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“Dopo di noi qualcuno racconterà ancora?”

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La suggestiva risposta di Dalmazia Notari, originaria di Marmoreto, docente e storica,  autrice della ricerca "Donne di bosco e di riviera" sull'emigrazione femminile del nostro Appennino, al racconto di Normanna Albertini:
 

“Cara Normanna, ho letto solo oggi il tuo racconto su Redacon. L’ho letto nel clima senza stagioni di Milano con uno struggimento infinito per i miei inverni di Marmoreto. Gli anni in più fanno la differenza, noi non avevamo neanche gli stivali ma sempre e solo gli scarponi con le bullette e le lunette di ferro in punta…. praticamente le scarpe con le catene! Ci entrava la neve però, le calze erano subito fradice e le dita dei piedi coi geloni diventavano salsicciotti violetti. Le lunghe ore a giocare nella neve le pagavi con un prurito terribile quando tornavi in casa e li  avvicinavi al fuoco. Il posto migliore della casa, l’angolo della stufa, era perennemente occupato da qualche vecchio solo e senza legna che veniva a scaldarsi da noi. Ho ben presente il disappunto sul viso di chi arrivava quando l’angolo era già occupato. L’ Eugenia si portava anche la saracca da strinare sulla stufa, la polenta la trovava lì. Pagavano dazio con le favole che chiedevamo e che non ci bastavano mai; le loro storie di vita sono state i romanzi della mia infanzia. Anche da noi si mettevano i frin, anzi i frascii ma io non sopportavo la vista degli uccellini strangolati in mezzo ai ferri; in casa mia per fortuna non se ne mangiavano. I fartlot da noi si chiamano padlett, sapore indimenticabile, sì. Le scuole elementari erano in paese, dieci bimbi dalla prima alla quinta tutti insieme, ci si arrivava lungo trincee di neve che, nel ricordo, duravano mesi e mesi, prima candide e poi punteggiate dal giallo delle pisciate di cane e… d’altri. Anche nei miei inverni i maestri sono rimasti come figure fondamentali. L’indimenticato maestro Sveno della mia classe prima, che arrivava da Busana con gli sci; l’ inverno dopo me lo ricordo stabile in una casa vicina con la moglie, maestra anche lei, e il loro primo bimbo neonato. Ricordo una maestra di pianura, le unghie lunghissime rosso carminio, che passò il suo inverno di esilio lassù abbracciata alla stufa, senza insegnarci alcunchè e un’altra, meravigliosa, sempre della pianura, che divise l’inverno con noi e le nostre famiglie, facendo scuola a piccoli e adulti in ogni momento. Ci parlava di Stati Uniti d’Europa e ci insegnò a lucidarci le scarpe e a foderare libri e quaderni con la carta da pacco. Quando cominciai le medie, la prima di casa a proseguire oltre la quinta elementare, i miei angeli custodi furono gli autisti della Ligonchio: il vecchio Giacomini e il giovane Roo, e soprattutto Leo il bigliettaio, corpulento e sempre sorridente, la bontà in persona. La corriera passava alle sei e mezzo del mattino e mia madre si alzava alle quattro per farmi trovare caldo in cucina; la mia licenza media avrebbero dovuta darla a lei.  Per essere sicura che non perdessi la corriera mi accompagnava sulla strada con grande anticipo e aspettavamo insieme battendo i piedi nella neve. In inverno a quell’ora è ancora buio. Se non ero già lì, Roo suonava un paio di volte il clacson e aspettava un po’, quando mi vedevano spuntare in cima alla rampata Leo, con lo sportello aperto, mi sollecitava allegro da lontano. Una volta che la corriera non ce la fece a scendere da Ligonchio (l’unica volta, che io mi ricordi) mia madre svegliò Corrado, uno dei due giovani che in paese avevano la moto, e mi fece accompagnare da lui fino a Castelnovo. Le bambine non usavano ancora i pantaloni, allora, e all’arrivo non riuscivo nemmeno a distendere le ginocchia ghiacciate. Incosciente mia madre? No, fiducia nei mezzi moderni…. e in ogni caso l’unico motivo per perdere la scuola era la febbre alta. Ma devo confessare che, oggi, all’idea dei miei nipotini su un pullmino per delle strade ghiacciate sarei la prima a dire di tenerli a casa. A loro racconto la mia infanzia e l’ascoltano come una favola. Secondo te qualcuno dopo di noi racconterà ancora….?

Per questo, Normanna, grazie del tuo raccontare.

(Dalmazia)

* * *

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5 COMMENTS

  1. Grazie Normanna e grazie Dalmazia. Ho letto e rivssuto i bei tempi della mia lontana infanzia. Sono nato al Casino di Castelnovo Monti ormai 85 anni fa e li ho frequentato le prime tre classi elementari ma la quarta e quinta venivo a Castelnovo. A piedi è ovvio. Io ero fortunato perché sono solo 2 o 3 Km, e tanti miei amici venivano da Rosano. Da Ottosalici o Maillo erano solo carraie e “la neva i la furevi”. A Reggio nell’equivalehte terza media, metà classe fu rimandata in stenografia. Nell’estate mio padre per punizone pagò le lezoni di ripetizione a Reggio ma non la corriera. In bicicletta ci vai!!!!!! E che bicicletta, pesante senza cambio e un rapporto da pianura. Andavo da Ciano anche se non era asfaltata perché da li potevo prendere il treno ma se era partito o c’era troppo da aspettare continuavo in bici. Avevo fatto un allenamento che quando arrivavo a casa spesso ero io che prendevo il bidone del latte appena munto da portare alla latteria di Sassi a Castelnovo.
    Altri tempi, altre strade, altro traffico e pericoli!!!!
    ( Ermete Muzzini )

  2. Grazie a Dalmazia e a Normanna, il nostro passato rivive con i loro racconti, che molto egregiamente sanno proporre. Da montanara, ho vissuto esperienze simili e leggerle scaldano il cuore!!! Eravamo così, sono orgogliosa di essere stata così!!! Continuate a scrivere e noi continueremo a leggere con immenso piacere… e un po’ di nostalgia!!!!

    (Esterina Fioroni)