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La legge naturale

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C’era una volta la legge «naturale»... è proprio il caso di dirlo perché una volta tutti i testi, anche quelli di scuola elementare, insegnavano che c’è innanzitutto una “legge” inscritta nella natura delle cose e dell’uomo; poi una legge positiva “divina” (per l’ebraismo la Bibbia, che il cristianesimo completa con il Nuovo Testamento) e, infine, una legge positiva umana (il “diritto” stabilito dall’uomo). Già secondo i pensatori antichi precristiani, la ragione umana che, sinceramente disponibile a cercare la verità, interroga la natura, sia quella dell’uomo che quella delle cose, scopre che, accanto all’essere, c’è anche un dover essere; e che questo dover essere va conosciuto e rispettato se si vuole l’essere. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. Facciamo un esempio, prendendolo dalla immediatezza del mondo contadino. Se voglio un bel raccolto di grano, innanzitutto devo prendere atto che il grano esiste indipendentemente da me. Poi devo sapere che mi occorre mettere il seme sotto terra, e che devo metterglielo rispettando certe condizioni di qualità del terreno, di temperatura, di umidità, di tempo. Devo rispettare il dover essere del grano perché il grano venga all’esistenza. Devo cioè rispettare una legge di natura. E meglio la conosco e più la rispetto, migliore e più abbondante è il frutto. Il contadino in gamba cerca di imparare prima e meglio che può tutte le leggi di natura attingendo alla sapienza dei contadini che lo hanno preceduto e indagando lui stesso con la sua testa (con la sua ragione) per cercare ciò che è bene fare – e, per contrario ciò che è male fare – per avere buoni frutti dal suo campo e dal suo lavoro. E poiché il buon contadino tiene al buon raccolto, così usa la testa più e meglio che può; e direbbe del matto a chi, in nome della libertà, gli consigliasse di piantar pere per raccogliere ciliegie.

Altrettanto è per la natura dell’uomo. Anche nella nostra natura è iscritta una legge; ma, a differenza delle piante e degli animali che queste leggi rispettano per istinto, l’uomo ha anche la ragione con la quale può e deve ricercare questa legge. L’uomo che con la ragione indaga su se stesso, non solo si apre alla coscienza, ma scopre alcuni evidenti dover essere che riguardano il suo corpo e soprattutto i suoi comportamenti verso se stesso e verso gli altri.

Scopre, ad esempio:

- che c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; e che se il nascere dipende in parte dai suoi genitori, il tempo per morire non deve dipendere nè dai suoi genitori, nè da lui, nè da altri. La sua morte è inscritta nella sua natura;

- che ha diritto al cibo e all’acqua che gli sono indispensabili per vivere e che altrettanto indispensabili sono anche per gli altri;

- che i genitori devono rispettare i figli e i figli i genitori;

- che nessuno vive da solo e perciò deve essere solidale con gli altri...

Questi vari «dover essere» assumono la connotazione precisa di bene, buono, giusto; e i comportamenti per rispettarli e raggiungere assumono il nome di legge morale. È bene, buono e giusto che, come ciascuno desidera essere rispettato nella sua vita, così rispetti la vita degli altri. È bene, buono e giusto che ciascuno abbia i mezzi per il suo sostentamento; che chi non può procurarseli con il lavoro perché è piccolo, malato o inabile li abbia dalla solidarietà di chi è in forze e può lavorare. È bene, buono e giusto che un bimbo abbia un papà e una mamma uniti che, dedicando a lui la loro vita, gli procurano il cibo per crescere e gli insegnamenti morali per diventare un adulto, responsabile di sé, della sua futura famiglia, del suo gruppo, degli altri in genere. È bene, buono e giusto vivere in una società ordinata dove tutti, e massime i capi, sono dediti responsabilmente e capacemente al bene di tutti...

...e avanti di questo passo. E più indaghiamo, e più scopriamo la profondità e, nello stesso tempo la semplicità, di questa legge morale «scolpita nell’anima di tutti i singoli uomini» che la Bibbia, risalendo al suo Autore, definisce con il nome di «comandamenti di Dio». Dentro di essa è la verità dell’uomo e sull’uomo, e quindi del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Essa rappresenta i valori-base che non si possono negoziare, ma solo ricercare e rispettare, sui quali fondare le leggi umane. Oggi, invece c’è chi, pretende di stabilire ciò che è bene e ciò che male in base, ad esempio, a presunte libere scelte individuali o al criterio della maggioranza. È il così detto «relativismo morale» di chi, ad esempio, crede che sia bene ciò che fa la maggioranza semplicemente perché lo fa o lo dice la maggioranza. Per tornare all’esempio di prima, è come se il 51 per cento dei contadini dicesse che si possono raccogliere ciliegie da un albero di pere dovesse diventare, solo per questo, vero. Non sono i numeri a fare la verità, ma la ragione che ricerca la verità, disponibile ad accettarla, anche contro il potere di una maggioranza. I tedeschi ricordano bene come il nazismo fu votato «democraticamente» dalla maggioranza dei tedeschi, ma non per questo divenne un bene. È affascinante scoprire che esiste un universo morale non meno sorprendente di quello stellato che ci offre la notte. E, come il buio della notte ci fa scoprire le stelle, così i momenti di sofferenza, di dubbio nostro o degli altri possono aiutarci a scoprire l’immensità e la profondità (la trascendenza, dicono i filosofi) dell’universo morale. A sviluppare questa capacità di indagine deve mirare tutta l’educazione, a partire da quando il bimbo comincia ad aprirsi alla parola e alla ragione. I grandi ragionamenti, infatti, si impara a farli, per via usuale, da piccoli e si prosegue fin che c’è vita. Ha fatto così l’umanità, secolo dopo secolo, generazione dopo generazione, e la conquista della legge morale (possiamo ben dire, con la Bibbia, i dieci comandamenti) ha coinciso con la conquista della civiltà, quella vera, quella che, insieme alla legge morale, ha saputo risalire anche al suo Autore, e che fa sì che la scoperta della lama si trasformi in un attrezzo da lavoro, che migliora le risorse del vivere di tutti, e non nell’arma che semina terrore e morte.

(Franco Villìa - tratto da "Bollettino della comunità della zona pastorale di Felina, Gatta, Gombio, Villaberza, S. Giovanni", n. 3, settembre 2011 e anche dal bollettino "Oltre la Sparavalle", n. 3, ottobre 2011)