E’ di questi giorni il pesante declassamento del rating dell’Italia decretato dalla maggiore delle tre agenzie di rating; e l’outlook permane negativo, cioè con previsione di una possibilità su tre che possa seguire un nuovo declassamento del nostro Paese nel 2012 o nel 2013.
Nel giudizio di Standard & Poor’s ha pesato il rilevante rapporto del debito / PIL e le difficoltà persistenti del suo rifinanziamento, oltre alle prospettive negative sul profilo della crescita economica, che vede una previsione di andamento del PIL in negativo nel 2012. A pesare è anche il giudizio negativo sulle forti preoccupazioni di quanto potrebbero essere ostacolate nel nostro Paese le iniziative di risanamento intraprese dal Governo.
L’attuale rapporto debito / PIL al 120 %, è figlio di una lunga sequela di decenni nei quali la spesa corrente (ormai immensa nel nostro Paese) è uscita da ogni controllo. Ricordiamo che il rapporto debito/Pil era del 36.1% nel 1965 ; successivamente si é rapidamente innalzato al 41.1% nel 1970, al 59.5% nel 1980, e nel 1991 ha è superato il 103.1%.
Eppure il segnale che la situazione non era sostenibile era nei dati che gli studiosi avevano da tempo segnalati: infatti, quando il rapporto spesa statale/Pil supera il 40%, il prodotto interno lordo cessa di crescere a tassi sufficienti per mantenere in equilibrio il sistema, e così lo sviluppo economico viene meno, ed il rapporto Debito/Pil comincia a crescere in modo incontrollato, come è puntualmente accaduto.
Nonostante i segnali fossero ben evidenti, non vi è mai stata una significativa inversione di tendenza, a dimostrazione di come il nostro Paese abbia deliberatamente deciso di “vivere” per decenni al di sopra delle sue possibilità. Ed ora ci viene presentato un conto che – secondo il giudizio dell’agenzia di rating – abbiamo difficoltà a pagare.
Al momento attuale la fotografia della situazione italiana è la tipica dimostrazione dell’esistenza di tutti i segni premonitori di un default sovrano (vale a dire, il fallimento dello Stato):
- segni di sofferenza del suo sistema creditizio
- crollo dei valori azionari di banche, finanziarie ed assicurazioni
- sofferenze nel debito di industrie e famiglie.
Quanto ai segnali di sofferenza del sistema creditizio basta considerare la consistente perdita di capitalizzazione di borsa dei nostri istituti bancari iniziata in modo consistenza nel 2011 e proseguita a ritmi sostenuti anche nel 2012. Quanto all’aumento delle sofferenze bancarie, si assiste al loro amento a livelli sempre maggiori, senza alcuna prospettiva di inversione di tendenza, almeno al momento attuale.
Altri segnali indicati dagli studiosi come indicativi di alta probabilità di default sono i seguenti:
• rapido incremento nel tempo del rapporto debito/Pil (anche indipendentemente dal valore assoluto); per Italia questo dato è ancora sotto controllo, per ora almeno
• bid-to-cover (rapporto domanda-offerta) in rapida discesa nelle aste dei Titoli di Stato (e qua il segno è molto critico per Italia perché l’ultima asta di BTP ha segnato un abbassamento di tale parametro);
• rapide diminuzioni dei prezzi d’asta, cui corrispondono rapidi innalzamenti della redditività dei Titoli; per queste ragioni lo “spread” è costantemente monitorato
• tassi di interesse a breve che superano quelli a medio-lungo termine; è la cosiddetta inversione della curva dei rendimenti che si era manifestata in modo preoccupante in novembre-dicembre, mentre al momento attuale si è riassestata, ma vedremo come si muoverà dopo il declassamento di questi giorni
• rarefazione o impedimenti al reperimento dei classici beni rifugi (valute forti, metalli preziosi); per ora tale segnale non si rileva nelle contrattazioni internazionali, anche se occorre fare attenzione al segnale dato dai rendimenti negativi che caratterizzano gli acquisti di Bund tedeschi e di Gilt britannici; il rendimento negativo (l’investitore paga un “premio” allo Stato pur di poter acquistare i suoi titoli) sta a dimostrare che gli investitori credono che - anche in situazione di crollo dell’euro - la Germania possa ripagare i suoi debiti, e guardano altresì con favore alla Gran Bretagna, perché questa nazione ha conservato la sovranità monetaria , potendo stampare autonomamente sterline
A queste evidenze possono seguire i segni di pre-default, che si manifestano nella fase immediatamente a ridosso dell’evento, fase nella quale tutti i segnali appena indicati manifestano un’accelerazione, alla quale però si aggiungono anche altri segnali:
• turbolenze sul mercato dei cambi;
• repentini mutamenti di governo, anche con presa del potere da parte di persone non elette;
• crolli della borsa, specie dei titoli legati alla finanza ed al credito;
• fallimenti o sostanziali ridimensionamenti di realtà produttive di medie-grandi dimensioni;
• innalzamento del numero dei disoccupati;
• repentini aumenti della pressione fiscale;
• significativa riduzione delle liquidità depositate presso gli istituti di credito;
•intervento di organismi sovranazionali come prestatori di emergenza;
• intervento di organismi internazionali come investitori di ultima istanza;
• cessione di quote di sovranità in cambio di denaro fresco;
• introduzione di leggi che ostacolano e/o vietano la libera circolazione della cartamoneta.
