L’Amministrazione comunale di Castelnovo ne' Monti rende noto che nella giornata di domani, giovedì 26 gennaio, arriveranno in paese per essere ospitati cinque ragazzi, tre di origini ghanesi e due sudanesi, che risiedono nel territorio del nostro Appennino reggiano dallo scorso luglio. Fin dal loro arrivo sono stati gestiti dal Comune di Castelnovo, in accordo con altre associazioni umanitarie come Caritas e parrocchie, ma sono stati ospitati in una struttura ricettiva a Casina, in attesa dell’individuazione di una struttura in grado di ospitarli più stabilmente. Ora il Comune ha individuato l'abitazione all’interno dell’ex vivaio Pratolungo, a Felina, che da poco è in carico all’Ente comunale. Questi ragazzi sono profughi provenienti dalla Libia e sbarcati a Lampedusa nella primavera del 2011 e sono poi stati destinati a questo territorio dal governo la scorsa estate. Lo stesso governo nazionale stanzia anche i fondi per il loro sostentamento, garantito da una convenzione tra Comune e Regione, interamente finanziato dallo Stato con apposito decreto per tutto il 2012. Il Comune tramite poi una convenzione con la Cooperativa “L’Ovile” gestirà la loro quotidianità anche attraverso corsi di lingua, di inserimento e mediazione culturale.
I cinque, che in questi mesi a Casina hanno avuto una permanenza assolutamente tranquilla ed hanno iniziato ad integrarsi bene con la realtà locale, saranno presto inseriti in progetti di volontariato socialmente utili, in quanto sono ragazzi in salute e con voglia di darsi da fare. Verranno affiancati ai cantonieri ed operai del Comune per operazioni di pulitura e sistemazione strade, verde e manutenzioni varie, anche al fine di restituire al pubblico ciò che il pubblico sta facendo per loro. In tal senso sarà molto importante la collaborazione già avviata con le associazioni di volontariato.
COMPLIMENTI, BRAVI, BELL’ESEMPIO DI COME SI POSSONO FARE TANTE COSE “SOLO A VOLERLO”.
Mi sono chiesto spesso come mai non vengono PROPOSTI lavori socialmente utili anche alle migliaia di operai in cassa integrazione.
La nostra terra ne avrebbe bisogno.
(Malvolti Roberto)
Scrivo da Casina e rispondo a questo comunicato perchè in questo ultimo mese ho avuto l’opportunità, con altri amici, di conoscere i 5 ragazzi, che da qualche giorno si sono trasferiti a Felina. Scrivo perchè sono contenta che finalmente, per loro, si muova qualcosa, che possano cominciare a “riempire” le loro giornate e sbloccare gradualmente la loro vita. Scrivo perchè credo davvero che la loro presenza sia una risorsa e non solo un “problema da gestire”, per la comunità che li accoglie. Perchè il loro sguardo viene da lontano.. parla di una terra che ha tanto da raccontare e perchè ci portano una storia di emigrazione che, forse, possiamo solo vagamente immaginare.
Perciò penso che, dato che è già da giugno che vivono insieme a noi, un comunicato come questo, o altro tipo di intervento, andasse fatto prima. Per permettere alla comunità di capire.. chi sono e perchè non possono (o meglio non potevano) fare altro che aspettare. Sappiamo bene quanto sia facile che, dalla non conoscenza, dal non capire, possano sorgere equivoci o alimentarsi idee preconcette e non generarsi interazioni.
Così come continuo a chiedermi perchè non sia stato proposto loro di partecipare ai corsi di italiano che il CTP (centro territoriale permanente) da settembre propone alle persone straniere, gratutitamente, in vari paesi dell’appennino. E’ un servizio che, fortunatamente, lo stato offre e sul quale investe. Credo sia una buona pratica ottimizzare le risorse che già ci sono, aldilà del fatto che se chi arriva può imparare la lingua il suo inserimento nella società potrà sicuramente essere migliore. E’ stato in seguito all’ interessamento di singoli che i cinque ragazzi hanno saputo e potuto cominciare a gennaio (con grande motivazione) i corsi tenuti a Castelnovo al CTP. Tanti aspetti, burocratici e di gestione, non li conosco e immagino la loro complessità però mi risulta difficile trovare spiegazioni in merito.
In questi sei mesi si sono perse occasioni di conoscenza e di crescita. Spero davvero che questa nuova situazione generi interazione e integrazione reciproche.
