La produzione di carta nelle sue infinite manifestazioni è sempre aumentata, anche nell’era dei computer con cui molte delle attività si svolgono esclusivamente informaticamente, sostanzialmente con l’interazione di uno schermo.
Tuttavia dobbiamo fare i conti con un crescente aumento di persone che studiano, di professioni intellettuali e della popolazione stessa.
Inoltre, negli ultimi decenni c’è stato un aumento vertiginoso della produzione di imballi in carta e plastica.
Ora che molti di noi fanno la raccolta differenziata di plastica e carta salta agli occhi, quando vuotiamo i contenitori, che per volume sono paragonabili all’indifferenziata e all’organico, un po’ meno come peso.
Quante volte capita di spacchettare qualcosa e vedere che è più l’imballo che il contenuto?
Pensate a yogurt, caramelle, torroni, merendine, imballi dei corrieri…
Proprio ieri abbiamo spacchettato l’iPad di mia moglie; ordinato su Apple Store, è arrivato con una scatola di cartone, separatori di carta pressata, una supplementare di cartone sottile con fiocco e biglietto regalo (il mio a lei) poi, finalmente, la scatola del dispositivo, bella spessa e rifinita, dentro un po’ di documentazione a supporto, di carta.
Non abbiamo finito: avevo ordinato delle pellicole antigraffio per lo schermo del mio smartphone e sono arrivate con una busta di plastica del corriere, un cartone per evitare che si potessero piegare e la loro confezione (vedi immagine) che è una busta di nylon grande come un quaderno (la pellicola è grande come un iPhone, invece), altrettanta carta e poi due pellicole che devono essere rimosse da quella che resterà sul device…
Sostanzialmente la superficie del materiale da gettare solo per la confezione del prodotto è stata circa 20 volte superiore a quello dell’oggetto, se si aggiunge quello per la spedizione, arriviamo a 60 volte!
Tornando alla carta come elemento su cui fissare la scrittura, nonostante la presenza dei PC, resta fortemente utilizzata.
Molti sono i documenti che vengono salvati in formato cartaceo negli archivi di Stato, degli enti pubblici, di avvocati, notai, anche se nati informaticamente.
Molti di noi, poi, stampano anche le email per averle sul tavolo, per leggerle, quando basta crearsi archivi sul PC o siglarle come non lette, importanti, o archiviarle in sotto-cartelle.
E poi restano i massimi consumatori di carta stampata: i libri, le riviste e i quotidiani. Spesso si contendono il primato ecologico ostentando che sono fatti di carta riciclata, come se riciclare carta avesse costo e impatto zero sul pianeta; per farlo serve energia, come per tutte le cose, certamente meno alberi cadono, ma più inquinamento (CO2) e aumento di entropia…
Scorrendo su Internet si possono leggere numeri spaventosi, il consumo pro capite di carta è intorno ai 200 kg ogni anno, quasi la metà probabilmente è riciclata.
Pensiamo che si possa ridurre la carta utilizzata?
Certamente fare la spesa e vedere i nostri prodotti sciolti, senza una bella confezione colorata, farebbe inorridire qualunque casalinga e i bambini che spesso mangiano in funzione del personaggio stampato sull’involucro. Però in ufficio possiamo usare di più la posta elettronica e la condivisione di documenti elettronici, magari facendosi creare delle cartelle comuni in cui mettere le informazioni, a vantaggio della univocità. Potremmo prendere appunti utilizzando programmi di scrittura o di Note, magari condivisibili con lo smartphone che ormai tutti possediamo.
E che dire di presentarsi a una riunione e prendere appunti con un netbook o con un tablet, lo stesso che utilizziamo per leggere il giornale alla mattina, in metropolitana, in autobus, in pausa pranzo…
E se cominciassimo a usare Picasa o Flickr per riporre le nostre fotografie, direttamente dal telefonino, per poi mandare ad amici e parenti il link per visualizzarle e scaricarle? Eviteremmo fiumi di inchiostro e carta stampata, album voluminosi.
Se leggessimo il giornale e il nostro magazine preferito sullo smartphone o il tablet le rotative farebbero la ruggine.
Ieri mia moglie ha acquistato i primi libri elettronici, per il suo iPad: favole per i bambini e qualche best seller che tutti abbiamo in libreria. Addirittura la Divina Commedia è gratuita, mentre gli altri titoli, decine di migliaia (in italiano), puoi prenderli in prova e leggere le prime 30 pagine! Neppure in libreria riesci a fare tanto, se sfogli troppo e ti fermi 15 minuti a leggere non ti senti a tuo agio.
Ma un libro elettronico non consuma carta, tanto più che averli oggi è facile, certamente lo scrittore lo stende su un file e non più su fogli di carta confusionari, per cui lo manderà per email all’editore. Da qui farne un “pdf” o un formato specifico per Apple o Amazon, è tutta discesa.
Ebbene, stamane, anche io, per non essere meno di Apple, ho scaricato la applicazione Kindle (gratuita) per il mio smartphone Android.
