Riceviamo e pubblichiamo.
-----
Emergenza neve: forse abbiamo perso per strada l’uomo
“CAOS NEVE” è il titolo di un giornale che riassume bene, in due sole parole, gli effetti dell’ondata di maltempo e freddo che da giorni sta imperversando sul nostro Paese, specie lungo il versante adriatico (ma nessuna regione della penisola è stata risparmiata).
Mentre si cerca di far fronte, non senza fatica, allo stato di generale disagio, alle innumerevoli criticità e alle tante emergenze, le notizie che ci forniscono gli organi di informazione - insieme alle polemiche che ancora stentano a smorzarsi - danno l’impressione di un sistema a due velocità, in preda a contraddizioni e “ambiguità”.
I suoi bracci operativi sembrano infatti funzionare molto bene e all’occorrenza con tutta la dovuta tempestività, anche grazie al prezioso apporto del volontariato, ma non sempre può dirsi altrettanto per i livelli decisionali più alti, vale a dire la “cabina di regia”, ossia, volendo chiamarla in altro modo, la “catena di comando”, di cui tanto si parla e che abbastanza spesso pare incepparsi, dando così l’idea di situazioni mal governate e dunque un po’ “caotiche”.
Sul versante scuola, per fare un esempio concreto e noto, all’inizio solo una parte degli istituti avevano sospeso le lezioni - immaginiamo su iniziativa dei rispettivi dirigenti - poi chiusure generalizzate, quindi successiva riapertura ma con l’invito ai genitori di tenere a casa i propri figli; e nel contempo decisioni assunte da alcuni sindaci sono state scavalcate da quelle prefettizie; anche per la circolazione stradale dei mezzi pesanti abbiamo assistito a un succedersi di sì-no-sì, pur con l’obbligo di pneumatici da neve e di catene a bordo.
Una tale altalena di comportamenti lascia francamente perplessi e porta a domandarsi quali siano le figure preposte e titolate a decidere quando abbia a verificarsi una qualsivoglia eccezionalità. E’ vero che ogni emergenza fa storia a sé, ma mentre ciascuno di noi è gravato da una infinità di vincoli e imposizioni e deve continuamente sottostare a “procedure” e protocolli, sembra inverosimile che le varie istituzioni non si siano date le regole minime per definire quantomeno le rispettive competenze, giusto nel caso di una emergenza. Verrebbe da dire che mentre si reclama a gran voce il decentramento dei “poteri”, per appuntarsi le “stellette”, sotto sotto non si disdegna la centralità delle decisioni (o addirittura la si invoca quando tornasse comoda per sollevarci dalle responsabilità).
In parallelo non può non preoccupare l’esasperata emotività con cui, anche al di fuori delle emergenze, sembriamo ormai vivere qualsiasi accadimento che esca dal consueto e dall’ordinario. Viene da pensare che abbiamo pian piano costruito una società molto irritabile e litigiosa - che cerca sempre un capro espiatorio - ma che si rivela al tempo stesso molto debole e fragile, una sorta di gigante dai piedi di argilla, esposto a ogni turbolenza, non solo meteorologica, e incapace o quasi di reggere gli imprevisti; diversamente dai nostri padri che facevano prevalere il buon senso sulla impulsività e avevano in ogni caso consapevolezza dei nostri limiti (forse la tecnologia ci ha un po’ disumanizzati e allora dovremmo ritrovare l’uomo per non snaturarci).
Le nostre città non sono più a “misura di neve” - e c’è anche chi dice che non sono neppure a misura di uomo - e durante la stagione invernale pretendiamo semmai di muoverci come se fosse estate (perché ormai il nostro modo di vivere è essenzialmente basato sulla mobilità), cosa che sa di forzatura, a meno che lo sgombro di neve e ghiaccio, insieme alla cura più complessiva delle strade, non diventi una priorità assoluta, cui destinare tutte le necessarie risorse, ma sapendo nel contempo che dovremmo privarci di altri servizi pubblici, mentre finora non siamo stati abituati ad alcuna rinuncia del genere.
Probabilmente gli eventi climatici di queste giornate, che speriamo abbiano a risolversi nel migliore dei modi, ci stanno insegnando che qualcosa delle nostre abitudini va comunque rivisto e ripensato, per rimediare pian piano alle nostre incoerenze, e forse vanno proprio in questa direzione le parole pronunciate dal prof. Monti nella sua recente trasferta americana, così come le abbiamo lette sui giornali: “Cambierò il modo di vivere dei miei connazionali”.
(Robertino Ugolotti, ufficio enti locali Udc)
Concordo con il 99 per cento di ciò che scrive Robertino Ugolotti ma la chiusa mi pare francamente strampalata. Per esempio la liberalizzazione selvaggia degli orari di apertura dei negozi, il pane fresco la domenica mattina spacciato come l’innovazione che ci cambierà la vita (la cambierà ai poveri fornai che perderanno anche l’unico giorno di riposo) vanno nel senso esattamente opposto, l’uomo è dimenticato e sconfitto, vince il mercato, gli affari, peggiorano decisamente le condizioni di vita di decine di migliaia di lavoratori. Certo che la vita cambierà ma in peggio, una americanizzazione spinta, ma mi chiedo cos’altro ci si poteva aspettare dai teorici del liberismo spinto. Speriamo ci si svegli presto da questo torpore e ci si renda conto che non è detto che tutto ciò che viene dopo un governo di discreditati “…” debba per forza essere migliore.
(Luigi Bizzarri)
A chi non piace il pane fresco alla domenica, può continuare a comprare la “doppia” al sabato… secondo tradizione! Son ben altri i problemi che attanagliano gli Italiani e che se non risolti possono sconvolger loro la vita!! Contemporaneamente bisognerebbe riscoprire un po’ più di senso civico e spirito comunitario, è qui che dovrebbero cambiare gli italiani per assomigliare di più ai civilissimi popoli nord europei.
(Giorgini Mariastella)
Coglie senz’altro nel segno l’accenno di Robertino Ugolotti alle contraddizioni e incongruenze della nostra società e all’opportunità di correggere un poco i nostri comportamenti. Restando sul tema neve, in questi giorni abbiamo avuto modo di vedere come, un po’ in tutt’Italia, l’intervento dei mezzi agricoli sia risultato provvidenziale, sia per lo sgombero delle strade sia per raggiungere località isolate, sia anche per soccorrere persone in difficoltà. Dobbiamo essere pertanto grati e riconoscenti a quei tantissimi agricoltori che si sono messi a disposizione per fronteggiare l’emergenza e hanno oltretutto alleviato il disagio di molte famiglie. Dovremmo però ricordarcelo ed essere meno insofferenti, noi automobilisti, anche quando saremo ritornati in condizioni normali e ce li ritroveremo qualche volta davanti sulla strada con i trattori, visto che spesso siamo impazienti e cominciamo a sbuffare e a dar di clacson se non ci lasciano immediatamente il passo.
Anche se è una evenienza sempre meno frequente, visto il calo continuo di addetti in agricoltura, e di conseguenza dei mezzi meccanici. E’ inutile ricordare l’essenzialità del mondo dell’agricoltura anche per il nostro Appennino, in termini economici e sociali, nell’ottica di un ritorno a una vita più sobria e solidale per tutti, di una riscoperta dei valori positivi che essa ancora rappresenta.
(Renzino Fiori)