(Elisa Silingardi)
Anch’io scrivo da Casina. Come Elisa. E come lei penso che si siano perse tante occasioni di integrazione e dialogo. Perchè non è possibile che dall’estate scorsa nessuna istituzione si sia mossa per offrire a questi ragazzi opportunità di incontro con la realtà locale. Bastava poco per fare molto. Sicuramente il Comune di Castelnovo ha lavorato parecchio per trovare un alloggio, un lavoro e quant’altro a questi ragazzi. Ma credo si sia dimenticato di fare una cosa prioritaria: pensare al loro inserimento, presentarli alla comunità, creare insomma integrazione. Queste persone hanno molto da raccontare e hanno soprattuto voglia di mettersi in gioco. E se fino ad oggi ci sono riusciti bisogna ringraziare alcuni giovani di Casina (non associazioni, non parrocchia, non Comune) e alla “mamma” Piera (così la chiamano questi ragazzi), titolare dell’albergo Centrale dove sono ospitati, che prima di tutto li hanno accolti, ascoltati, coinvolti e inseriti in un percorso di integrazione che ha mosso i suoi primi passi nella partecipazione al corso di inglese con Normanna. Di questo sono felice perchè ci sono ancora persone (e soprattutto giovani) che si prendono CURA del prossimo, cercando di andare oltre ai pregiudizi. Ma ancora una volta mi chiedo: le istituzioni dove sono state fino ad oggi?
(Matteo Ferri)
Sono l’insegnante del CTP di Castelnovo ne’ Monti e, grazie ad Elisa e agli amici di Casina, ho da tre settimane i ragazzi (profughi politici) inseriti nel corso di Castelnovo. Che è sicuramente cosa buona per la loro integrazione, non solo perché hanno la possibilità di un primo approccio con la lingua, ma perché così possono conoscere altre persone, stringere amicizie, non rimanere isolati. Infatti, entrare in una classe di italiano per stranieri adulti significa proprio questo: entrare in comunicazione con altri adulti e, a catena, anche con gli italiani amici o conoscenti. Già una ragazza polacca mi ha detto di essere in contatto con uno di loro su facebook… Pare poco, ma è molto, molto importante. Credo che il fatto che i ragazzi non siano stati iscritti prima dipenda da un problema burocratico, anche se io avevo fatto presente che potevano iscriversi al Ctp allegando una semplice dichiarazione dei Comuni che li avevano accolti. Temo che, però, ancora non ci sia una corretta conoscenza delle funzioni e delle “dimensioni” del Ctp in montagna, nonostante sia attivo da più di un decennio. Mi capita, a volte, di sentirmi chiedere (e non dall’uomo della strada) se faccio tutto questo come volontariato o se dipendo da una cooperativa… Che il Centro Territoriale Permanente per l’Istruzione agli adulti sia una scuola a sé stante, e statale, che gli insegnanti dei Ctp siano insegnanti in ruolo dipendenti dallo Stato, ancora pare non essere chiaro a molti. Forse, nella baraonda delle troppe informazioni e dei troppi fogli di carta che girano per gli uffici, alla fine ognuno di noi si perde molte notizie necessarie. Comunque, ritornando ai rifugiati politici, credo davvero che il problema sia stato burocratico e che abbia riguardato l’ottenimento della residenza nei Comuni dove sono ospitati. Intanto, ora che, grazie anche alla silenziosa opera di Elisa (e Lisa, e Matteo… e altri), questi ragazzi (che lavoravano in Libia da due anni e che, allo scoppio della guerra, sono stati imbarcati a forza sulle navi dalla polizia libica, per quel che mi hanno detto) sono finalmente emersi dall’anonimato, cerchiamo di non sprecare i soldi pubblici che (in ogni caso) vengono spesi per loro e lavoriamo uniti per una vera integrazione. Qui sotto un articolo che spiega il problema della residenza.
(Normanna Albertini)
Residenza: un diritto e una necessità
Giovedì, 12 Gennaio 2012
di Giorgio Morbello
La petizione per il riconoscimento della residenza ai titolari di protezione internazionale o umanitaria promossa dal coordinamento Nonsoloasilo di Torino (l’elenco completo delle associazioni aderenti in http://www.nonsoloasilo.org), approda oggi a “Diritto di tribuna”, uno spazio attraverso il quale cittadini, gruppi, associazioni possono portare all’attenzione dell’opinione pubblica e dell’Amministrazione cittadina le questioni che ritengono importanti per la Città.
