“Mind the gap!” ripeteva una voce registrata in tutte le stazioni della metropolitana. Era proprio questa la frase che ha guidato il mio breve viaggio a Londra. Come un vero leitmotiv: “Attenzione alla differenza!”. Si è sempre un po’ agitati quando ci si trova di fronte a cose diverse da noi o dai nostri schemi e in un paese come il Regno Unito di situazioni così ce ne sono molte: la moneta, il meteo, la guida a sinistra, il sistema di misura, la cortesia della gente comune con i suoi continui sorry e please… Ma anche il suo credo religioso, anzi un mondo di religioni! Perché, come ricorda qualcuno, in merito alla differenza: “Niente nella vita deve essere temuto. Deve solo essere capito”.
È proprio per questo suo essere fuori dai nostri schemi che questo paese provoca un cambiamento, mette in discussione, ti pone in uno stato di ammirazione, di stupore e a volte perfino di sorpresa gioiosa. Una comunità scalabriniana di quattro missionari, di cui uno filippino, uno leccese e due veneti, mi faceva sentire in famiglia proprio nel cuore di una metropoli di otto milioni di abitanti. Le loro messe domenicali in pieno mondo inglese sono normalmente in quattro lingue differenti: italiano, portoghese, spagnolo e tagalog. Mind the gap!
Londra è una città meravigliosa, multiculturale, ricca di musei gratuiti che raccolgono importanti opere da tutto il mondo. Ma anche, continuamente, scolaresche e famiglie intere: così, gli uomini di ieri e di oggi si incontrano e si ammirano. I musei qui non sono cimiteri e i cimiteri sono invece dei verdissimi, deliziosi giardini. Mind the gap! Nel British Museum i visitatori si incontrano a tu per tu con la famosa stele di Rosetta, che ha fatto decifrare il significato dei geroglifici e il mondo misterioso dell’antico Egitto, poi si osservano da vicino i tesori dei Maya, degli Aztechi, le mummie dei faraoni, i reperti dell’antichissima Cina. Alla National Gallery, invece, vi sorprenderà una vasta collezione di autori italiani dal 1200 in poi, mentre il giallo-oro dei “Girasoli” di Van Gogh, da poco restaurato, vi abbaglierà di incanto.
Il centro della città è segnato da immense chiese: la Cattedrale di Saint Paul, la prima cattedrale costruita dagli anglicani tra il 1665 e il 1710, l’antica abbazia di Westminster, sede di incoronazioni e di matrimoni reali, e la moderna cattedrale cattolica di Westminster. C’è anche la City, la sede della finanza, che qui, come una religione, ha un culto e dei fedeli appassionati e assidui. Ma questa è un’altra storia.
Un aspetto che mi ha coinvolto particolarmente come studente di teologia è la differenza tra la nostra Chiesa cattolica e quella anglicana. Mi è stato possibile partecipare al religious service all’abbazia di Westminster: occasione speciale per contemplare gratuitamente le volte e l’interno della cattedrale, oltre ad una raffinata maestria, nel coro medievale, di una corale di bambini in veste rossa e bianca. Dagli anglicani, infatti, non esistono i monaci. Poi, partecipando all’eucarestia domenicale anglicana nella centralissima parrocchia di St. Martin in the Fields a Trafalgar Square, il canto di un’intera assemblea, i silenzi prolungati, la partecipazione intensa, quasi mistica, dei fedeli vi colpiranno subito. Ma già entrando vi avvolgerà il senso di una grande accoglienza, mentre qualcuno vi consegna il libro dei canti con un sorridente “welcome!”. Senti concretamente la gioia di partecipare alla loro preghiera.
La realtà anglicana, poi, pur sparsa con le sue comunità in tutto il mondo, non è così grande come la cattolica e forse per questo ha l’abitudine ogni dieci anni di fare un sinodo generale con tutti i vescovi del mondo. E così, va da sè, anche di mutare le tradizioni e con maggiore facilità mettersi al passo del mondo. Una quindicina d’anni fa, ad esempio, sono state ammesse le donne al presbiterato: sono nate in questo modo le donne-pastore. E proprio in questa parrocchia di St. Martin in the Fields ho potuto ascoltare una superba omelia di Mary, pastora anglicana, con cui poi ho potuto intrattenermi dopo la celebrazione, in compagnia di un caffè. Donna sensibile, delicata, dallo sguardo dolcissimo, mi accennava brevemente al suo cammino spirituale: diaconessa nella Chiesa anglicana all’età di venticinque anni, con la possibilità dopo il 1994 di diventare pastora e oggi, seppure ormai anziana, di continuare un percorso di studi di dottorato. Mi colpiva, parlando con lei, lo stupendo percorso di una fede non solo studiata, ma anche vissuta nel suo quotidiano ed incarnata nella sua Chiesa.
In fondo, in questa breve esperienza di cambiamento, mi sembra di aver provato a mettermi “on the other hand side”. Dall’altro lato o dall’altra sponda. Per osservare meglio, da un punto di vista differente, la mia stessa identità e la mia storia. È stata un’occasione d’oro per crescere e per respirare più profondamente ciò che mi fa vivere, ma soprattutto per accogliere ciò che di positivo nasce fuori dai miei schemi. Oltre a scoprire una massima sempre più attuale: “I sistemi si oppongono, ma gli uomini si incontrano”. Mind the gap!
(Alessandro Zuccaretti)