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Uh mama mia, el diablo

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La chiesa di Crovara sorge accanto ai resti del castello dei Da Palude

Quando a creare un alone sinistro su persone o località ci si mettono gli scrittori importanti, e a tramandare la “calunnia” è uno “storico di corte”, la frittata è fatta: “Presentemente la Croara (è) ancora feudo dei Conti Palù; e conserva la forma di Castello all’antica su medesima eminenza, con altissima torre ove sono orrende prigioni, trabocchetti e profondi spechi fabbricati con insidie dentro cui precipitano le persone...” [Catellani don G. Nicolò, riportato da W. Baricchi in Insediamento storico... pg. 350].

Beh! Come biglietto da visita non è male! Fortuna vuole però che i tempi e la mentalità della gente siano cambiati. Ma poi, detto tra noi, non è che i Della Palude (o Palù) facessero molto per riscattare la cattiva fama del loro “nido d’aquila”. Anzi, mi scappa di dire che ci contavano, pur di potere dominare indisturbati!

Il diavolo di Crovara...

Non so se Don Angelo Rabitti, ultimo sacerdote ad avere retto la parrocchia stando sul posto,  rimuginasse questi pensieri mentre scarugava tra i resti del castello alla ricerca della Storia e di qualche reperto. E il reperto arrivò: massiccio, pesante, difficile da manovrare, e con sembianze strane, da sembrare indecifrabile. Era un pacifico gattone o un medioevale mostriciattolo posto lassù, all’angolo della torre, per incutere terrore a chi si avvicinava al maniero? “Da i capitelli orride forme intruse” direbbe Carducci che, in un momento di tranche (e il sangiovese del parroco di Polenta non era esente da sospetti), vede quelle rozze figure prendere vita, agitarsi e turbare i sogni della gente. Ma questi pensieri ci porterebbero lontano nei tempi e nei luoghi.

Crovara invece è qui, tra noi, testimonianza inquietante, e forse anche monito. Coi piedi per terra, com’era sua consuetudine, Don Angelo si rese conto che quella figura zoomorfa era solo una trovata geniale degli architetti dell’epoca per fare cadere l’acqua piovana il più lontano possibile dai muri della torre.

Quale turbinio di pensieri conturbasse la mente di Don Angelo non è dato immaginare. Probabilmente, illustrando la scoperta a qualche amico, al Don deve essere scappata una espressione del tipo: “Quel povero diavolo...”. E quando decise di imprigionare l’oggetto nel muretto di accesso alla chiesa per evitare che qualche commerciante di cose antiche invitasse la scultura a seguirlo, al muratore non parve vero di potere immobilizzare lì nientemeno che il diavolo. Da allora, scocciato per l’immobilità, ma divertito per le mosse scaramantiche di chi gli si avvicina, quella semplice scultura costretta a fare le fusa per giornate intere, è diventato Il diavolo di Crovara.

 

(Savino Rabotti)