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Gente d’Appennino nel mondo: Chiara Viappiani ci scrive da Valencia

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Valencia

“Finalmente si parte!”: questo il mio primo pensiero quando, dopo aver vinto una borsa di studio del progetto Leonardo, mi preparavo a partire per Valencia. A distanza di qualche tempo mi trovo a confermare il mio entusiasmo in merito a questa esperienza: 6 mesi di tirocinio all’estero! Di questo infatti si occupa in particolare il progetto Leonardo: favorire la mobilità dei cittadini europei grazie a sovvenzioni ricevute dalla stessa UE tramite stage di diversa durata e in ambiti differenti. I vari bandi di selezione sono facilmente reperibili on line, ognuno con le proprie caratteristiche, dato che non tutti sono aperti a livello nazionale. In alcuni casi, infatti, quello che conta di più è la residenza in una singola regione italiana o addirittura in una sola provincia. Per cui attenzione: inutile sprecare tempo ed energie per qualcosa che sicuramente non ci porterà da nessuna parte! Soprattutto considerato che nell’arco di un anno ne escono parecchi, principalmente in due periodi: marzo/aprile e novembre/dicembre. Di solito le partenze sono sfalsate di qualche mese rispetto alle date di uscita del bando.

La mia personale esperienza inizia la scorsa estate con le selezioni e si concretizza in questi mesi con un tirocinio come receptionist in un albergo a 4 stelle nel centro di Valencia. Fondamentalmente mi occupo dell’accoglienza dei clienti che arrivano in città, facendo il check in e dando loro informazioni quando le chiedono. E lo fanno spesso! Ci sono poi i vari check out, la gestione delle telefonate e delle prenotazioni e un sacco di altre attività che al turista spesso sfuggono. Per mia fortuna le mie “colleghe” sono simpatiche e mi stanno aiutando molto a inserirmi e a imparare sempre cose interessanti. Come in un qualsiasi impiego ho determinati orari da rispettare, regole da seguire ma mi diverto anche molto perché comunque c’è dialogo e una buona interazione con gli altri. Almeno finora!

La cosa interessante è che per me si apre un mondo completamente nuovo: è un lavoro nel quale non ho alcun tipo di pratica diretta. L’unica arma in mio possesso è la conoscenza delle lingue straniere, elemento fondamentale per poter intraprendere un percorso di questo tipo. Nonostante la frequenza di un corso di lingua, infatti, avere almeno qualche competenza linguistica di base è un aiuto enorme per poter comunicare ed interagire meglio con la nuova realtà. E’ importante riuscire a integrarsi il più possibile nel contesto che ci si presenta davanti, in quanto, per alcuni aspetti, è molto diverso da quello a cui sia normalmente abituati ad avere a casa. Praticamente nessuna casa singola, ma file e file di condomini, sapori e odori, non solo culinari, a cui non siamo molto abituati. Il riso è il piatto principale della tavola valenciana e non si limita solo alla famosa paella, ma viene cucinato in svariati modi e accompagnato da birra o sangría.

A proposito, io attualmente vivo con altri 3 ragazzi italiani che partecipano allo stesso progetto (anche se in totale siamo un gruppo di circa 40 persone) e che mi accompagneranno fino al mio rientro in Italia a fine marzo. Viviamo in un appartamento a 15 minuti dal centro città che è per fortuna facilmente raggiungibile sia a piedi che coi mezzi pubblici ( o, come faccio io, in bicicletta!). Anche gli altri partecipanti sono tutti in case affittate ad hoc da un ente di formazione locale che ci aiuta e supporta in questa esperienza. Per nostra fortuna, visto che i tirocini non sono pagati, gli affitti,  le bollette, il viaggio aereo sono coperti dalla borsa europea: abbiamo anche un cosiddetto “pocket money”, una specie di paghetta mensile, che ci serve per il cibo. A tutto il resto dobbiamo provvedere da soli.

Valencia non è infatti una città enorme, ma ha comunque varie linee di metropolitana e offre i servizi che si possono trovare anche da noi. Tutto sta nell’abituarsi agli orari spagnoli, scaglionati di alcune ore in avanti rispetto ai nostri: i negozi, per esempio, aprono dalle 9-10  alle 14 e dalle 17 alle 20-21. Per il resto la vita media locale è simile a quella che già conosciamo: ristoranti, cinema, spiaggia, palestre e, soprattutto nei fine settimana, un sacco di feste. Non manca la cultura con i teatri, i musei e la nuova “Città delle arti e delle scienze”, che, tra l’altro, si trova alle spalle del porto recentemente riqualificato che dal famoso architetto Calatrava.

La contraddizione di questa città è che, nonostante io sia venuta qui per migliorare il mio spagnolo, sento molto spesso intorno a me parlare italiano: qui la comunità di nostri connazionali è molto forte ed è fatta, oltre che dai turisti, da persone che sono emigrate dall’Italia per cominciare qui una nuova vita, magari aprendo un bel ristorante-pizzeria. I valenciani sono abituati a questa imponente presenza tricolore e si sentono abbastanza simili a noi, al punto di definirsi nostri cugini. Sono inoltre perfettamente consapevoli che la attuale crisi economica è un’esperienza comune che avvicina ancora di più i due Paesi e non esitano a chiedere informazioni sulla situazione italiana. Inoltre, accolgono i nuovi arrivati sempre con grande entusiasmo, anche se nessuno sembra avere una chiara spiegazione del perché tanti italiani si siano fermati proprio a Valencia. Si limitano ad addurre somiglianze di clima e abitudini, anche se poi, in realtà, le differenze si notano: spesso e volentieri ci riconoscono alla prima occhiata!

La cosa migliore da fare per chi vuole affrontare un’esperienza del genere è di non avere paura, aprirsi al nuovo e di mantenere comunque la propria personalità ovunque si vada: la buona integrazione sta nell’abbracciare usi e costumi del paese ospitante senza per forza dover necessariamente rinunciare a se stessi. Anche perché normalmente si è ospiti in Paesi europei che, per quanto diversi, hanno comunque frequenti e costanti relazioni con l’Italia e che come standards e stili di vita non se ne discostano poi troppo.