Questa petizione, nei mesi scorsi, è stata firmata da 827 cittadini che chiedono per i rifugiati politici e titolari di qualche forma di protezione la possibilità di ottenere il certificato di residenza. Nella sala dei capigruppo del Municipio, di fronte ai giornalisti, al presidente del consiglio comunale Giovanni Ferraris e a consiglieri della maggioranza di centrosinistra, i firmatari della petizione hanno potuto esprimere il proprio punto di vista. In primo luogo hanno ricordato che i rifugiati politici, quanti cioè sono stati riconosciuti come perseguitati politici nel proprio Paese e sono accolti in Italia, secondo le convenzioni internazionali godono dei medesimi diritti dei cittadini dello Stato in cui sono accolti. Il certificato di residenza non dovrebbe pertanto essere messo in discussione dato che non solo è un diritto, ma addirittura un dovere per quanti risiedono in una Città. Inoltre i promotori dell’iniziativa sottolineano che ottenere la residenza non è soltanto una questione di documenti o di forma. La residenza non offre soltanto la possibilità di accedere ai servizi sociali, ma diventa una tappa fondamentale per chi voglia costruire un percorso di stabilità e di autonomia, soprattutto se si pensa che nel futuro di chi è rifugiato politico il ritorno in patria è un’opportunità assai remota. E così, se si vuole avere la patente, se si vuole indicare un indirizzo in un curriculum, se ci si vuole iscrivere all’università, se si ha bisogno di accedere al Servizio sanitario e non solo al Pronto Soccorso, per aprire un conto in banca o una partita Iva, per accedere alle case di edilizia popolare, ai servizi sociali, occorre avere la residenza in un Comune. Non è infatti senza motivo che anche l’UNHCR, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, presente con un suo rappresentante a “Diritto di tribuna” sostiene questa richiesta.
Le amministrazioni comunali che non concedono la residenza spesso dichiarano che è impossibile dare tale documento a chi non ha un domicilio stabile e così l’amministrazione comunale di Torino rilascia la residenza solo ai rifugiati inseriti in qualche percorso o progetto ufficiale, lasciando fuori quanti, per limiti imposti dai programmi e dai progetti stessi, non hanno potuto accedere a queste opportunità. Eppure, attraverso la creazione di indirizzi fittizi, questo problema a Torino è stato risolto per le persone senza fissa dimora e soluzioni di questo tipo sono state trovare per i rifugiati politici in città come Roma, Palermo, Firenze. Inoltre, hanno ricordato i rappresentanti di Nonsoloasilo, per quanto riguarda Torino si tratta a oggi di riconoscere la residenza a circa 300 persone, un numero che pare sostenibile per una città di circa un milione di abitanti.
Dopo la presentazione a “Diritto di tribuna” la petizione verrà discussa nelle prossime settimane nelle Commissioni consiliari competenti.
Quoto Elisa! Anch’io sono di Casina e auguro a quei cinque ragazzi ogni fortuna. La vita è stata dura con loro, ora meritano di ripartire con il “piede giusto” e mi auguro che trovino finalmente degli amici, Come tutti i ragazzi della loro età hanno bisogno di condivisione. Spesso quando si parla di integrazione si fa a senso unico, ma non è così. Le persone devono intraprendere un cammino di conoscenza e il percorso non può essere fatto solo da chi arriva ma anche dalla comunità presso la quale vivono.
Auguri ragazzi!!!
(Monja)
Anche io credo che la comunità di Casina abbia davvero perso una preziosa occasione di incontro con l’Altro. Come persona sono veramente felice di aver conosciuto questi ragazzi e di aver avuto l’opportunità di condividere piccoli pezzi della loro storia, che hanno smosso in me tante domande, tanta rabbia, tante riflessioni sul nostro mondo… Ma come cittadina italiana, e del mio comune, mi sento invece delusa e a disagio nel pensare a quanto possano essersi sentiti invisibili e soli in questi lunghi mesi. Per fortuna, come è stato detto, importanti passi verso di loro sono stati fatti da diversi giovani e cittadini che per troppo tempo hanno cercato risposte istituzionali sulla loro presenza a Casina. Credo che una maggiore informazione ed una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni avrebbe spezzato molto prima la rete di timore e indifferenza che spesso ci tiene lontani dal diverso, e avrebbe invece reso possibile l’attivazione di quella rete di solidarietà e sensibilità che in tante altre occasioni si è dimostrata fondamentale nel nostro territorio.
Uno di questo ragazzi mi ha detto che l’Italia è come un libro acquistato in libreria guardandone solo la bella copertina.
Mi auguro che da oggi le pagine possano regalare loro qualcosa di diverso.
(Manuela Bernardi)
Grazie Normanna per avere dato informazioni, che non conoscevo, sulla questione della residenza. Sono consapevole della complessità e della non facile gestione di certi aspetti. Allo stesso tempo credo che forse troppo spesso ci si trovi a perdersi, o nascondersi, dietro certa burocrazia o parole troppo facili e di “circostanza”, evitando di fare quello di cui ci può essere più bisogno. E che forse è pure più semplice… In primis cercare di mettersi in relazione e in ascolto reciproco. C’è una canzone che mi gira in testa in questi giorni e che credo possa dire più di mille parole… e che spero possa essere di buon auspicio.
