di realizzazione, un ‘mega’ canile, come quello ipotizzato a Canova di Ramiseto, comporta anche notevoli costi di funzionamento. Personalmente non ho mai affermato che il nuovo canile debba sorgere lungo la Statale 63, ma credo che anche qui, giunti a questo punto, vada applicato un principio molto semplice e ‘universale’.
Quando si hanno le idee un po’ confuse ci si ferma e si ripensa l’intera materia, e in questo caso ci si confronta fra istituzioni e altri per vedere come affrontare il randagismo, un fenomeno verso il quale le attuali misure sembrano aver completamente fallito. E che in giro vi sia parecchia confusione, e incoerenza, ce lo confermano bene le parole che il presidente della Comunità Montana avrebbe rivolto agli abitanti di Canova, dicendo loro che all’abbaiare dei cani ci si può anche abituare. Una bella ‘gelata’ o ‘marcia indietro’ dopo che in precedenza avevano ricevuto ferree assicurazioni sull’assenza di ogni disturbo acustico da parte del previsto canile. E’ infine sconsolante leggere sulle pagine dei giornali che il sindaco di Ramiseto considera finita l’agricoltura della zona, e dunque quei bei campi di Canova possono essere tranquillamente sacrificati, mentre in altre sedi si continua a ‘pontificare’ inneggiando alla ripresa delle attività agricole (una bella contraddizione, per non dire di più).
(Gianni Ferrari)