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E ora che facciamo?

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Inarrestabile l’aumento dello spread sui nostri titoli sovrani… inarrestabile il deflusso degli investitori stranieri dal nostro Paese… la morsa della stretta creditizia che non si allenta… gli investimenti al palo... i consumi in flessione… lo spettro della recessione che sta sfiorando anche la locomotiva tedesca di qualche giorno fa la notizia dell’aumento dei disoccupati in Germania.

Parlando con qualche direttore di banca di Castelnovo la conferma: diverse persone disinvestono titoli, c'è chi porta i contati a casa.

Facile dire che lo scenario attuale era già disegnato dal settembre 2008, subito dopo il default Lehman Brother… l’ho ripetuto così tante volte che ormai non ne tengo più il conto. Con tutte le persone con le quali avevo occasione di parlare, già da tre anni  or sono prospettavo lo scenario che economisti di varie scuole avevano già disegnato per l’economia mondiale, con accenni anche per la nostra realtà di paese con crescita stagnante ormai da 10 anni e con un debito pubblico colossale.

E più si accentuava la gravità dell’analisi dei tecnici, più sentivo parole rassicuranti che invitavano ai consumi, all’ottimismo, alla famosa uscita dal tunnel che già nella primavera del 2009 era illustrata a gran voce da varie istituzioni italiane. Era paradossale... da un lato i tecnici avvertivano dell’immenso rischio che la persistente mancanza di regole alla finanza internazionale e della immediata necessità di evitare che la crisi finanziaria arrivasse a rendere ingovernabili i debiti sovrani… dall’altro le istituzioni politiche era ferme o quasi su queste tematiche. Eppure il messaggio dei “numeri” era forte e chiaro: la crisi del sistema finanziario era  arrivata agli Stati.

I Paesi occidentali  avevano dovuto ampliare il loro debito pubblico per far fronte allo tsunami abbattutosi sul sistema bancario, quale diretta conseguenza del crack Lehman Brother, con le sue ramificazioni smisurate ed inimmaginabili, perché connesse agli strumenti derivati (il cui valore nozionale era – ed è ancora oggi - pari a 10 volte il Pil mondiale) ed allo sconquasso conseguente  al crollo del sistema folle dei  mutui subprime (che ancora non ha esaurito i suoi effetti… anzi…).

Avvertivano gli analisti che dal  debito pubblico il rischio sarebbe ritornato al sistema bancario, in un gioco ad elastico che  alla lunga non sarebbe stato più sostenibile.

Le banche salvate con i soldi pubblici – infatti  - riempivano il loro portafoglio con titoli dei debiti pubblici , all’epoca ritenuti “sicuri”.

Ora che tale “sicurezza” è crollata il nodo è arrivato al pettine; è ormai conclamato che anche un Paese della eurozona può fallire (la Grecia ce lo insegna a chiare lettere, visto che il valore nozionale dei suoi titoli sconta sui mercati un haircut del 65-70%).

Quanto allora era un investimento sicuro per il sistema finanziario, oggi non lo è più; assistiamo dunque alla inesorabile mannaia della svalutazione del valore facciale dei titoli del debito pubblico che direttamente impattano sui ratios patrimoniali delle banche, mannaia ovviamente preceduta dal declassamento delle agenzie di rating.

Queste agenzie hanno misurato  la “rischiosità” del Paese emittente il debito, calcolando la  capacità di crescita economica, la sola che consente di creare quella ricchezza che consente di ripagare il debito.

In questo calcolo ben si sapeva che  l'Italia ne usciva malissimo, essendo arcinota  la sua  crescita asfittica. Tutto quanto ne è conseguito è il percorso scontato ed inesorabile che le teorie economiche avevano già disegnato da tempo. In questi tre anni nel Belpaese non ci sono stati spunti tali da invertire la rotta che era disegnata davanti a noi.

L’incapacità e inadeguatezza sono – ora – sotto gli occhi di tutti… al punto che è ben chiaro  che siamo commissariati, come prima di noi la Grecia l’Irlanda ed il Portogallo… l’uscita dal tunnel non è scontata... tutt’altro… La Bce ha già avvisato, con la consueta prudenza e fermezza, che gli Stati devono cavarsela da soli.

Ma noi ne saremo in grado?

(Rossella Ognibene)