Riceviamo e pubblichiamo.
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I cittadini di buon senso sanno già che senza le risorse si chiudono anche le opere della Chiesa. E se vengono meno le tante attività assistenziali, educative, sanitarie, culturali che le parrocchie, le diocesi e le istituzioni religiose, fanno a vantaggio dei comuni, delle province, delle regioni, chi provvederà? Quasi sempre queste opere nascono dalla solidarietà di tanti cittadini cattolici e non, sono una espressione virtuosa della sussidiarietà ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, rispecchiano il livello di civiltà e di umanità della nostra società, oltre che di fede e di carità! Nella nostra diocesi di Reggio e Guastalla cosa succederebbe se chiudessero le 80 scuole dell’infanzia che raccolgono metà della popolazione infantile? E se chiudessero le 18 case di riposo che ospitano oltre un terzo della popolazione anziana della provincia?...
Per le attività commerciali e per gli ambienti dove esse si svolgono paghiamo già l’Ici e le altre imposte, dove le leggi lo prevedono, ma abbiamo bisogno di quegli aiuti e agevolazioni che sono previste, per arrivare al pareggio dei bilanci delle altre attività: del resto sono riconosciute come necessarie da tutti. Questo vale per realtà importanti come le case della carità o per le scuole dell’infanzia e le case di riposo, ma anche per attività più ordinarie come sale parrocchiali, mense, dormitori, circoli, oratori, campi sportivi, ecc. Solo chi è preso dal desiderio di sopprimere totalmente la Chiesa non riesce a rendersi conto del male che si farebbe alla società con la chiusura di tutte le iniziative ecclesiali. Poi, se la Legge è uguale per tutti, le attività non commerciali dovrebbero essere messe tutte sullo stesso piano: se si penalizzassero solo quelle degli enti ecclesiastici italiani (decisamente minoritarie rispetto a quelle degli altri enti) si andrebbe contro la nostra Costituzione.
Aggiungo che i soldi dell’8 per mille sono destinati da circa l’80% dei cittadini che consegnano la dichiarazione dei redditi alla Chiesa cattolica, con una firma libera e volontaria. Non è una scelta politica di un governo o dell’altro e sono versati alla Chiesa italiana che li distribuisce nelle diocesi in proporzione degli abitanti. Ritornano dunque sul territorio in carità, in opere sociali, in sostentamento del clero (che svolge un ruolo spirituale ed educativo, culturale e civile che la gente apprezza), in attività parrocchiali e in tutela dei beni artistici e culturali. Tutto viene documentato anche con un resoconto annuale al Parlamento e sui grandi quotidiani (anche quelli che poi magari sostengono che non si sa dove vengono impiegate le risorse). Quali altri enti in Italia lo fanno in modo così preciso e verificabile?
I dati
* L'ente diocesi: ha pagato nel 2010 l'Ici nel Comune di Reggio e in altri 10 comuni per 103.308,20 euro e Ires per 25.229,60 euro.
* L'Istituto sostentamento clero: ha pagato nel 2010 l'Ici a 36 comuni della provincia per un totale di euro 229.469,00. Al solo Comune di Reggio, l’Idsc ha dato euro 111.782,00; e ha pagato l'Ires per euro 272.385,00. È noto che più l'Istituto sostentamento clero produce in loco il reddito da ridistribuire equamente tra i sacerdoti, meno ha bisogno del supplemento che viene dall'8 per mille. Il nostro Istituto in questo senso è uno dei più “virtuosi” d'Italia.
Le parrocchie: non è possibile quantificare, senza una ricerca accurata, quanto le singole parrocchie (50 nel Comune di Reggio, oltre 260 nella provincia) hanno pagato di Ici o Ires, ma sappiamo che normalmente la situazione è di grande correttezza.
In conclusione: se lo Stato vorrà cambiare le leggi sul no-profit anche noi come tutti gli altri enti non commerciali pubblici o privati, associazioni, sindacati e partiti, pagheremo ciò che verrà stabilito, ricordando però che buona parte del mondo no-profit anche non cattolico ricopre volontariamente un ruolo di sostegno e di solidarietà sociale verso le categorie più povere o deboli, che nessuno oggi in Italia può o vuole assumersi.
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APPENDICE
Nel pomeriggio di ieri l'altro, 9 dicembre 2011, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha detto a proposito della normativa sull’IciI: “In linea di principio, la normativa vigente è giusta, in quanto riconosce il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti non profit e, fra questi, degli enti ecclesiastici. Questo è il motivo che giustifica e al tempo stesso delimita la previsione di una norma di esenzione". “È altrettanto giusto, se vi sono dei casi concreti nei quali un tributo dovuto non è stato pagato, che l’abuso sia accertato e abbia fine”. “In quest’ottica non vi sono da parte nostra preclusioni pregiudiziali circa eventuali approfondimenti volti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti non profit, oggetto dell’attuale esenzione”.
