Riceviamo e pubblichiamo.
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Il Pdl continua ad accusare il sindaco Garofani per fatti di cui non ha nessuna responsabilità ma semmai è vittima, insieme gli altri cittadini di Vetto, dell’azione disonesta di un dipendente pubblico. Il sindaco Garofani si sta accollando in prima persona un lavoro e una responsabilità che vanno ben oltre a ciò che al suo ruolo compete in senso stretto. Il funzionamento della macchina amministrativa, che nessun governo Berlusconi è riuscito a modificare nonostante sbandierati ministeri alla semplificazione e alla pubblica amministrazione, non consente agli amministratori di entrare nella gestione operativa degli uffici. Il comportamento disonesto dei dipendenti un fatto increscioso rispetto al quale nessun amministratore può essere immune a priori. Avere dirigenti che controllino l’operato degli uffici è spesso impossibile per i piccoli comuni.
A questo proposito la strada di unificare i servizi attraverso le gestioni associate sarà positivo e più saranno grandi meglio sarà. In una struttura così si potranno nominare dirigenti responsabili della gestione operativa, di fiducia degli amministratori e quindi non inamovibili. Dal consigliere Fabio Filippi attendiamo ancora qualche proposta, dopo la meravigliosa idea di stoccare i rifiuti nucleari sotto i gessi triassici del Secchia. Nel frattempo potrebbe essere coerente con il garantismo che il suo partito esige per il suo presidente che ha sul suo capo una ventina di procedimenti giudiziari di ogni tipo, alcune condanne e decine di assoluzioni per prescrizioni del reato o per interventi legislativi a favore dell’imputato.
Il sindaco Garofani, gli ricordo, non deve difendersi da alcuna accusa.
(Valerio Fioravanti)
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La risposta di Giovanni Ferrari, coordinatore Pdl di Vetto
Incredibile ma vero: se al Comune di Vetto i conti non tornano (per via degli ammanchi scoperti grazie ai consiglieri di minoranza) la colpa va addossata anche al governo Berlusconi, reo di avere mal legiferato. Questa è la funambolesca tesi del responsabile Pd della zona montana, Valerio Fioravanti, che nel voler scagionare ad ogni costo il sindaco Sara Garofani si fa prendere la mano scagliandosi persino contro il Cavaliere; ma in questa sua foga ideologica non si accorge di fare autogol, anche perché il troppo stroppia, come dicevano saggiamente i nostri vecchi.
Secondo Fioravanti gli amministratori non avrebbero la possibilità di entrare nella gestione operativa degli uffici - e non sarebbero altresì nelle condizioni di poter prevenire eventuali comportamenti disonesti dei dipendenti - e dunque per quanto successo a Vetto il sindaco Sara Garofani non porta responsabilità alcuna, mentre deve invece imputarsi al governo Berlusconi il mancato cambiamento della normativa che regola il funzionamento della pubblica amministrazione.
Non conosco Valerio Fioravanti, ma forse è troppo giovane per ricordare, oppure ha un qualche vuoto di memoria, altrimenti saprebbe perfettamente che le leggi che hanno dato autonomia operativa ai funzionari pubblici, rispetto agli amministratori eletti, risalgono ai primi anni '90, cioè alla stagione di Tangentopoli, ed è ormai opinione comune che quelle leggi furono ispirate e volute dalle forze politiche allora risparmiate dal ciclone Tangentopoli, tra le quali il Partito comunista, proprio al fine di tutelare al meglio negli anni a venire i propri rappresentanti politici (ritenevano probabilmente di essere diventati i padroni assoluti della situazione, dopo la decimazione toccata agli altri partiti, ma per fortuna hanno sbagliato i calcoli).
Tra i provvedimenti legislativi dell’epoca, uno dei più importanti in materia è senz’altro il decreto legislativo n. 29 del febbraio 1993, e a quella data il Cavaliere non era ancora apparso sulla scena politica e gli altri partiti della cosiddetta prima Repubblica (Democrazia cristiana, Partito socialista, ecc…) erano stati cancellati dalla furia giustizialista del momento e dunque non potevano essere gli artefici di quelle norme. Le accuse di Fioravanti sbagliano pertanto il bersaglio e dovrebbe semmai rivolgerle alla sua parte politica.
Di sicuro, durante la prima Repubblica quanto è successo al Comune di Vetto non sarebbe potuto accadere perché i mandati di pagamento dovevano avere ben tre firmatari, ma è comunque fuorviante e strumentale il voler far credere, come fa Fioravanti, che oggi non vi siano meccanismi di controllo in capo agli amministratori; significherebbe che qualsiasi funzionario pubblico poco virtuoso avrebbe le mani libere sulle casse del proprio Ente, e ovviamente non può essere così (lo capisce anche un bambino).
Non a caso l’art. 93 del decreto legislativo n. 267 dell’agosto 2000 parla di responsabilità patrimoniale anche per gli amministratori comunali, mentre il successivo art. 147 fa obbligo agli enti locali di individuare strumenti di controllo interno. E dunque per la questione vettese le spiegazioni non possono che essere queste: o il sistema di controllo interno non è stato istituito, oppure non ha funzionato, ovvero è stato disapplicato.
Ognuna di queste ipotesi chiama in causa le responsabilità “politiche” del sindaco, nonostante Fioravanti tenti di rimescolare le carte. Ma come abbiamo visto usa argomentazioni sbagliate e maldestre, segno di idee molto confuse, che fanno il paio con il clima di incertezza che regna ai piani alti di casa Pd, dove sul destino della Comunità montana si dice e disdice, si fanno mezzi accordi tra Carpineti, Castelnovo ne' Monti e Vetto per unificare i servizi comunali, ma nel contempo Vetto, che per inciso sta operando insieme a Canossa e Casina quanto a Polizia municipale, si è appena associato con Busana sul fronte della scuola.
In questo “sconnesso” e non entusiasmante scenario viene naturale dare un piccolo e modesto suggerimento a Valerio Fioravanti: lasci stare Berlusconi e si dedichi con maggiore obiettività e realismo alle questioni della nostra montagna.