Politica a parte, verrebbe da restare in imbarazzo quando all’estero associano la parola “Italiano” a “mafia”. Eppure, se uno ha il piacere di ammirare lo spettacolo “Le mafie in pentola” – in cartello lo scorso venerdì’ 28 ottobre al Parco Matilde di Carpineti – ha certo trovato i migliori motivi per essere orgoglioso di essere Italiano.
Questa è anche una storia d’Appennino. Basta parlare con l’autrice e attrice Tiziana che, assieme al fidanzato e giornalista Andrea, nel 2010 si è fatta un vero e proprio viaggio nei luoghi che ora producono prodotti e speranza, sui terreni confiscati alle mafie (anche nell’Appennino del nord) raccogliendo interviste, filmati, documenti e studiando i beni della terra che, ora, finiscono in pentola, come la mafia. Da un viaggio ne è nato uno spettacolo coraggioso e ben pensato. A Carpineti è giunto alla 58° replica e ha avuto uno spettatore d’eccezione, Enrico Bini, il primo reggiano a denunciare le infiltrazioni mafiose nella nostra provincia. Una messa in opera che pure al sud ha riscosso molto successo, ma che ha conosciuto, anche, una tappa “completamente deserta, perché era stato detto che il nostro ‘era uno spettacolo’ da non vedere”. Perché Tiziana fa, in ogni puntata, riferimenti a circostanze e nomi e, naturalmente, qualche picciotto non a gradito. In un’altra tappa sul palco è finito un mattone d’avvertimento. Ma lei ha sorriso ed è andata avanti.
“Non bisogna avere paura”. Ed è qui con la sua forza scenica, il suo monologo alla Paolini, ma rafforzato da prodotti, immagini e dalla fisicità sul palco, con la capacità di fare ammutolire una sala – quella del Parco Matilde – che all’inizio era ancora rumorosa, venerdì scorso, per il prolungarsi della cena sul Savurett. Tiziana col suo spettacolo le centocinquanta persone presenti le ha conquistate.
“‘Mafie in pentola’ – spiegano Tiziana De Masi e Andrea Guolo – è uno spettacolo sul gusto che esplode nella sua più golosa rappresentazione. Al tempo stesso è un tributo alla speranza e alla rinascita, sulla natura che rigenera se stessa, raccontata attraverso le parole di chi ha adottato questi appezzamenti di terreno per ricondurli alla loro originaria funzione: nutrire l’uomo”.
“E per raccontare questa storia – proseguono – abbiamo scelto il cibo, le numerose eccellenze gastronomiche che su queste terre nascono: da sud a nord abbiamo composto e offerto agli spettatori un esemplare menù della legalità, dall’antipasto al dolce per comporre un pasto completo. Vino, olio, taralli, friselle, peperoncini, melanzane, legumi, pasta, mozzarelle di bufala, torrone, miele, marmellate, limoncello, si intrecciano in un crescendo di gusto e di emozione con le parole di chi quei prodotti li ha seminati, coltivati e portati nelle nostre tavole, un intreccio gustoso ed esilarante, che riempie di sapore coscienze e stomaci”.
“Portare queste storie a teatro, in piazza, nelle scuole, implica la personificazione di chi oggi lavora nelle terre confiscate. Il lavoro è la realtà attuale di queste zone, la produzione un dato di fatto. Quindi ‘Mafie in pentola’ è soprattutto testimonianza, attraverso la necessaria mediazione attoriale, di cosa significa generare, raccogliere, vendemmiare in questi terreni. Storie di vita quotidiana, odori, sapori e impegno per ottenere un risultato che gli stessi spettatori potranno degustare e, volendo, acquistare alla fine della rappresentazione. Un tentativo sincero di promozione di un economia legale, libera e giusta e in ultima analisi lo stimolo ad imbandire una tavola dove con un consumo critico si possa gustare il sapore più bello di tutti: quello del giusto”.
Lo spettacolo? Scivola via d’un fiato, dopo avere richiamato l’attenzione con una caramella ironica sulle feste di Paese, così genuine e d’antan in tutto il Belpaese.
Alcune frasi restano alla mente. Una su tutte. “La mafia è un fenomeno umano. E come tutti i fenomeni umani è destinato ad avere un inizio e una fine. Meglio le la fine avviene quanto prima”. Con gli uomini e i ragazzi coraggiosi, anche extracomunitari di Rosarno, il fenomeno mafia può essere sconfitto. Perché per uno spettacolo di Tiziana “stoppato” dalla mafia, ce ne sono 57 applauditi e, la gente, ha voglia di cambiare e quando la gente vuole può cambiare il mondo. Con una rivoluzione. Prima di tutto culturale.
Mafie in pentola-Libera Terra il sapore di una sfida si conclude con un caffè. Ci sono bar, nei paesi della mafia nell’Appennino (calabro), dove un cartello vieta di offrire un caffè. Un modo per prendere distanza dai personaggi della ‘Ndrangheta che in quel gesto di “offrire un caffè” rivendicano un potere anche sugli sconosciuti, perché il caffè dei “don” o dei “boss” non si può rifiutare. E, allora, il “caffè me lo pago da me”. Così ha detto un giovane che ha osato sfidare il capo di turno e che, ora, mette le mafie in pentola e si gusta il bello della vita.