Kindle (http://it.wikipedia.org/wiki/Amazon_Kindle ) è un palmare che da anni Amazon (è il primo e più grande negozio su Internet per libri, da tantissimi anni) produce e vende per la lettura dei libri elettronici. In America l’ultimo nato, il Kindle Fire (http://www.amazon.com/Kindle-Color-Multi-touch-Display-Wi-Fi/dp/B0051VVOB2/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1325764714&sr=8-1), sta andando a ruba, senza troppa pubblicità, esso è sinonimo di ecologia perché elimina il libro di carta. Gli americani amano queste campagne di massa.
Alcune università americane dal prossimo anno adotteranno Kindle al posto dei libri tradizionali e non vedranno gli studenti andare a scuola con zaini stracolmi di libri spessi. E se si dimenticassero il Kindle a casa? Nessun problema, basterebbe farsene dare uno dal professore o della scuola e accedere con le proprie credenziali per vedersi comparire tutti i libri acquistati precedentemente.
A me il libro “vero” piace, toccarlo, sentire l’odore della stampa, ma oggi mi sono detto, quando mai lo leggo quel libro che da un anno sosta nel cassetto del mio comodino?
La sera dovrei tenere la luce accesa, i bimbi si possono svegliare, di giorno ingombra…
Il telefonino è sempre con me, ha uno schermo ampio, ben illuminato, vediamo come si leggerebbe il mio libro, eccolo nello scaffale della mia libreria virtuale e nella pagina di prefazione:
L’ho pagato il 20% in meno della copia cartacea (se pensiamo al costo per la spedizione o andare in libreria il risparmio è maggiore) e non occupa praticamente spazio nella scheda di memoria dello smartphone (ne conterrebbe migliaia senza problemi).
Se molti di noi compreranno libri elettronici il prezzo calerà ancora di più, gli editori non li ricaricheranno dei mancati guadagni delle copie cartacee, che restano invendute e tengono posto negli scaffali, e… quanti alberi salvati?
Gli attuali smartphones costano centinaia di euro, per realizzarli occorrono investimenti milionari, utilizzano quantità enormi di energia e materie prime preziose (molti petrolio-derivati), se li utilizziamo per le potenzialità che offrono e non solo per telefonare ci possono ripagare rendendo la nostra vita migliore e quella dei nostri figli più sana…
Come sempre l’informatica toglie la parte tangibile, massiva e fisica dalle informazioni, in questo caso carta, colla, inchiostro, manodopera.
Ora che molto si è virtualizzato, occorre generare ricchezza e occupazione attraverso altre forme, obbiettivo molto difficile e rischioso, come dimostra l’attuale economia non più basata sul controvalore ma su una informatizzazione, evanescente, del danaro.
Si pone il problema morale: accetto la borsina, di plastica (sia pur degradabile) o carta, dal commerciante o me ne porto dietro una in tessuto? Nel primo caso certamente inquinerò, nel secondo contribuisco ad un calo della domanda e quindi, inevitabilmente della produzione e, temo, dell’occupazione. Perchè da che mondo è mondo il modificarsi della domanda e dell’offerta ha provocato sconquassi nella società, basti pensare alla rivoluzione industriale e all’enorme impatto che ha provocato l’introduzione dei telai meccanici. Da molti anni, senza alcuna sollecitazione mediatica, mi sono costruita un”etica dell’imballo”, rifiutando progressivamente le borsine in plastica o carta e non mettendo nel mio “paniere” prodotti con imballi eccessivi. Acquisto frutta e verdura dall’ortolano ma anche quando mi rifornivo al supermercato non sceglievo quella confezionata o peggio ancora (per me) quella “pronta e lavata”. Certo, bisogna sacrificare del tempo per dedicarlo alla cucina, mi rendo ben conto che è assai più facile buttare in padella un prodotto pronto o semilavorato (e imballato), ma penso ai miei nipoti e a quel sacchetto in meno che lascerò loro. Ho fatto caso come una nota marca di yogurt abbia evidenziato nella propria pubblicità di aver abolito la confezione in cartone. Sarà un inizio?
Ora è di gran moda la macchina per caffè a cialde, non la comprerò mai proprio per non lasciare un’ulteriore eredità di plastica ai miei nipoti. E’ vero che esiste il riciclaggio ma è altrettanto vero che non tutta la plastica può essere prodotta da quella riciclata e che, quindi, il volume aumenterà.
Credo che l’unico materiale che mantiene le proprie caratteristiche riciclandosi all’infinito sia l’alluminio, che ha un costo di produzione elevatissimo.
Nonostante la grande attenzione, però, produco ugualmente una quantità di rifiuti in plastica e carta che mi lascia stupita.
I libri, forse con rammarico dell’autore, continuerò a leggerli su carta, è un amore di vecchia data e gli amori non si dovrebbero tradire mai! Magari ne comprerò meno e andrò più spesso in biblioteca.
In medio stat virtus.
(Gina Fornaciari)