Allora nevica. All'inizio si esulta, evviva! La neve è suggestiva, sa di inverno vero. Rassicura quanto è rassicurante l'alternarsi delle stagioni. La neve crea una magia, fa sentire tutti bambini. La neve ipnotizza, restare a guardare nevicare è spettacolare. Nevica! In classe i bambini esplodono in una gioiosa esclamazione, correndo alla finestra, rapiti, entusiasti. Al suono della campana la prima cosa che fanno è tirar palle con schiamazzi, giocando felici. Il giorno dopo una nevicata, se ce n'è tanta, a scuola pochi bambini. Alcuni abitano lontano dalle strade più pulite. In altre strade il pulmino magari non riesce ad arrivare in tempo. Pochi alunni si radunano in una sola classe, si guarda un film, si prende il tempo per parlare di cose di cui non si parla quando ci si è tutti.
Atmosfera romantica, intima, ipnotica, ovattata.
Un bel quadretto.
Se dura poco.
Dopo un giorno di neve, se non smette, iniziano i guai. La neve invade, ricopre, ingombra. Impedisce, ostacola la libera circolazione. Passato il primo pittoresco idillio, si inizia a spargere sale, e volano le prime imprecazioni.
La gente si sposta con difficoltà, si gira meno, si vende molto poco e solo beni di prima necessità. La neve, a parte nelle località turistiche dove è benedetta e invocata, è anti-commerciale. In una società fatta per produrre tanta neve rallenta, impiccia, ferma, paralizza.
I fatti di questi giorni si prestano a letture interessanti. Gruppi di autorità che a suon di ordinanze decretano chiusure, allerta, allarme. Fasce di popolazione che criticano, dissentono, insultano. La neve porta anche discordia.
Chi dice di andare lo stesso, chi dice 'fermiamoci'. Temerari sprezzanti, vantandosi titoli di montanari si oppongono a impauriti e restii, prudenti astensionisti.
Due quadre si schierano nel campionato: audaci valorosi presenzialisti versus rinunciatari timorosi assenteisti. E via fiumi di parola. Sdegnati contro allineati.
Alcune considerazioni vanno fatte cercando di superare la forte emotività che suscita gli schieramenti.
Una volta nevicava di più, e si viveva in modo meno frenetico. Si accettava la neve, anche tanta perché il tipo di vita non cambiava molto con o senza neve. Nelle piccole realtà c'era una scuola, una strada, poca gente. Pulita quella strada, arrivata quella persona si era a posto. Più gente c'è che gira, più macchine da più direzioni, più caos si crea. Più spazio libero ci vuole per far transitare tutti. Più costi per far pulire le strade, e in tempi brevi e efficaci per garantire la viabilità da più accessi.
Ora la carta bollata viaggia veloce, sono tutti pronti a denunciare tutti. E chi ricopre incarichi di responsabilità di accuse ne riceve tante. E si protegge.
Un tempo la neve sorprendeva, e barometri erano le ginocchia dei nonni dolenti o meno. Oggi si riesce a calcolare l'ora esatta della precipitazione, la durata della perturbazione. Pertanto si possono prevedere in anticipo i disagi. O cercare di prevenirli almeno.
Tutta questa polemica lascia il posto a una riflessione più semplice e profonda. La natura si prende i suoi spazi per esprimersi, ricordando all'uomo la sua forza. Di fronte ai fenomeni naturali l'uomo si vede a confronto con le proprie fragilità e impotenza. Cui non c'è altra scelta che arrendersi. Di fronte a un metro e mezzo di neve non resta che rallentare e accettare l'attesa.
L'arroganza e la sfida non sono adattate a questo tempo. L'alternarsi climatico è un'opportunità per ripensare a come si vive. Può essere accolto come un invito allo stare in un spazio indefinito, dell'incertezza.
Uno psicanalista inglese Wilfred Bion parla di capacità negativa che il bambino deve apprendere per imparare a crescere e a fare senza.
Attraversare lo spazio del non fare spaventa.
Abituati a produrre, ad andare a scapito di tutto, gli individui odierni vogliono avere sempre tutto a disposizione. Un senso di onnipotenza pervade questa società pronta a scandalizzarsi per le manchevolezze altrui, perennemente in preda ad attribuire le responsabilità a terzi, agli altri, ai politici, ai superiori, chiamandosi ognuno spesso fuori dalle proprie di responsabilità.
Guardare a ciò che accade alla natura con umiltà potrebbe essere una buona meditazione.
Prendersi questo tempo lento per fare ciò che di solito non si fa. Se nevica, incontrarsi coi vicini per fare una passeggiata a piedi fino alla pizzeria in fondo al paese. Trovarsi in piazza col bob, riscoprire l'osteria del paese, incontrarsi nei cortili a spalare e poi fare del vin brulè e tante chiacchiere davanti al fuoco. Vivere questa paralisi forzata come possibilità per scoprire momenti perduti, riutilizzare un tempo regalato per creare qualcosa di altro, di nuovo e antico insieme.
Perché no? Tanto la neve presto si scioglierà.
Io amo il non fare, che in realtà è fare cose che non puoi fare in altri momenti (riposare, pensare, scrivere, leggere, ecc.) e questo amore per lo spazio vuoto l’ho trasmesso, senza rendermene conto, anche a mia figlia, che pur avendo solo 7 anni è in grado di gestirsi il tempo da sola, organizzando giochi, riposando, leggendo, guardando la televisione, senza bisogno di altri bambini. L’unica nota negativa del tempo che ti obbliga a fermarti è quando hai dei problemi veri che ti obbligano a doverti muovere anche se non vorresti e ti rendi conto del rischio. Amo lo spazio sospeso, ma mi crea ansia quando coincide con situazioni di crisi.
(Laura)
E’ proprio vero, in questa società di stressati e di condannati all’ottimizzazione dei tempi, una bella nevicata con disagi annessi e connessi regala una benefica e umana frenata al moderno e parossistico ticchettio del tempo.
Il vero lusso, oggi, è riappropriarsi dei propri spazi.
(Mimmo)