[ps. la cit. sottotitolo è di Carl Gustav Jung]
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Gnôthi sautón, “conosci te stesso”, è l’iscrizione che compare sul tempio di Apollo a Delfi. Un motto famoso, ricondotto a Socrate, che ne fece il mantra della sua filosofia, e che è poi divenuto un’esortazione entrata a far parte del linguaggio comune. Letta semplicemente così, risulta facile riconoscerne la portata e la giustezza, ma cosa significa realmente conoscere se stessi? Quanto siamo capaci di farlo e perché è così importante?
Nel suo significato originario, vale a dire quello attribuitogli dagli antichi greci, l’iscrizione celava in sè un monito:
conosci te stesso per comprendere quale abisso ti separa dagli dei, ovvero, sii consapevole dei limiti delle tue possibilità.
Quella che può sembrare una limitazione a ciò che un uomo può essere, è in realtà il passo fondamentale dell’autoconoscenza.
La consapevolezza dei propri limiti infatti, è altresì traducibile in un modo per arrivare a scoprire cosa è meglio per sè, cosa ci è proprio, riuscendo così quantomeno a tendere verso ciò che ci rende felice.
Non solo:
arrivare alla scoperta di cosa è “BENE” per se stessi, diventa un modo per svincolarsi dai giudizi altrui, vivendo in base a ciò che per ciascuno rappresenta la propria essenza più profonda. Di quel “conosci te stesso”, Socrate fece un “conosci la tua psiche”, parola che in greco è traducibile anche con “anima”.
E che cos’è un uomo se non la propria anima?
Anche Jung, padre della psicologia analitica, fa di quello che egli stesso chiama processo di “individuazione”, il passaggio fondamentale per la realizzazione della personalità di ciascuno. Un processo che lo psicoanalista svizzero inquadra in una sorta di “scontro” tra gli aspetti consci e inconsci della mente. Ed è proprio su questi ultimi, quelli inconsapevoli e in altre parole sconosciuti, che i nostri sforzi devono fare leva per arrivare a quella conoscenza di cui parlavano gli antichi greci.
Più delle volte in cui ce ne rendiamo conto, la nostra mente utilizza delle difese, non a caso dette “inconsce”, che hanno lo scopo di proteggere l’immagine che abbiamo di noi o di mitigare i nostri sensi di colpa quando ci troviamo ad agire in modi che noi stessi non riteniamo apprezzabili, pur non potendo fare altrimenti. Conoscersi a fondo significa anche riuscire ad affrontare questi problemi, spodestando così queste difese che ci preservano sì, ma a discapito di una tensione emotiva che andrà sempre di più accumulandosi, con effetti che potrebbero essere disastrosi.
La nostra mente è capace sia di atti positivi e costruttivi, ma anche di atti negativi, quali sono quelle distorsioni interpretative e quelle rimozioni, che ci impediscono di scavare a fondo nel nostro essere più profondo. A volte, le riflessioni di ciascuno su sè stesso possono risultare talmente problematiche da voler essere evitate dalla mente, magari perché ci fornirebbero una versione negativa di noi, versione che non siamo in grado di accettare. Questi autoinganni costituiscono un grave ostacolo alla cura di noi stessi, impedendoci di fatto di raggiungere quella verità che ci riguarda e che è un passaggio imprescindibile per raggiungere quella virtù e quella serenità a cui vogliamo arrivare attraverso la conoscenza di noi stessi.
Quando, per esempio valutando i nostri “atti sociali”, non siamo in grado di dire onestamente a noi stessi che quel comportamento di rifiuto, di non accettazione, oppure quella incapacità di perdonare il partner o l’amico di una mancanza, è un fenomeno del nostro modo di relazionarci che va modificato, in quel momento stiamo mettendo in atto una difesa che ci impedisce di conoscerci per quello che siamo, e quindi, di trasformarci per migliorare.
Per sapere chi siamo dobbiamo quindi ACCETTARCI, con le nostre debolezze e le nostre paure. La tentazione potrebbe essere quella di abbandonarsi alle difese appena citate, ma si è già detto con quali risultati. Ciò che invece potrebbe non essere chiaro, è il motivo che deve spingere ad intraprendere questo percorso di conoscenza, e cioè la voglia di un cambiamento che aiuti a (con)vivere al meglio con la propria indole più profonda, cercando, per quanto possibile, di assecondarla.
COME FARE, NELLA PRATICA, PER CONOSCERSI MEGLIO?
Le sfide quotidiane, purtroppo o per fortuna, ci offrono dell’ottimo materiale in questo senso : prendere in considerazioni altri modi, oltre i soliti, per affrontare una situazione o un problema, può essere un ottimo modo per farci scoprire aspetti di noi stessi e capacità che nemmeno credevamo di avere.
Non è detto però che viaggiare alla scoperta di sè stessi debba significare esclusivamente sacrificarsi. A volte basta invece “ASCOLTARSI” di più, assecondando i nostri voleri più intimi, seguendo quello che più ci appassiona. Anche questo vuol dire scoprire chi si è veramente.
In ambito propriamente psicologico, un metodo utilizzato per riflettere su sè stessi è quello della meditazione. La MEDITAZIONE DI CONSAPEVOLEZZA, chiamata anche mindfulness, permette di fare chiarezza tra quei pensieri ricorrenti che risultano essere dei propri tarli che mettono a disagio. Concentrandosi su ciò che si vorrebbe essere piuttosto che su ciò che si è (e di cui magari si è vittime), è possibile riuscire ad eliminare questi pensieri disfunzionali.
La meditazione è anche un ottimo antidoto contro lo stress. Esperti in materia possono insegnare la corretta postura e le corrette tecniche di respirazione per imparare la pratica meditativa.
Non va infine dimenticata una cosa fondamentale:
concentrarsi sulla conoscenza di sé non significa isolarsi. Imparando qualcosa di più su noi stessi, scopriremo che saremo più capaci di comprendere gli altri. Il risultato, sarà che vivremo meglio, da soli e nelle relazioni.