Ici, la verita è semplice (da Avvenire, 9 dicembre 2011)
Le questioni a volte sono complesse, ma la verità è sempre semplice. Qui sotto ricapitoliamo alcune leggende metropolitane spacciate per verità su Chiesa e Ici. È anche bene che si sappia, però, che l’ultima iniziativa legislativa in materia, un emendamento radicale presentato invano la scorsa estate alla cosiddetta manovra-bis, puntava a colpire esclusivamente «gli enti religiosi cattolici» negando, appunto, soltanto a essi i benefici stabiliti dalla legge a motivo della rilevanza sociale della loro opera senza fini di lucro. Neanche citati tutti gli altri soggetti (altre religioni, associazioni laiche, patronati, realtà politiche e sindacali). Insomma, lorsignori fanno una guerra discriminatoria (e incostituzionale) contro i cattolici e la chiamano battaglia contro il privilegio... (Marco Tarquinio)
Cosa dice la legge
Chiesa cattolica privilegiata nel pagamento dell’Ici? Niente affatto. Ecco la norma di legge che regola la materia. La disposizione, contenuta nel decreto legislativo 504 del 1992 e successive modifiche, stabilisce che sono esenti dall’imposta gli immobili degli enti non commerciali "destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive", nonché alle attività di religione o di culto. Con il decreto legislativo 203 del 2005 il legislatore ha specificato che tale esenzione si applica solo se quelle attività vengono svolte in maniera «non esclusivamente commerciale»: nell’ipotesi delle attività ricettive, come spiega la circolare 2 del 2009, non si deve configurare un’attività alberghiere e ci si deve rivolgere a soggetti predefiniti (ad esempio i parenti dei malati distanti dalle proprie residenze ospitati in una casa di accoglienza). Dunque:
1) gli immobili non pagano l’Ici solo se utilizzati da enti non commerciali e solo se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività sopra elencate. Se manca una di queste due condizioni, l’esenzione decade;
2) la Chiesa cattolica beneficia dell’esenzione esattamente come tutte le altre confessioni religiose che hanno un’intesa con lo Stato e con gli enti non commerciali, categoria che include molti soggetti del "non profit";
3) l’esenzione non si applica ai locali adibiti ad attività commerciali. Librerie, ristoranti, hotel, negozi e abitazioni concesse in locazione (anche della Chiesa) pagano l’Ici;
4) tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente. È falso, ad esempio, che se in un albergo c’è una cappellina, tutto l’immobile diventa esente. È vero anzi il contrario. Tutto l’albergo (compresa la cappellina che di per sé sarebbe esente) deve pagare l’Ici.
L’esenzione Ici (di Patrizia Clementi, dell’Avvocatura della Curia di Milano)
La norma contestata è quella che esenta gli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale, cioè quelli «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985. n. 222 [le attività di religione o di culto]» (art. 7, c. 1, lett. i, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504). La norma, quindi, richiede il contestuale verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività individuate; inoltre, come stabilito dopo le modifiche apportate al testo originario, l’esenzione «si intende applicabile alle attività [...] che non abbiano esclusivamente natura commerciale». (cfr. c. 2-bis dell’art. 7 del D.L.. n. 203/2005, come riformulato dall’art. 39 del D.L. 223/2006).
Partendo dal dato normativo è facile verificare come una parte gran parte delle affermazioni riportate insistentemente sull’argomento siano del tutto errate. Non è vero che l’esenzione sia destinata a favorire solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica, dal momento che si applica a tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale gli enti ecclesiastici rientrano esattamente come molti altri soggetti del mondo del cosiddetto non profit come, ad esempio, le associazioni sportive dilettantistiche e quelle di promozione sociale, le organizzazioni di volontariato e le onlus, le fondazioni e le pro-loco, le organizzazioni non governative e gli enti pubblici territoriali, le aziende sanitarie e gli istituti previdenziali.
Un’ulteriore inesattezza riguarda la delimitazione della tipologia di immobili oggetto di agevolazione: l’esenzione non riguarda tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali, ma solo quelli destinati – per intero – allo svolgimento delle attività che la legge prevede. In tutti gli altri casi (librerie, ristoranti, hotel, negozi e per le abitazioni concesse in locazione) l’imposta è dovuta. Inoltre, esattamente all’opposto di quanto si continua a sostenere, per usufruire dell’esenzione tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente; se in un’unità immobiliare si svolge un’attività rientrante nell’elenco unitamente ad un’attività che, invece, non vi figura, tutto l’immobile perde l’esenzione. Risulta così evidente l’assoluta falsità della denuncia che gli enti ecclesiastici "estorcano" l’esenzione inserendo una cappellina in un immobile non esente. In questi casi, infatti, l’intero immobile va assoggettato all’imposta, compresa la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all’esenzione.
Lo sconto Ires
Un analogo discorso può essere fatto a proposito della riduzione dell’Ires (l’imposta sui redditi delle persone giuridiche): si tratta di un’agevolazione che riguarda molti enti non profit; l’articolo 6 del D.P.R. 601 del 1973 la prevede infatti, oltre che per gli enti ecclesiastici, per:
1) gli enti di assistenza sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti ospedalieri, gli enti di assistenza e beneficenza;
2) gli istituti di istruzione e gli istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, i corpi scientifici, le accademie, le fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali.
3) gli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e loro consorzi. Hanno inoltre diritto all’aliquota agevolata anche le ex Ipab, come prevede l’art. 4, comma 2 del D.Lgs. 207 del 2001.
Si può notare che si tratta di soggetti caratterizzati dalla rilevanza sociale delle loro attività in favore della collettività, circostanza che giustifica, anche sotto il profilo costituzionale, la previsione di agevolazioni fiscali.
Un capannone completamente abbandonato -quindi no profit – perchè ospitava una attività CESSATA nel 2003 , deve continuare a pagare l’ ICI? Non ho letto nulla in proposito.Grazie per la risposta.
(Michele)