Provo a condividerla.
(Non sapendo se il link c’è scrivo il titolo per chi ha voglia di ascoltarla: Se solo mi guardassi, di Fiorella Mannoia).
(Elisa Silingardi)
Ecco: questa è la montagna che amo e in cui mi sento a casa. E di casa, intesa come comunità, abbiamo bisogno tutti, perchè è quello che stiamo perdendo, e molto, molto velocemente. Estrapolo da un mio articolo per il notiziario nazionale della Rete Radiè Resch di solidarietà internazionale:
“Quel che abbiamo perso nelle nostre città – e, a questo punto, anche nei più piccoli centri urbani – è la dimensione del vivere ‘come in un presepe’: in dialogo, in relazione continua, circondati e immersi in una comunità che non permetteva all’individuo grandi spazi di autonomia, che spesso esercitava un esagerato controllo sociale, ma che evitava l’alienazione della solitudine. (…) La nostalgia per il ‘prima’, per la vita – a tratti anche soffocante, fin che erano in patria – di intrecci relazionali nel proprio quartiere o villaggio d’origine è forse la sofferenza più acuta che devono sopportare le donne immigrate. È la stessa nostalgia che, negli anni ’50, durante il frazionamento dei terreni e la loro assegnazione ai contadini in Calabria, con tanto di costruzione di case da parte dell’Opera Sila, portò poi gli stessi contadini ad abbandonare quelle abitazioni isolate nella campagna per tornare nei paesi. ‘Il paesano viveva del paese! (…) vita in un paese dove l’intensità e la frequenza dei rapporti umani conferivano al “paesano” un ruolo ben preciso che costituiva anche la misura della propria identità’. (P. Pataccini – La comunità di Cutro a Reggio Emilia – Movimenti migratori interni italiani). Si dice che anche all’inizio della bonifica dei Sassi di Matera, la popolazione, spostata nelle nuove case, non riuscisse ad abituarsi a vivere fuori da quel vero e proprio presepe. Eppure, ci siamo ormai tutti fuori dal presepe. Soli, nelle nostre case, nelle nostre parrocchie recintate”.
Grazie a te Elisa.
(Normanna)
Ci sembra doveroso offrire anche il punto di vista della Amministrazione Comunale di Casina, per rispetto di tutte le persone che si sono impegnate per aiutare questi ragazzi travolti, loro malgrado, dalla storia. Non farlo ci sembrerebbe ingiusto nei confronti dei servizi sociali del nostro comune che si sono attivati da subito per aiutarli, rimanendo un punto di riferimento quotidiano per tutta la durata della loro permanenza e delle associazioni che hanno collaborato attivamente fin dal primo giorno e per tutti i mesi di permanenza, in particolare la Protezione civile e l’Auser.
I ragazzi sono arrivati a Casina tra la fine di giugno e i primi di luglio, il 29 giugno sono arrivati i 3 ghanesi, il 4 di luglio i due sudanesi, inviati dal Comune di Castelnovo ne’ Monti per una permanenza breve di circa un mese, in attesa di essere trasferiti in una struttura ricettiva di Castelnovo come poi è avvenuto il 26 gennaio.
Va considerato che al loro arrivo è stato necessario provvedere a tutto nel senso letterale della parola: dai vestiti alle visite mediche a Castelnovo e Reggio, dalle pratiche burocratiche da sbrigare a Reggio per ottenere il primo permesso di soggiorno ai pocket money per le spese personali (lo Stato prevede per i profughi un budget di € 2.50 al giorno da consegnare direttamente a loro mediante i pocket money, buoni del valore ognuno di € 5). E non consideriamo i problemi dell’alloggio perché “Mama Piera” è stata davvero fantastica. Il tutto nella precarietà derivante dall’essere in carico ad un altro comune nel quale avrebbero fatto rientro in una data non definita e dai molti vincoli dovuti alla mancanza della convenzione con la Regione legata alla sistemazione definitiva a Castelnovo.
Riteniamo che silenziosamente molto sia stato fatto da parte di tanti e cogliamo l’occasione per ringraziare pubblicamente i servizi sociali, i gestori dell’Albergo Centrale, il gruppo locale di Protezione Civile, l’Auser (che ha provveduto anche ai trasporti con il pulmino comunale) e tutti i singoli cittadini che si sono impegnati di loro spontanea iniziativa per accogliere questi ragazzi e per rendere gradevole la loro permanenza nel nostro territorio, confermando interesse e sensibilità. Ugualmente la consapevolezza dei molti bisogni del nostro tempo e il molto che rimane da fare ci sollecita a un sempre maggiore impegno.
(La Giunta comunale di Casina)