Queste poche riflessioni che mi sono permesa di porre in evidenza potrebbero essere di stimolo per una adeguata riflessione su quanto potrebbe accadere se la situazione dovesse sfuggire di mano (ed i timori per le reazioni dei mercati al nostro declassamento sono un segnale da non sottovalutare). Devono essere prese decisioni, certamente dolorose e anche in tempi ristretti, perché non si risolve nessun problema semplicemente ritenendo che non possa realizzarsi il “peggio”, o auto convincendosi che “non possa accadere a noi”.
Il “tirare a campare” non è opzione accettabile, né per i governi né per i privati; eppure non mi pare di vedere segnali di forte inversione di questa “miope” scelta.
Del problema dei debiti sovrani si iniziò a parlare già nel 2008 come possibile prosecuzione della allora fase acuta della crisi finanziaria, crisi che gli Stati affrontarono appunto mettendo mano all’innalzamento del debito pubblico.
Già tre anni fa gli studiosi avvertirono dei problemi che un decennio di crisi economica poteva comportare (le crisi finanziarie comportano fasi molto lunghe di deleverage che impatta sull’economia reale in termini rilevanti).
L’aver ignorato allora quei segnali, l’aver sottovalutato il problema, aver sperato che altri ce lo risolvessero, ci ha portato ora sull’orlo del baratro. Il pesante declassamento di ben due gradini è lì a dimostrarlo, e vale ben poco prendersela con le agenzie di rating; i meccanismi sono tali che con rating BBB gli investitori istituzionali (quelli che muovono miliardi) sanno bene che non è il massimo della “prudenza” investire in titoli che “sfoggino” un simile “punteggio”; addirittura vi sono sistemi interni che vietano a questi investitori di acquistare titoli con rating al di sotto della “A”.
E unitamente al rating dello Stato Italia entreranno immediatamente in declassamento i rating delle aziende nelle quali il nostro Paese è “interessato” come azionista di “peso”. Quindi i declassamenti del nostro sistema di aziende statali seguiranno a brevissimo, con tutte le relative conseguenze sui tassi che tali aziende dovranno offrire per rifinanziare le rispettive esposizioni in corporate bond.
Lo scenario è terribilmente preoccupante, e non credo che sia adeguatamente percepito in tutta la sua concretezza neppure dai governi europei che ancora sono lontani da soluzioni importanti ed efficienti per bloccare la “guerra all’euro” che è fin troppo evidente sia in corso.
Unica istituzione che ha snellezza e rapidità di intervento rimane la Banca Centrale Europea; già a dicembre un intervento di immissione straordinaria di liquidità (operazione LTRO per finanziare a tasso del 1% per tre anni) ha manifestato il segnale di quanto sia preoccupante la situazione.
Ma la sola politica monetaria (lo “stampare”moneta per monetizzare il debito degli Stati) non basta. Questa moneta deve andare al circuito produttivo, devono essere ricostruite le attività imprenditoriali per porre le base di quella crescita economica che è l’unico modo per “ripagare” il debito.
Ma nel contempo deve anche essere messa in cantiere una strategia di “sopravvivenza” nei lunghi anni di recessione che si aprono davanti ai nostri occhi, perché il rischio di default non deve essere sottovalutato, stanti i suoi chiari segnali che accompagnano la realtà italiana.
Il “ritorno alla terra” è uno scenario che alcune ricette di studiosi delle fasi di default hanno indicato. Gli “scenari” di sopravvivenza durante il default recitano “Si valuti con cura la compartecipazione in un’azienda agricola. Possibilmente la si identifichi tra quelle di piccole dimensioni, a gestione familiare, ma soprattutto collocata ben vicino alla residenza.”
Quel ritorno alla terra che deve costituire una inversione di tendenza rispetto agli scorsi decenni che hanno visto il nostro Appennino spopolarsi e privarsi delle attività agricole che avevano anche importante funzione di controllo del territorio montano.
Un ripensamento forte ed immediato per riportare alla consistente rivalutazione delle potenzialità agricole del nostro Appennino deve essere messo nelle agende dei centri politici decisionali della nostra Regione e della nostra Provincia.
Una forte valorizzazione del territorio agricolo potrà trovare un importante supporto nell’azione - già iniziata anche a livello di programmazione di lungo periodo - dal Parco Nazionale; mi riferisco alla creazione ed implementazione di sinergie con le realtà produttive agro-alimentari della nostra area.
Tali iniziative per decollare dovranno – tuttavia - trovare adesione e consapevolezza da parte del maggior numero possibile di “utenti”.
Dalla crisi si esce tutti insieme, le individualità non porteranno che alla accelerazione del tracollo, come le insanabili divisioni dei paesi dell’eurozona hanno dimostrato con solare evidenza.
(Rossella Ognibene)
Mi accusano di catastrofismo, ma la realtà e ben diversa, prevale in me la speranza che le cose domani migliorino. Ma il tutto rema contro. Ci sarebbero tante cose da dire ma mi fermo qua!
(Angelo Covili)